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La datazione al radiocarbonio dei contesti archeologici relativi ai frammenti più antichi li fa infatti risalire a un periodo compreso fra 20.000 e 19.000 anni fa, ben più vecchie quindi delle più antiche ceramiche finora rinvenute.
La ricerca con cui un gruppo di archeologi delle università di Pechino, di Boston e di Tubinga ha annunciato la ridatazione delle ceramiche è descritta in un articolo pubblicato sulla rivista “Science”. Fino a poco tempo fa si riteneva che la produzione della ceramica fosse iniziata nel corso della cosiddetta "rivoluzione neolitica" e che fosse opera di popolazioni già in via di transizione verso un'economia basata sull’agricoltura e sull’allevamento. Recenti scoperte hanno però messo in dubbio questo quadro e aperto la possibilità a scenari differenti. In particolare, si è scoperto che intorno all'ultimo massimo glaciale, fra 25.000 e 19.000 anni fa, si è progressivamente diffusa una serie di nuove tecnologie, fra cui quelle relative alla produzione di strumenti costituiti da piccole scaglie (microliti) e mole. Inoltre, tre anni fa, nella Russia estremo orientale era stato scoperto un primo frammento di ceramica risalente a 17.000-18.000 anni fa. Secondo i sostenitori di questa prospettiva alternativa, i manufatti prodotti con le nuove tecnologie avrebbero consentito un miglior sfruttamento di una vasta gamma di piante e animali e una più efficiente estrazione dei loro componenti utili alla nutrizione, grazie a un'efficiente macinazione e alla cottura.
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In una nota a commento dell’articolo, Gideon Shelach, della Hebrew University di Gerusalemme, osserva peraltro che le due prospettive sui rapporti fra ceramica e agricoltura non sono necessariamente in contraddizione. Sebbene il fatto che in Asia orientale l’introduzione della ceramica abbia preceduto di alcuni millenni quella dell'agricoltura, mentre nel Vicino Oriente sia avvenuta successivamente, pone il problema della comprensione di un'evidente differenza di fondo nello sviluppo socio-economico delle due regioni.
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