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venerdì 19 luglio 2013

Le ferie sono arrivate anche per noi




Chiudiamo momentaneamente il nostro Blog 
MA... torneremo presto! 

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1° Abbiamo inserito un archivio di facile consultazione dei nostri 4524 articoli
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2° Troverete un mini portale molto interessante con notizie di ogni genere:
Farmacie aperte nelle vostre città, notizie meteo,notizie di varie testate giornalistiche e tanto altro.


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Profumo di pioggia


Se siete tra quelli che prima di un acquazzone, percepiscono distintamente un odore di acqua imminente, niente paura: non soffrite di traveggole olfattive. Avvertire un profumo particolare quando il meteo ritorna a farsi umido, soprattutto dopo un periodo di siccità, è perfettamente normale e spiegabile dal punto di vista scientifico. 
Ecco quali sono le cause naturali di questo fenomeno olfattivo. 

Quando le prime gocce d'acqua iniziano a cadere, potreste avvertire un odore dolciastro e pungente: gli esperti lo riconducono all'ozono emanato dai campi fertilizzati, dagli agenti inquinanti e da fonti naturali. La ragione per cui, all'inizio di un temporale, questo profumo pervade l'aria è da ricercare nella chimica.
 Scariche elettriche - come quelle dei lampi - dividono le molecole di azoto e ossigeno presenti in atmosfera in singoli atomi. Alcuni di questi si ricombinano con il monossido d'azoto, che a sua volta reagisce con altre componenti atmosferiche formando molecole costituite da tre atomi di ossigeno: l'ozono, appunto (O₃).
 Le correnti d'aria discensionali che si scatenano prima di un temporale portano le molecole di ozono dalle altitudini più alte al livello del nostro naso (del resto ozono deriva dal greco òzein, "mandare odore").


Ma il potpourri di profumi (o puzze, a seconda dei casi) non finisce qui. La pioggia, cadendo, si deposita sulle superfici asciutte e "disturba" le molecole odorifere lì presenti. 
Se siete fortunati e vi trovate in mezzo alla natura, le molecole in questione proverranno da piante e foglie, e le vostre papille olfattive annuseranno profumo di vegetazione (o odore di letame, nei casi meno felici).
 Chi si trovasse in città, snifferà particelle di asfalto o cemento, un po' meno piacevoli e salutari. 
Questo odore ha un nome scientifico preciso: si chiama petricor, termine coniato da due ricercatori australiani nel 1964 per descrivere la fragranza delle piante che si deposita nei terreni argillosi e viene rimessa in circolo nell'aria dalle precipitazioni. Un grande classico, e forse lo strascico più piacevole che ogni temporale lascia dopo di sé. Questo odore misto di terra, muffa, muschio e umidità è attribuibile alla geosmina, un composto organico responsabile, per esempio, del gusto terroso delle barbabietole. È prodotta da diverse classi di microbi, e captata molto facilmente dai nasi umani, sensibili al suo aroma. Se contamina acque di superficie potabili, conferisce loro un sapore terroso poco gradevole.


Questo mix di aromi ha una qualche utilità? 
Nel mondo animale, sì. Secondo alcuni microbiologi il petricor, disciolto in acqua, agisce come segnale di "via libera", comunicando ai pesci d'acqua dolce che è arrivato il momento giusto per deporre le uova.
 Per i cammelli, invece, la geosmina agirebbe come traccia olfattiva per aiutare gli animali assetati a raggiungere le oasi nel deserto più vicine: è la teoria di Keith Chater, microbiologo del John Innes Center in Inghilterra. 
E per l'uomo? 
Secondo gli esperti, l'odore della pioggia non scatena in noi risposte biologiche immediate, anche se abbiamo imparato ad associarlo ad alcune esperienze (come il tanto atteso refrigerio dall'afa estiva). Diana Young, antropologa dell'Università del Queensland, Australia, ha studiato il comportamento associato alla pioggia degli aborigeni del deserto occidentale australiano, dove le prime piogge costituiscono un evento importante che trasforma il deserto arido e rosso in una pianura verde e lussureggiante.
 Secondo la Young, presso queste popolazioni l'odore della pioggia è associato al colore verde del risveglio della natura: una connessione nota come "sinestesia culturale". Quando piove, è tradizione presso questi popoli strofinarsi il corpo con olii vegetali e grassi animali, un odore che si crede abbia proprietà protettive, e che simboleggia la connessione tra uomo e paesaggio.

 Elisabetta Intini

La mosaicoltura


La mosaicoltura è una forma d'arte che prevede la coltivazione di fiori di colori diversi, disposti sul terreno in mood da formare una decorazione a mosaico. 
Comprende inoltre la creazione di opere d'arte tridimensionali a partire dalle piante, dai cespugli e dai fiori stessi. 
Nella creazione dello scenario di un'opera, vengono di solito impiegate due o tre sculture verdi a tre dimensioni, oltre a fiori, foglie e disegni in rilievo. 
Grazie ad esse il paesaggio muta immediatamente aspetto, diventando a dir poco da favola.



La mostra internazionale di mosaicoltura di Montreal riunisce da 16 anni in Canada artisti e visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Gli artisti considerano le proprie opere come un mezzo per promuovere l'orticoltura e il giardinaggio in modo creativo. Quest'anno la città canadese ospita una ricca collezione di sculture verdi a tema, ispirate all'arte astratta, alle leggende e alle favole.


giovedì 18 luglio 2013

Breve storia della giada


Durante il neolitico, l’uomo trovò che alcune pietre erano più belle, di struttura più liscia e più solide di altre e se ne servì per fabbricare attrezzi, punte di frecce ed ornamenti. Questi oggetti furono gli antenati degli articoli in giada. I materiali usati dagli antichi non comprendevano soltanto l’orneblenda, ma anche diverse pietre preziose come la serpentina, il turchese, la malachite e l’agata.
 Gli antichi cinesi chiamarono queste pietre magnifiche yu (giada). Il primo dizionario cinese, Spiegazione delle parole e delle frasi pubblicato nell’anno 100 durante la dinastia degli Han orientali, definì yu come «la pietra più bella».

La natura ha “viziato” la giada donandole molte qualità eccellenti – la sua struttura è solida, il colore è magnifico, è delicata al tatto e produce un suono gradevole se la si batte. Tali qualità corrispondevano alle norme etiche e ai codici di comportamento degli antichi e vennero personificate.
 Confucio (551-479 a.C.) concluse che la giada possedeva undici virtù, tra cui la benevolenza (essendo dolce e lucida), la fedeltà (non irrita mai la pelle), l’educazione (c’era un rituale nell’abbigliamento) e la sincerità (un difetto nella giada non si nasconde mai). La cultura confuciana predicava che un uomo doveva definire i suoi modi e la sua condotta in accordo con le virtù della giada. 
 Per lungo tempo fu di moda indossare ornamenti di giada, i quali erano costituiti o da un unico pezzo di giada o ne comprendevano sino a nove uniti insieme. Le persone avevano la consuetudine di indossarli per dar prova del loro status sociale. Su questi ornamenti venivano incisi dei motivi beneaugurali e degli ideogrammi che auguravano la fortuna e una vita felice. Questa moda raggiunse il suo apogeo durante la dinastia Qing (1644-1911): chi non indossava della giada veniva giudicato vestito male e una casa senza decorazioni in giada non era considerata una vera casa .I poveri o le persone del popolo che non potevano permettersi di possedere della giada adornavano le loro abitazioni con alcuni distici del tipo «la stanza brilla d’oro e di giada». 
 Se oggi scarseggiano gli acquirenti di cannelli di pipa in giada presenti sui mercati d’antiquariato in grande quantità e a buon mercato, un tempo, invece, i poveri consideravano le pipe con cannello di giada degli oggetti di grande valore: se la famiglia aveva la fortuna di possederne una, questa veniva lasciata in eredità di generazione in generazione. Capita di vedere messi in vendita alcuni cannelli di pipa che presentano segni di denti profondi diversi millimetri e, poiché la giada è particolarmente dura, questi non possono essere stati causati che da un uso costante nel corso di diverse generazioni.

Per le donne, invece, erano i braccialetti a riempire in gran parte i loro portagioie. I braccialetti in giada ricevuti in regalo in occasione del fidanzamento o del matrimonio erano preziosi proprio come lo sono oggi gli anelli di diamanti.
 I cinesi antichi descrivevano un matrimonio felice come un «matrimonio d’oro e di giada». 
 La giada non è stata soltanto idealizzata e personificata, ma è anche divenuta un oggetto mitico, specialmente nei tempi antichi, quando i recipienti di giada erano consacrati al compimento dei riti e della divinazione. 
 Gli antichi credevano che la giada si fosse formata là dove le fenici si erano posate, e là dove c’erano accumuli di yang (principio maschile e positivo della natura) e, durante le notti di luna, delle donne nude la lavassero. Si credeva che fosse soltanto facendo appello allo yin (principio femminile o negativo) che si potesse purificare la giada e ottenere così l’essenza della terra e del cielo. Questa credenza ha influenzato i cinesi per numerosi secoli. In un testo intitolato Tian Gong Kai Wu (Valorizzazione delle opere della natura), una descrizione delle antiche tecniche di produzione pubblicata nel 1637 alla fina della dinastia Ming, si legge della consuetutine di far raccogliere a giovani donne nude, nelle notti di luna, la giada con la draga. Il libro spiega che «attirando l’energia vitale dello yang, si otterrebbe molta giada».



I cinesi antichi consideravano sacra la giada che serviva a fabbricare le urne sacre; pertanto la sua estrazione doveva rispettare determinati principi. Ma, non tutti credevano a queste teorie. L’imperatore Qianlong dei Qing, sfidò questa credenza facendo incidere due pezzi di giada rappresentanti due uomini che portano della giada. Scrisse un saggio critico nella parte posteriore di queste incisioni e fece notare che, poichè durante le notti di luna non si poteva avere una buona visione, l’estrazione doveva svolgersi in autunno, periodo in cui i fiumi sono in secca. Si credeva, inoltre, che la giada impedisse la corrosione e cacciasse gli spiriti maligni. Sono stati rinvenuti numerosi oggetti funerari in giada in tombe risalenti alla dinastia Zhou (XI secolo a.C.); è in quel periodo che la popolazione inizia ad utilizzare pezzi di giada per ricoprire i cadaveri. 
Durante la dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), questa usanza si sviluppò ulteriormente. Si cucivano dei pezzi di giada quadrati e piatti con del filo d’oro per farne un abito funerario che veniva messo a personalità dello Stato affinchè il corpo non venisse neppure sfiorato dalla decomposizione.
 Nel 1971, si sono aperte le tombe del principe Jing degli Han Occidentali e della sua consorte e sono stati trovati due abiti in giada. Ma, i cadaveri erano decomposti ormai da moltissimo tempo. Con il passare del tempo, gli aspetti mitologici della giada scomparirono poco a poco. Ma, nonostante ciò, ancora oggi molte persone credono che indossare della giada sia positivo per la salute. A partire dalla dinastia Qing, vengono utilizzati degli strumenti di massaggio facciale in giada. Esistono anche dei guanciali e dei cuscini di giada. La giada Fior di susino, prodotta nella provincia dello Henan, è nera con diversi punti blu, neri, bianchi, gialli e verdi, proprio come i fiori dei susini.
 L’imperatore Guangwu della dinastia Han definì questo tipo di giada «tesoro dello Stato». Studi scientifici hanno dimostrato che questa giada contiene dei minerali necessari all’organismo.

 I cinesi antichi davano un grande valore alla giada, lo dimostra l’impiego molto diffuso di questo materiale. Gli oggetti rinvenuti appartenenti alla cultura di Hongshan (5000-6000 anni fa) sono di due categorie: la terracotta e la giada.
 La giada di questo periodo comprende ornamenti, oggetti rituali e urne divinatorie. Le asce e le accette simboleggiavano il potere. Le urne divinatorie erano scolpite a forme di piccoli animali – uccelli e bachi da seta. Il totem di giada degli uomini di Hongshan è un drago con testa di maiale.
 Durante il periodo dell’Imperatore Giallo, attorno al 4600 a.C., si regolizzò l’impiego della giada. Gli articoli legati al potere dello Stato, come sigilli e monete dei dirigenti, recipienti per i rituali importanti e le cerimonie dovevano essere fabbricati in giada. La giada era un simbolo di status sociale e i nobili solevano indossarla come ornamento. Prima dell’età del bronzo, la giada era il materiale dominante in Cina. Il pittogramma originale degli antichi per la giada era composto da tre pezzi (linee) orizzontali di giada uniti da un tratto verticale centrale. Più tardi si aggiunse un punto (goccia) al carattere per formare la parola giada. Il carattere senza punto ha modificato la pronuncia e i tre pezzi di giada orizzontali sono divenuti semplicemente tre tratti orizzontali. Questo carattere in cinese significa ora «re» o «monarca»

.La crosta terrestre cela oltre 1 000 tipi di pietre, ma solamente una dozzina di esse appartiene alla famiglia della giada. Limitata dalle tecniche di estrazione sottosviluppate, la produzione antica della giada era limitatissima e, conseguentemente, il suo prezzo molto elevato. Alcuni ritengono che il pezzo di giada antico di maggior valore sia un ornamento piatto e rotondo chiamato Heshi Bi risalente al periodo delle Primavere e degli Autunni (770-476 a.C.): questo ornamento è celebre non solo per l’altissima qualità della giada ma anche per la storia che sottintende. 
Secondo la leggenda, un uomo chiamato He e originario dello Stato di Chu avrebbe ottenuto, sul monte Jing nella provincia dello Hubei, un pezzo di giada offrendolo, in seguito, al re Li. Il re ritenendosi insultato avrebbe fatto amputare il piede sinistro dell’uomo. Quando al trono salì il re Wu, l’uomo avrebbe nuovamente presentato la giada al nuovo sovrano. E ancora una volta si sarebbe avuto lo stesso epilogo, perdendo, questa volta il piede destro. Quando il re Wen salì al trono, l’uomo, colmo di dispiaceri, sarebbe ritornato al monte Jing con la sua giada. Il re Wen avrebbe allora inviato qualcuno per dirgli che la sua giada era preziosa e che l’avrebbe chiamata Heshi Bi, la giada della famiglia degli He. 
Sima Qian, lo storico della dinastia degli Han, scrisse nel suo libro, Gli annali di uno storico, che questa giada fu più tardi acquisita dal dirigente dello Stato di Zhao. Quando il dirigente di Qin sentì parlare di questa storia, gli avrebbe offerto di scambiare 15 città cintate con quella giada. Il dirigente di Zhao avrebbe allora inviato un ministro per andare a portare la giada nello Stato di Qin, che era più potente dello Stato di Zhao. Il ministro, una volta appreso che il dirigente di Qin non aveva detto sul serio a proposito dello scambio, si sarebbe arrangiato per riportare la giada nello Stato di Zhao, affidandosi alle sue risorse e al suo coraggio. 
Il semplice fatto che qualcuno fosse stato d’accordo nello scambiare 15 città con un pezzo di giada riflette il valore che i Cinesi davano a questa pietra.



Secondo un antico proverbio cinese «l’oro ha un prezzo ma la giada non ne ha», questo, almeno a livello tecnico, non è esatto. Nella letteratura cinese tradizionale, l’oro e la giada sono spesso menzionati insieme e sono considerati simboli di ricchezza. 
Anche oggi, il prezzo della giada di buona qualità non vale di meno di un pezzo d’oro dello stesso peso. Gli oggetti di giada più antichi rinvenuti in Cina sino a oggi risalgono a 8000 anni fa. Ciò dimostra che la giada ha avuto da sempre un ruolo di primo piano nel corso dello sviluppo umano. 
Oggi, la giada è scesa dal piedistallo e fa ormai parte della vita della gente comune.

Le due facce delle COOP



"La Coop sei tu", recita lo slogan di un celebre spot, con protagonista la comica Luciana Littizzetto.
Ma, come quasi sempre accade, la realtà è ben distante dalla sua rappresentazione mediatica: per questo il battagliero sindacato Usb ha lanciato un "controspot" nel quale, dopo aver rilanciato le affermazioni del colosso della grande distribuzione, dà voce ai suoi lavoratori.
"Lo sai quanto guadagna in media una cassiera della Coop?", è la scritta che compare in sovrimpressione.
La risposta non tarda ad arrivare: "Circa 700 euro al mese. le nostre famiglie fanno una gran fatica a tirare avanti".
Poi l'Usb spiega che i contratti pat-time sono l'unica opzione possibile per sperare di essere assunti, e che i turni di lavoro vengono cambiati con una semplice telefonata.
Non solo, si lavora anche di domenica. "E la famiglia - conclude il video - va a rotoli".

mercoledì 17 luglio 2013

Buonanotte

Il sistema eliocentrico una scoperta antichissima Sumeri Caldei e Babilonesi già lo conoscevano circa 5.500 anni fa

Aristarco di Samo (Samo, 310 a.C. circa – 230 a.C. circa) è stato un astronomo greco antico. Nato a Samo, una delle maggiori isole in prossimità della costa della Ionia, studiò ad Alessandria, dove ebbe come maestro Stratone di Lampsaco.













La teoria eliocentrica

Astronomo e fisico, Aristarco è noto soprattutto per avere per primo introdotto una teoria astronomica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili mentre la Terra ruota attorno al Sole percorrendo una circonferenza.
Sappiamo inoltre che Aristarco concordava con Eraclide Pontico nell'attribuire alla terra anche un moto di rotazione diurna attorno ad un asse inclinato rispetto al piano dell'orbita intorno al Sole (l'ultima ipotesi giustificava l'alternarsi delle stagioni). L'opera nella quale Aristarco illustra la sua teoria, sulla quale abbiamo solo brevi citazioni, non è stata ritrovata.
L'obiezione che gli mossero i suoi contemporanei fu scientifica e non ideologica, come invece fu nel caso di Galileo: si chiesero per quale motivo le stelle fisse non modificassero la propria posizione nella volta celeste nel corso dell'anno, come invece avrebbero dovuto fare se la Terra fosse stata in movimento.
Archimede riporta che Aristarco superò l'obiezione ipotizzando che la distanza tra la Terra e le stelle fisse fosse infinitamente maggiore del raggio dell'orbita annuale terrestre, e in effetti è tanto maggiore da evitare ogni effetto di parallasse misurabile con gli strumenti dell'epoca (e anche delle epoche successive fino al XIX secolo). L'idea che le stelle siano ad una distanza enormemente superiore a quella del Sole è ripresa da altri autori (ad esempio da Cleomede). Secondo la testimonianza di Plutarco, l'eliocentrismo (che Aristarco aveva accettato come base della sua teoria perché gli permetteva di giustificare i moti osservati dei pianeti) era stato successivamente dimostrato da Seleuco di Seleucia.
La teoria eliocentrica fu però rifiutata con forza, quattro secoli dopo Aristarco, da Claudio Tolomeo, le cui concezioni dominarono incontrastate la tarda antichità e il medioevo.
Dimensioni e distanze del Sole e della Luna L'unica opera pervenuta di Aristarco è il breve trattato Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna, nel quale stima la grandezza del Sole e della Luna e calcola le relative distanze dalla Terra.
Terra, Luna e Sole durante una quadratura
Quando la Luna è in quadratura, ossia è illuminata per metà, essa, con la Terra e il Sole, forma il triangolo rettangolo mostrato in figura.
Misurando in tale condizione l'angolo β compreso tra la direzione Terra-Sole e la direzione Terra-Luna è possibile calcolare il rapporto tra le loro distanze mediante ragionamenti di tipo geometrico.
Il problema risolto da Aristarco, di calcolare (o meglio, stimare dall'alto e dal basso) il rapporto tra i cateti di un triangolo del quale si conoscono gli angoli nel nostro linguaggio è quello di calcolare, o stimare, la tangente trigonometrica di un angolo.
L'opera di Aristarco può pertanto essere considerata una delle prime opere di trigonometria.
Aristarco stimò il rapporto tra le distanze del Sole e della Luna come compreso tra 18 e 20, mentre il rapporto tra le distanze medie è in realtà circa 400.
Le stime di Aristarco sono correttamente dedotte dal valore da lui assunto per l'angolo Sole-Terra-Luna all'atto della quadratura, ma l'angolo era stato misurato con scarsa precisione.
La grandezza abnorme dell'errore è dovuta a due cause principali. In primo luogo Aristarco dovette calcolare la tangente di un angolo molto vicino a un angolo retto, molto vicino cioè al valore nel quale la tangente diverge.
In queste condizioni un errore relativamente piccolo sull'angolo si traduce necessariamente in un errore enormemente maggiore sulla tangente.
Inoltre per stimare con accuratezza l'angolo che interessava Aristarco occorre riconoscere l'effettiva quadratura con una precisione difficilmente raggiungibile ad occhio nudo.
Basta un errore di poche ore sull'istante in cui la quadratura ha luogo perché l'errore sull'angolo si traduca in un errore enorme sulla sua tangente.
Il metodo di Aristarco permette comunque di stimare dall'alto e dal basso la tangente di qualsiasi angolo e in questo è probabilmente il maggior valore matematico della sua opera.

Al-Jazari, il fondatore della meccanica moderna


Al-Jazari (Jazīra, 1136 – 1206) è stato un matematico, inventore e ingegnere meccanico arabo, il più importante esponente della tradizione islamica della tecnologia, è considerato il fondatore della meccanica moderna. 
Fu autore del trattato Al-Jamiʿ bayn al-ʿilm wa ʿamal, al-nafiʿ fi sinaʿat al-hiyal, ovvero Un Compendio sulla Teoria e sulla Pratica delle Arti Meccaniche, dove descrisse cinquanta dispositivi meccanici (automi) con le istruzioni per costruirli. 
Poco è noto riguardo al-Jazari e la maggior parte delle notizie deriva dalla introduzione al suo libro sugli automi. 
Il suo nome deriva dalla zona in cui era nato e visse, Al-Jazira, il nome tradizionale arabo per quello che era il nord della Mesopotamia e quello che oggi è l’Iraq nord-occidentale e la Siria nord-orientale, tra il Tigri e Eufrate.
 Come suo padre prima di lui, lavorò dal 1174 al servizio del Artaq Banu, la famiglia regnante di un principato che reggeva la regione di mezzo (oggi Diyar Bakir, nel sud della Turchia). Come riferisce nell’introduzione del suo libro, rimase in questa funzione per 25 anni, fino a diventare ra’is al-a’mal (ingegnere capo). Su suggerimento del principe Nasir al-Din Mahmud (che regnò tra il 1200 e 1222), iniziò la composizione del suo libro monumentale al fine di registrare le sue invenzioni. Il compito fu completato nel 1206.
 Scritto in arabo, il trattato si intitolava significativamente: Al-Jami ‘Bayna’ l-’ilm wa-’l-’amal al-Nafi ‘fi sinat’at al-hiyal, un compendio sulla teoria e la pratica della arti meccaniche. Questo è l’unico scritto lasciato da al-Jazari, conosciuto in più copie manoscritte. 
Il libro è il più ampio trattato di ingegneria meccanica scritto fino all’epoca dell’autore e non solo. Secondo il manoscritto conservato presso la Bodleian Library di Oxford (MS Graves 27), al-Jazari finì di scrivere il suo libro nel gennaio 1206. D’altro canto, il colophon del ms Ahmet III, 3472, scritto il 10 aprile 1206, ci dice che al-Jazari era già morto in questa data. Pertanto, la sua morte deve essere avvenuta agli inizi del 1206, pochi mesi dopo il completamento della sua monumentale enciclopedia di arti meccaniche.

Al-Jazari ha incorporato nel suo libro i risultati di 25 anni di ricerca e pratica su vari dispositivi meccanici come ingegnere. 
Il libro descrive in dettaglio cinquanta dispositivi (ashkâl, che significa figure o modelli), che sono raggruppate in sei categorie: dieci orologi ad acqua e a candela 
dieci recipienti e figure adatte per bere 
dieci brocche e bacini per flebotomia e abluzioni prima delle preghiere (wudhu) 
dieci fontane che cambiano la loro forma alternativamente e macchine per il moto perpetuo 
cinque macchine di raccolta dell’acqua quattro dispositivi vari (compreso il lucchetto a combinazione primaria). 

C’era ovviamente una richiesta di dispositivi di questo tipo che avrebbero fornito divertimento e piacere estetico, oltre a fornire risposte alle esigenze pubbliche e private nel campo della tecnologia per il calcolo del tempo e per l’agricoltura, come la raccolta di acqua per l’irrigazione.
 Il suo libro sembra essere stato molto popolare a giudicare dal gran numero di copie manoscritte che furono realizzate e, come spiega più volte, egli descrive solo i dispositivi che lui stesso ha costruito. Secondo Mayr, lo stile del libro assomiglia a quella di un moderno libro “fai-da-te.

Il dispositivo di pompa a catena


Macchina per il sollevamento dell’acqua


L’elefante orologio


Orologio a candela


La banda di automi musicali


Un automa da tavola


L’automa per l’abluzione delle mani 

 Il libro di al-Jazari, che contiene la maggior parte dei dispositivi e delle tecniche dei suoi predecessori, rappresenta il culmine delle conquiste islamiche nella tecnologia meccanica: l’autore riconosce il suo debito verso meccanici greci e arabi, citandoli anche per nome. Alcuni dei suoi dispositivi erano ispirati da precedenti dispositivi, come un monumentale orologi ad acqua, basato su quello dello pseudo-Archimede. 
Egli cita anche l’influenza dei fratelli Banu Musa per le loro fontane, di al-Asturlabi per la progettazione di un orologio a candela, e Hibat Allah ibn al-Husayn (m. 1139) per gli automi musicali. Al-Jazari continua a descrivere i miglioramenti che ha fatto rispetto ai suoi predecessori e descrive una serie di dispositivi, tecniche e componenti che sono le innovazioni originali che non compaiono nelle opere precedenti.

All’inizio gli automi venivano usati più che altro per divertimento, in Europa come in Cina o in Medio Oriente, nonostante fossero costruiti con le migliori tecnologie di ogni epoca, al punto che ancora oggi i complicati ingranaggi che li muovevano sono studiati e ammirati. 
Il primo progetto documentato di automa programmabile, a cui cioè si potesse “dire” cosa fare, risale al XIII secolo ed è stato realizzato dallo scienziato arabo: era una nave con quattro musicisti in grado di compiere una cinquantina di movimenti diversi con il corpo, realizzata per intrattenere gli ospiti durate le feste di corte.
 Il suo “motore” era costituito da una serie di pistoni, sul modello di quelli che creano il movimento nei motori delle automobili. L’automa che suonava di tamburi poteva eseguire diversi ritmi e partiture a seconda di come venivano spostati i pistoni interni. 
Ad esempio l’automa per l’abluzione delle mani era destinato al lavaggio delle mani per incoraggiare l’igiene degli invitati di corte, Al Jazari inventò anche un automa dotato del meccanismo di scarico dell’acqua che oggi utilizziamo nello scarico del gabinetto.
 L’automa aveva l’aspetto di una bella ragazza la quale reggeva una bacinella riempita con acqua. Quando si premeva la leva che lo metteva in funzione, l’acqua scorreva sulle mani dell’ospite mentre l’automa riempiva nuovamente la bacinella. Più sofisticata ancora era la “fontana del pavone”, altro automa per lavarsi le mani – evidentemente l’igiene era un problema molto sentito anche nell’antichità – costituito da automi dalle forme umane che offrivano sapone e asciugamano agli ospiti.
 L’ingegnere arabo ha portato molte nuove invenzioni e inoltre ha migliorato o reintrodotte vecchie invenzioni come l’orologio elefante che abbracciava molte culture come una dedica di rispetto e comprensione. Nei sette metri di altezza orologio possiamo osservare un elefante indiano, una fenice egizia, cifre arabe, tappeto persiano, e draghi cinesi, un modo di celebrare la diversità del mondo.

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Buongiorno

martedì 16 luglio 2013

Buonanotte

Barzellette?????........magari !!!!!



1° Boldrini:bene la Rai su no Miss Italia “Una scelta moderna e civile: spero che le ragazze italiane possano avere, per farsi apprezzare, altre possibilità (anche televisive) che non quella di sfilare numerate”.
Lo ha detto il pre- sidente della Camera Boldrini circa la scelta della Rai di “rinunciare quest’ anno a Miss Italia”.
Boldrini ricorda di aver già espresso un apprezzamento in merito alla presidente Tarantola.

2° JESOLO — Grave episodio di discriminazione sessuale a Jesolo. In vista dell’estate 2013 nessuna donna potrà lavorare come beach steward.
La sicurezza in spiaggia dovrà essere garantita da soli uomini in quanto gli immigrati islamici non accettano di essere rimproverati da donne.
Non si vuole offendere la religione islamica, quindi niente donne.
E’ stato Renato Cattai, presidente di Federconsorzi, associazione che raggruppa i gestori dell’arenile jesolano, a darne notizia il giorno di presentazione del servizio di spiaggia lanciato un anno fa. «Nel 2012 le ragazze hanno svolto benissimo il loro compito —afferma Cattai —ma abbiamo rilevato che in vari casi sono state motivo di tensione con gli immigrati e non certo per colpa delle operatrici».
Il motivo? La diversa considerazione della donna nella religione musulmana. «Abbiamo riscontrato che il musulmano non tollera di essere rimproverato da una donna— continua Cattai —la considera un’offesa, si agita, risponde in malo modo, creando situazioni di tensione.
E così abbiamo deciso di impiegare solo maschi».

3° A Cagliari, estremisti di sinistra e zingari manifestano perché i privilegi dei secondi vengano garantiti.
La protesta nasce dalla denuncia fatta da molti cittadini e portata avanti da Lotta Studentesca contro questo regalino del Comune – l’ennesimo – ai Rom:
Il Comune stanzia 40 mila euro: serviranno agli zingari ex abitanti del campo nomadi e ora residenti nelle villette donate dal comune, per frequentare corsi professionali, in modo da creare “nuove attività imprenditoriali per la salvaguardia dell’ambiente e il riciclaggio”.
Siamo allo sbando più completo.
I pazzi hanno preso possesso del manicomio e ora lo dirigono a modo loro, da pazzi.
Per partecipare ai corsi, i “rom adulti” dovranno conseguire la licenza media, per questo il Comune, insieme alla famigerata Caritas e a tre istituti scolastici cagliaritani, ha firmato una convenzione che prevede il conseguimento della licenza. Stanziando 20 mila euro che verranno utilizzati per l’acquisto di libri e lezioni speciali ai rom.
Altri diecimila euro verranno girati all’associazione “Co.sa.s”, che metterà a disposizione insegnanti di italiano.
I restanti diecimila verranno divisi tra gli istituti Manno, Cima e Pier Luigi Da Palestrina,
Saranno stanziati anche soldi – non ridete – per un servizio di baby-sitteraggio, che attiverà la famigerata Caritas, per facilitare la frequentazione ai corsi delle mamme zingare.
Come si evince anche da questa notizia, gli zingari sono proprio perseguitati in Italia.
E voi che i libri ai vostri figli li pagate di tasca vostra?
E voi, mamme che lavorate, che non sapete a chi lasciare i figli perché gli asili comunali sono ormai “cosa loro”, chi ve la paga la baby-sitter? 


4° http://voxnews.info/2013/05/16/scandaoloso-a-cagliari-dopo-le-ville-40mila-euro-in-regalo-agli-zingari/
Ormai il Comune di Cagliari sembra una sorta di paradiso per “nomadi”: villette, baby-sitter gratis, corsi e chi più ne ha più ne metta per i “fratelli” rom. Intanto i disoccupati cagliaritani sono alla disperazione, e qualcuno tenta il suicidio.
Ma di questa gente perbene agli oikofobici che manifestano non interessa. Razzisti.

5° Laura Boldrini vuole dare la cittadinanza a tutti i clandestini e a tutti gli immigrati.
A chiunque passi, anche per sbaglio, in Italia.
“Il vero problema è l’integrazione: concedere la protezione dello Stato a chi chiede asilo e poi negargli l’accompagnamento necessario per diventare autonomo significa condannarlo a vivere ai margini e senza prospettive”.
Quindi, accoglierli e poi dargli i soldi, perché non basta lo stipendio di 45€ al giorno a testa. “Costituisce un pericoloso anacronismo che una legge sulla cittadinanza non prenda atto in Italia.
Qui vivono quattro milioni di immigrati ai quali sono preclusi diritti civili.
Ciò crea animosità”. Dategli la cittadinanza o si incazzano. E fanno come Kabobo.
“Gli allarmismi e la sindrome d’assedio danneggiano la coesione sociale” anche “perché non siamo l’unico paese a farci carico dei migranti. C’è un vittimismo non giustificato dai numeri”. “Non sono clandestini, sono rifugiati. E non è certo l’Italia il punto più esposto. L’emergenza clandestini non esiste.
E’ solo un’invezione”. Orwelliano. Siamo alla negazione della realtà.
Quelli che assaltano Lampedusa non esistono.
Voi li vedete, perché è una proiezione del vostro razzismo. In realtà sono turisti, sono i vostri pregiudizi che ve li fanno vedere come clandestini. 

Isola d'Ischia: I Giardini La Mortella


Il Museo-Giardino di Lady Walton, comunemente conosciuto come La Mortella, è un giardino creato da Susana Walton, moglie del compositore inglese William, a Forio, nella parte occidentale dell'isola d'Ischia. A partire dal 1990 il giardino è aperto al pubblico.

Il termine mortella indica, nel dialetto napoletano, il "mirto divino" (Myrtus communis), una pianta che spunta con grande abbondanza tra le rocce della collina su cui si sviluppa il giardino e che rivestiva notevole importanza nella mitologia greco-romana, a volte rappresentando la bellezza o la verginità, altre volte l'amore o la fortuna pagana.

Nel 1949 il musicista William Walton decise di stabilirsi nell'isola d'Ischia con la moglie argentina Susana. 
I coniugi costruirono ai piedi del monte Zaro, una colata di roccia lavica, una villa circondata da un grandioso giardino botanico.
 La realizzazione del giardino (la cui ideazione risale al 1956) fu affidata, negli anni '60, all'architetto paesaggista Russell Page, il quale disegnò tutta la sistemazione del Giardino a Valle, integrandolo fra le pittoresche formazioni rocciose.
 Oggi La Mortella è composta da due parti profondamente diverse: La Valle, appunto, disegnata da Russell Page, caratterizzata da un clima subtropicale, umida e protetta dal vento, e la Collina o giardino superiore, interamente ideato e sviluppato da Lady Walton, con zone assolate e battute dal vento e caratterizzate da vegetazione proveniente dalle aree mediterranee.

Nel giardino superiore sono presenti la Sala Thai, circondata da fiori di loto, bambù e aceri giapponesi, il Tempio del Sole, arricchito da bassorilievi di Simon Verity; la Cascata del Coccodrillo; il Ninfeo; il Teatro greco e la Roccia di William, un masso trachitico posto su di un promontorio a circa 120 metri dal livello del mare, dove sono custodite le ceneri dell'artista.

Il giardino si sviluppa su un'area di circa 2 ettari e raccoglie più di 3000 specie di piante esotiche e rare. È inoltre arricchito da ruscelli e laghetti, fontane, piscine, corsi d'acqua che permettono la coltivazione di piante acquatiche come papiro, fior di loto e ninfee tropicali, mentre dai terrazzamenti delineati sui muri a secco mediterranei è possibile godere di una delle più suggestive viste della baia di Forio.

Nel giardino sono presenti collezioni di specie vegetali provenienti da svariati paesi: felci arboree del continente australe, protee e aloe provenienti dal Sudafrica, yucche e agavi messicane, oltre che palme, cicadacee, magnolie e camelie, bauhinie.
 Piante assai rare sono la Spathodea campanulata originaria dell'Africa tropicale, la Jacaranda Mimosifolia dell'Argentina, la Dracaena draco delle Canarie, la Puya berteroniana del Cile, i metrosideros della Nuova Zelanda, la Chorisia speciosa e molti esemplari di orchidee.

Nella Serra della Victoria vengono inoltre coltivate la ninfea Victoria amazonica e la rarissima rampicante delle Filippine Strongylondon macrobotys, famosa per i fiori color verde giada.

Sia il giardino che la casa-museo dove il maestro componeva le sue opere sono aperti al pubblico dalla Fondazione William Walton e la Mortella, italiana, insieme al William Walton Trust, ente morale italo-britannico di cui è presidente d'onore il principe di Galles, Carlo d'Inghilterra.
 Lo scopo preminente delle fondazioni Walton è quello di fare della Mortella un centro di studio per giovani musicisti di talento sotto la direzione dei più importanti maestri del mondo e di aprire al pubblico il giardino con la Sala Recite/Museo. Per questi motivi ogni anno vengono offerte borse di studio per compositori in collaborazione con l'università di Harvard e viene organizzata una stagione di concerti con le scuole di musica di Napoli, Roma e Firenze.

L'eruzione del Krakatoa


Quanto fu assordante l’eruzione vulcanica del Krakatoa, noto come il rumore più forte mai udito dall’uomo? Se a Los Angeles, in California, si verificasse un’esplosione di magnitudo equivalente a quella del Krakatoa, verrebbe udita fino a New Heaven, nel Connecticut. 
Altri disastri naturali hanno preteso un pedaggio di morte più elevato del Krakatoa, ma l’eruzione di questa isola vulca­nica indonesiana verso la fine di agosto del 1883 costituisce una sequela incre­dibile di superlativi geofisici. Di fatto, l’inquietante violenza dell’eruzione illu­stra in modo drammatico le colossali forze della natura, in confronto alle quali i poteri dell’uomo sono minuscoli. Certo, in teoria siamo in grado di distruggere il pianeta utilizzando le armi nucleari a disposizione dei vari paesi, ma non abbiamo mai creato un’arma che si avvicini anche solo alla potenza d’eruzione del Krakatoa. 
L’isola di Krakatoa si trova nel distretto di Sunda, tra le isole indonesiane di Giava e Sumatra. E' sempre stata disabitata, benché siano molti i visitatori che si recano in quest'isola vulcanica.
 La prima eruzione registrata del Krakatoa risale al 1680. Il vulcano rimase quindi inattivo per più di 200 anni, fino a un ciclo di eruzioni iniziato nel maggio del 1883. I vicini abitanti di Giava e Sumatra non le considerarono allarmanti. C’era addirittura chi visitava l’isola e saliva a sbirciare all’interno della bocca del vulcano. Nessuno evacuò, e tutti continuarono la propria vita. Passò l’estate. Poi, a mezzogiorno del 26 agosto 1883, una domenica, il Krakatoa eruppe in una serie di enormi esplosioni, e cenere e pomice cominciarono a piovere sulle case e sulle navi nello stretto di Sunda.
 Il fenomeno durò per ventiquattro ore fino al giorno seguente, quando quattro immense esplosioni, la più potente delle quali alle dieci del mattino, fecero lette­ralmente tremare il mondo. Quell’esplosione svegliò gli abitanti dell’Australia meridionale, distanti più di 4000 chilometri. L’onda d’urto fece il giro della terra sette volte alla velocità di 1000 chilo­metri all’ora… tre volte in una direzione, quattro in quella opposta. La cenere espulsa dal vulcano si alzò per 80 chilometri nell’atmosfera, e la polvere fece più volte il giro della terra, depositandosi quasi ovunque sul pianeta. Era così spessa che per due giorni nello stretto di Sunda vi fu il buio più totale. Il Krakatoa fece sì che sull’isola altri vulcani più piccoli eruttassero, e il calore combinato delle esplosioni fece salire la temperatura dell’oceano a ben 60 gradi. Inoltre, un manto di pomice alto 3 metri ricoprì le acque per miglia e miglia intorno a Giava e Sumatra.
 L’eruzione causò inoltre uno tsunami, un’onda anomala che provocò grande distruzione e fu percepita fino a Capo Hom, in Sudamerica.

Le ondate provocate dal Krakatoa, alte 30-40 metri, ingoiarono trecento villaggi costieri e porti, uccidendo più di 36.000 persone, annegate oppure schiacciate dal crollo degli edifici. Furono pochi a finire inceneriti dalla lava o dalle onde d'urto. La principale causa di morte fu lo tsunami… era così grande da essere avvertito sulla costa occidentale degli Stati Uniti. L'esplosione affondò un tratto di terra costiera di 130 chilometri quadrati, così come parecchie isole più piccole nello stretto di Sunda.

La Berow, una cannoniera olandese ormeggiata nel porto di Telok Betong, Sumatra, venne investita dallo tsunami, trasportata in aria e quindi lasciata cadere a circa 2 chilometri all’interno, in una foresta. Moltissime navi nelle acque circostanti l’Indonesia non furono altrettanto fortunate; la maggior parte colò a picco e non fu mai recuperata.

Il Krakatoa spedì nell’atmosfera 13 chilometri di detriti, dove rimasero per ben due anni. Questo materiale fece sì che il sole di mezzogiorno apparisse azzurro in Sudamerica, e nelle Hawaii i tramonti verdi si susseguirono per mesi. 
 La polvere creò inoltre spettacolari tramonti in tutto il mondo per parecchi mesi dopo l’eruzione. Alcuni sembravano enormi incendi in lontananza. Due mesi dopo, nell’ottobre 1883, molti abitanti di New Heaven, Connecticut, chiamarono i vigili del fuoco perché pensavano che i tramonti fiammeggianti che vedevano in realtà fossero incendi giganteschi. Il fenomeno fu osservato anche in molte aree della costa orientale statunitense. 
 Alla fine, esaurita la sua energia, esausto il potere, il Krakatoa affondò in mare. Al suo posto ora c’è Anak Krakatoa, «figlia del Krakatoa», un’isola vulcanica più piccola in cui si è verificata un’eruzione di scarsa entità nel 1928, e che continua a eruttare periodicamente. È nondimeno altamente improbabile che l’Anak potrà mai raggiungere il potere catastrofico del Krakatoa. Un’eruzione di magnitudo uguale o maggiore è possibile in altri luoghi della terra, ma fino a questo momento il Krakatoa detiene il record dell’eruzione vulcanica più potente di tutti i tempi.
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