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venerdì 22 febbraio 2019

I nativi americani utilizzavano reti di condivisioni simili ai nostri social media


Anche i nativi americani utilizzavano delle reti di condivisioni che ricordano molto i social media della nostra generazione, chiaramente con strumenti diversi. 

A stabilirlo è un nuovo studio pubblicato su PNAS. 

Molto tempo prima che Snapchat, Instagram, Facebook e persino l’indimenticabile MySpace entrassero a far parte della nostra quotidianità, anche i nativi americani degli Appalachi meridionali utilizzavano dei sistemi di comunicazione e delle reti di condivisioni che ricordano (con le dovute accortezze del caso) i nostri canali social.

 La ricerca è stata condotta dalla Washington University di St. Louis. 
 “Proprio come abbiamo le nostre reti di ‘amici’ e followers su piattaforme come Facebook e Twitter, anche i nativi americani tra il 1200 e il 350 avevano le loro reti di condivisioni”, spiega Jacob Lulewicz, docente di archeologia nel Dipartimento di Antropologia in Arte e Scienze. 

 Lo studio ha trovato il modo di ricostruire tali reti di comunicazioni sostenendo che queste hanno gettato poi la base per lo sviluppo di sistemi politici successivi. 

Vediamo allora come funzionava questo sistema che univa amici e famiglie di villaggi vicini ben prima dell’arrivo degli esploratori europei. 

 Chiaramente non parliamo di giga, di post su Facebook o di tweet, ma di un archivio di messaggistica che avveniva tramite tavolette di ceramiche ritrovate a dozzine nei siti vicino al Mississippi.
 I frammenti in ceramica rappresentano un patrimonio incredibile: 276.626 sono stati trovati in 43 siti nel Tennessee orientale e 88.705 frammenti in 41 siti nel nord della Georgia.


La collezione rappresenta tavolette in ceramiche creata tra l’800 e il 1650 d.C., un periodo che ha visto l’emergere graduale e il successivo declino di intere dominazioni che controllavano i villaggi locali.

 Gli scienziati si sono concentrati sull’evoluzione e sui cambiamenti di queste ceramiche, ovvero la loro forma, i simboli culturali utilizzati per decorarli e via dicendo arrivando alla conclusione che questi reperti rappresentano una mappa cronologica dettagliata delle connessioni esistenti tra diverse comunità.

 Lo studio si concentra sui villaggi raggruppati attorno al sito di Etowah nella contea di Bartow, in Georgia, un’importante comunità Mississippiana dove c’erano perfino grandi edifici cerimoniali.
 Uno di questi serviva come sede regionale del potere sociale, politico, economico e religioso di tutta la regione.
 E ancor prima che arrivassero gli europei, la leadership di chi stava al potere era fortemente influenzata proprio da ciò che veniva inciso su queste ceramiche. 

 “Quello che abbiamo dimostrato in questo studio è che mentre i domini e i capi cambiavano, le fondamenta della società così come la rete di parentela e amicizia con le persone dei villaggi vicini, rimanevano intatte, grazie a questo tipo di comunicazione”, scrive Lulewicz nello studio.

 Questa scoperta suggerisce che i legami sociali hanno sempre giocato un ruolo importante nell’aiutare le società a coalizzarsi con o contro i leader e le classi dominanti.

 E’ proprio per questo motivo che i ricercatori rimandano al ruolo dei social network attuali. 

 “Queste reti di comunicazione sono state una costante sociale per queste persone e hanno permesso alle loro culture di persistere per migliaia di anni anche attraverso trasformazioni che avrebbero potuto essere catastrofiche”. 

 Dominella Trunfio

In Svizzera c’è una città devota al numero 11


Undici chiese, undici fontane, undici torri.
 E poi ancora undici musei, undici pozzi e un orologio con undici numeri. 

In Svizzera c’è una città devota al numero 11: si tratta di Soletta, città romana dalle fattezze barocche, l’undicesimo stato della Confederazione nella lista dei cantoni.

 La storia della città di Soletta è inestricabilmente legata al numero undici, a partire dalla cattedrale di Sant’Orso e San Vittore (o St. Ursenkathedrale) costruita tra il 1762 e 1783 (in 11 anni!) dall’architetto di Ascona Gaetano Matteo Pisoni.


Il campanile misura 6 metri per 11. 
Sulla torre sono appese undici campane mentre all'interno ci sono undici altari, visibili tutti insieme solo da un posto : dall’undicesima pietra nera della navata. 
Le scale sono formate da 11 gradini e il numero delle pipe dell’organo sono multiplo di 11.


Gli abitanti di Soletta chiamano persino la loro birra Oufi, che nel dialetto regionale significa appunto undici. 
Il «numero magico» compare poi in molti nomi e viene celebrato in modo speciale nelle ricorrenze famigliari, per i compleanni e gli anniversari. Vietato qui non celebrare gli 11 anni, i 22, 33, 44 e così via. 

 Fra le cose da non perdere in città c’è senz’altro la torre dell’orologio con il suo quadrante astronomico e l’antico carosello con un cavaliere, uno scheletro e un re con un berretto da giullare che ad ogni rintocco - tutti i giorni dal 1545 - rovesciano la clessidra.






Ma il «vero» orologio di Soletta non si trova nella piazza principale, bensì sulla facciata di una banca, in piazza Amthauspl: un'opera di 3 metri creata dall’artista Paul Gugelmann Gretzenbach con un quadrante a undici ore, che suona la canzone di Soletta alle 11 e a mezzogiorno, poi nuovamente alle 17 e alle 18.



Fonte: lastampa.it
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