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domenica 30 settembre 2018

Rasaglia: il borgo dai tanti ruscelli


C’era una volta, e c’è ancora, un piccolissimo borgo tra i monti umbri. Rasaglia, un incantevole agglomerato di casette in pietra che ospita attualmente meno di 50 abitanti.
 Una frazione di montagna del comune di Foligno immerso nel verde. 
Tra le casette scorrono diversi ruscelli alternati da stradine scoscese e molto romantiche.


Alcuni hanno definito Rasaglia una piccola Venezia . 

Come per ogni borgo in queste zone, le sue mura hanno molto da raccontare: un vero libro di storia del nostro paese. 
Questa piccola bomboniera architettonica, nacque intorno al XIII secolo. 
Le prime case sorsero in questa zona ricca di acque limpide al fianco di mulini ad acqua e opifici tessili.
 Pian piano divenne così un vero e proprio centro produttivo: in passato si produceva ricchezza oggi benessere.






Il borgo di Rasaglia, ha mutato nel tempo la propria direzione economica. 
Con il declino delle aziende tessili presenti sul territorio, l’economia della zona ha puntato tutto sulle proprie bellezze. Grazie alle straordinarie caratteristiche architettoniche e naturali del borgo, infatti, vengono attirati a Rasaglia, numerosi turisti ogni anno. 
Inoltre, alcuni amanti di questo magico luogo, si sono prodigati per organizzare eventi atti a ravvivare il borgo. 
Infatti annualmente sono organizzati eventi come il presepe vivente a Natale o la manifestazione “Penelope a Rasiglia”. 
Quest’ultimo evento ha luogo a giugno e sono previste delle attività per rievocare il periodo dell’industria tessile presente nel borgo nei secoli scorsi. Infatti, in questo periodo vengono rimessi in moto i vecchi telai usati dagli opifici tessili e dai lanifici.







Fonte: viaggiare.moondo

Scoperte le cascate sottomarine più alte del mondo


Lì, sotto lo Stretto della Danimarca, che separa l’Islanda e la Groenlandia, si gettano silenziose in immense gole nascoste alla vista e sotto l’oceano le cascate più alte del mondo scoperte da poco dagli oceanografi.
 Di fatto, anche se subacquea, è la cascata più alta del mondo, con l'acqua che cade a quasi 3.505 metri, più di tre volte l’altezza delle più alte cascate terrestri, le cascate Angel.

 Le più famose cascate sottomarine sono sicuramente quelle presenti nella Mauritius, ma come si formano?

 Quando l’acqua più fredda e densa dei mari nordici incontra l’acqua più calda e più leggera del mare di Irminger ecco che si crea un autentico fenomeno naturale: l’acqua fredda è più pesante, scorre verso il basso e sotto l’acqua calda, e scorre creando un flusso verso il basso stimato a 5 milioni di metri cubi al secondo. In confronto, la portata delle cascate del Niagara è di "soli" 2407 metri cubi al secondo.


Gli oceanografi erano a conoscenza delle cascate sottomarine già negli anni ‘70 dell’Ottocento, ma la loro grande profondità e la loro area limitata impedirono uno studio preciso. 
Fu solo negli anni ’60 del ‘900 che l’investigazione del fenomeno divenne possibile con le moderne attrezzature e così circa una mezza dozzina di cascate sottomarine sono state scoperte solo nell’Oceano Atlantico.
 Tutte dalle dimensioni enormi: per esempio, la cascata del Ceara nel Nord Atlantico tra i continenti del Sud America e dell’Africa ha una portata compresa tra 1 e 2 milioni di metri cubi al secondo. Allo stesso modo, la cascata del Rio Grande a 20 gradi di latitudine sud nell'Oceano Atlantico ha una portata di 4 milioni di metri cubi al secondo, forse grande quanto quella dello stretto della Danimarca.

 Anche le cascate oceaniche giocano un ruolo importante nel mantenimento della salinità e del clima degli oceani, così come hanno influenza anche sulla biologia marina. 

Un fenomeno meraviglioso, che varrebbe la pena ammirare da vicino.


 Germana Carillo

venerdì 28 settembre 2018

L’Olandese Volante: il leggendario vascello fantasma frutto di un miraggio


Dalla fine del XVIII secolo, tutti i marinai che navigavano per mari e oceani avevano il terrore di imbattersi nell’Olandese Volante, il vascello fantasma che immancabilmente preannunciava un’inevitabile disgrazia. 
 Condannato a navigare in eterno, senza mai poter tornare a casa, con un equipaggio formato da spettri: quella dell’Olandese Volante è una leggenda che per oltre 250 anni si è alimentata delle superstizioni tanto diffuse tra i marinai.


Il primo racconto sul mitico vascello fantasma risale alla fine del ‘700, in un’opera attribuita a John MacDonald, che racconta: 
“Il tempo era così tempestoso che i marinai dissero di aver visto l’Olandese Volante. La storia comune è che questo olandese sia arrivato al Capo (di Buona Speranza) con cattivo tempo, e voleva entrare in porto, ma non riuscendo a trovare un pilota per condurla al sicuro, si era perso e da allora appare quando è brutto tempo.” 

Nel 1795, l’Olandese Volante viene citato anche da George Barrington, spedito alla prima colonia penale australiana, ma in seguito divenuto un personaggio importante.
 Nel suo Voyage to Botany Bay, Barrington racconta la storia di una fregata olandese abbandonata al largo del Capo di Buona Speranza.  
Alla fine del XVIII secolo, il leggendario Olandese Volante era quindi una “comune superstizione dei marinai”, una nave fantasma avvistata spesso nelle acque burrascose che bagnano la costa meridionale dell’Africa.


Ma com’era nata la leggenda? 

Una delle tante leggende del mare narra di un comandante olandese, Hendrick van Der Decken, che tornando ad Amsterdam dalle Indie Orientali, nel 1641, si ritrovò in mezzo a una terribile tempesta, mentre doppiava il Capo di Buona Speranza.
 Forse era impazzito o forse era solo ubriaco, comunque sia, il comandante non ascoltò le suppliche dei suoi marinai, e ordinò di proseguire la navigazione dentro la tempesta, anche a costo di impiegare tutta l’eternità per oltrepassare il Capo. 
Ovviamente la nave affondò, forse anche per la blasfemia di Van Der Decken, che piuttosto di cercare riparo nella baia dannò la sua anima e quella dei suoi uomini, ridotti a spettri condannati a vagare su acque tempestose fino alla fine dei giorni.

 I marinai raccontavano che il vascello fantasma portava le navi fuori rotta, facendole sbattere su rocce e scogli nascosti, ma se qualcuno aveva la sfortuna di guardare in faccia il comandante, allora la morte era certa. 
I coraggiosi che guardavano l’arrivo di una tempesta al largo del Capo di Buona Speranza, sicuramente avrebbero visto l’Olandese Volante e il suo spettrale equipaggio. 

 La leggenda divenne popolare anche al fuori dell’ambito marinaresco nel 1843, quando Wagner compose l’opera chiamata appunto L’Olandese Volante. 
Prima di lui, il poeta inglese Samuel Coleridge aveva scritto La ballata del vecchio marinaio, ispirato forse dalla storia del capitano Bernard Fokke, che riusciva a condurre la sua nave da Amsterdam all’isola di Giava (Indonesia) in soli tre mesi: un tempo così breve da indurre il sospetto che avesse fatto un patto con il diavolo. 
E infatti, nei racconti narrati tra marinai, spesso il comandante dell’Olandese Volante veniva visto giocare ai dadi con la Morte oppure con il diavolo in persona, arrivando sempre alla stessa conclusione: lo spettrale equipaggio del vascello fantasma avrebbe vagato per mari e oceani fino al giorno del giudizio

 

 Eppure, la leggenda dell’Olandese Volante non ha convinto solo superstiziosi marinai del 1700: nel 1881, il principe Giorgio del Galles (il futuro Giorgio V) e suo fratello, il principe Alberto, stavano navigando al largo delle coste australiane, in servizio come guardiamarina sulla HMS Bacchante.


Nel suo diario, il futuro re scrisse: 11 luglio. Alle 4 del mattino l’Olandese Volante ha incrociato la nostra rotta. 
Brillava di una strana luce rossa incandescente, come di una nave fantasma, in mezzo alla quale luce spiccavano in forte rilievo gli alberi e le vele di un brigantino, a 200 metri di distanza…” 

Quando la Bacchante giunse nel punto dove era stato avvistato il brigantino, non c’era traccia della nave, anche se la notte era chiara e il mare calmo. 
Però, ben tredici persone l’avevano vista. Fece comunque una brutta fine solo il marinaio che per primo aveva riferito dell’Olandese Volante: cadde dall’albero maestro 

 Ma gli avvistamenti dell’Olandese Volante proseguirono anche nel XX secolo: nel 1939, molti residenti di Città del Capo dichiararono di aver visto una nave a vele spiegate, scomparsa improvvisamente; durante la seconda guerra mondiale, alcuni marinai tedeschi videro qualcosa di simile a una nave fantasma nel Canale di Suez, come accadde anche a uno scrittore britannico, arruolato nella Royal Navy.


Anche se tutti questi avvistamenti possono sembrare frutto di fantasia, in realtà potrebbero avere una spiegazione scientifica: si tratta di un fenomeno chiamato fata morgana (frequente, ad esempio, nello stretto di Messina), un’illusione ottica dovuta alla rifrazione solare grazie alla quale si può vedere in maniera distorta un oggetto che realmente si trova oltre la linea dell’orizzonte, sia in mare sia sulla terraferma.
 In pratica, un miraggio 

 Probabilmente quindi, i marinai che avvistavano l’Olandese Volante erano invece vittime di Fata Morgana… un intreccio di leggende che continua ad affascinare ancora oggi: i film sui Pirati dei Caraibi ne sono una prova!

 Fonte: .vanillamagazine.it

giovedì 27 settembre 2018

In Nuova Caledonia c'è un albero “magico” che trasuda linfa azzurra


Un liquido appiccicoso azzurrognolo.

 Nel sul del Pacifico vive un raro albero che ha la capacità di trasudare una insolita resina colorata. 
Si tratta del Pycnandra acuminata e lo si può ammirare nelle foreste pluviali della Nuova Caledonia, in un'area in cui la terra è contaminata da metalli pesanti.

 Solitamente il nichel e lo zinco sono l'ultima cosa di cui le piante vorrebbero nutrirsi. E invece questo albero, alto oltre venti metri, ne è diventato un iperaccumulatore, evolvendosi per utilizzare a proprio favore delle sostanze che normalmente sarebbero tossiche, trasformando la sua linfa contaminata in una barriera naturale per gli insetti.


E a quaranta anni dalla scoperta di questa insolita resina colorata che trasudava dai tronchi della foresta pluviale, i ricercatori hanno dimostrato come questo albero si sia adattato al terreno della Nuova Caledonia, iniziando così a generare una linfa blu-verde fatta al 25% da nickel. 
Una caratteristica unica per un albero che impreziosisce la biodiversità di un paradiso terreste conosciuto soprattutto per la sua laguna, la più grande del mondo, da dieci anni Patrimonio mondiale dell'umanità

 Fonte: lastampa.it

martedì 25 settembre 2018

Sidro, succo e aceto di mele: differenze, proprietà e benefici


Il sidro di mele 

 Una bevanda dall’origine molto antica, le cui prime versioni pare risalgano ai tempi di Greci e Romani. Il sidro è ricavato dalla fermentazione delle mele, da cui si ottiene un liquido con una gradazione alcolica che va dai 2 all’8,5% Alc. Il sidro ottenuto può avere diverse caratteristiche, così come le altre bevande alcoliche: con un gusto che va dal secco al dolce; una frizzantezza più o meno accentuata; e un diverso grado di torbidità. Consumato specialmente nel Regno Unito, in Francia e Germania, il sidro è ricco di antiossidanti e di acido malico che contrasta la ritenzione idrica; senza contare che è stato dimostrata la sua capacità di favorire la digestione e riequilibrare il pH intestinale.


Il succo di mele 

 Il succo di mele è una bevanda piuttosto apprezzata per il suo ottimo sapore. Viene ottenuto facendo bollire le mele in acqua e limone, filtrando poi il tutto. La peculiarità interessante del succo è che mantiene buona parte delle sostanze benefiche della mela, come: i polifenoli e gli antiossidanti. Anche in questo caso non manca, poi, l’acido malico, con importanti funzioni depurative. Tra le proprietà e i benefici, inoltre, viene mantenuto un ottimo apporto alla regolazione dell’intestino. Una bevanda indubbiamente valida, anche per i più piccoli!


L'aceto di mele 

 L’aceto è di mele, come il sidro, è ricavato facendo fermentare le mele, solo più a lungo. Esso può essere utilizzato esattamente come il classico aceto di vino, presentando però un gusto più dolce e delicato. Una sostanza che presenta diverse proprietà e benefici per la salute, tra cui un ottimo apporto di sali minerali, quali il fosforo, il rame, il potassio, il magnesio e il ferro. Inoltre conserva diversi caratteristiche benefiche delle mele, quali il contrasto alla ritenzione idrica e la disinfezione delle vie urinarie. Senza contare poi che può essere utilizzato anche al di fuori della cucina: per l’igiene della casa, ma anche in ambito cosmetico. L’aceto di mele può essere usato, per esempio, per ravvivare la lucentezza dei capelli e per combattere la forfora.


 Fonte: www.innaturale.com

lunedì 24 settembre 2018

Una fitta ragnatela di trecento metri ha ricoperto la spiaggia greca di Aitoliko


Un'inquietante quanto enorme ragnatela ha ricoperto trecento metri di costa ellenica. 
Siamo ad Aitoliko, nella Grecia occidentale, a 300 chilometri da Atene, e anche se queste immagini potrebbero sembrare finte, documentano l'incredibile opera creata da migliaia di ragni Tetragnatha. 
Si tratta infatti di un enorme nido per l'accoppiamento che ricopre con uno spesso strato di ragnatele la vegetazione che si trova proprio a ridosso della spiaggia.


Trecento metri di costa sembrano essersi trasformati in un set di un film horror: tutto sembra avvolto dalla nebbia, in una surreale creazione fatta con chilometri e chilometri di fili di seta.

 A contribuire a questo insolito spettacolo della natura, il caldo fuori stagione che ha aumentato la popolazione di zanzare e a loro volta quella di questi ragni, non pericolosi per l'uomo.


Secondo quanto affermato da Maria Chatzaki, professoressa di biologia molecolare della Democritus University of Thrace, su quel tratto di costa si sono create le condizioni ideali per la riproduzione in gran numero della specie: «È come se i ragni ne abbiano approfittato per organizzare una grande festa». 
Ovvero, all'interno nell'enorme ragnatela che ricopre rocce, piante e alberi della costa greca, i ragni «si accoppiano, si riproducono e forniscono un'intera nuova generazione».


Pare comunque che il grande rave «non danneggerà in alcun modo la flora della zona.
 I ragni avranno la loro festa, e poco dopo moriranno». E con loro l'enorme ragnatela dovrebbe piano piano degradarsi, restituendo così la spiaggia ai turisti. 


 Fonte: lastampa.it

venerdì 21 settembre 2018

La Leucocarpa, oliva bianca per olio sacro


Verde e nera: sono questi i colori tipici delle olive, quelli che siamo abituati a vederle, ma c’è anche un varietà bianca.
 Si tratta della varietà Leucocarpa, che da verde diventa bianca, mentre le altre con il progredire della maturazione da verdi diventano nere con sfumature violacee. 

 Le drupe, il nome scientifico del frutto dell’ulivo, non riescono a effettuare la sintesi antocianina e quindi assumono un colore simile all’avorio.
 Se si unisce il fatto che possono rimanere sulla pianta più a lungo di altre varietà, fino anche a primavera, si ottiene un effetto cromatico molto particolare: il verde scuro delle foglie e il bianco delle olive.


La varietà Leucocarpa produce un olio molto chiaro, con una produttività costante. 
Non viene impiegato nella alimentazione umana, ma viene per tradizione mescolato con gli estratti di radici e balsamo per ottenete l’olio del Crisma. L’unguento usato dalla Chiesa cattolica in molte cerimonie come battesimo e cresima. 

Anche in altre Chiese di origine cristiana viene utilizzato per analoghe cerimonie sacre. 
Viene anche usato come olio combustibile in luoghi di culto perché bruciando produce poco fumo. 
 Proprio per questo suo utilizzo nell’ambito ecclesiastico viene coltivato nelle aree a tradizione bizantina in Calabria.
 Si possono trovare piante di Leucocarpa nei pressi dei monasteri basiliani. 

Anche questo è un esempio di quanto il panorama della biodiversità in Italia sia vasto, solo di olive si stimano che ci si siano più di 500 varietà. 


 Fonte: de-gustare.it

giovedì 20 settembre 2018

La leggenda di Aloisa del borgo medievale di Grazzano Visconti


Il suggestivo borgo di Grazzano Visconti, città d'arte dal 1986, sembra uscito da un libro di fiabe. 

Costruito agli inizi del 1900 dal duca Giuseppe Visconti di Modrone, papà di Luchino, noto regista cinematografico e teatrale, è stato realizzato ‘con gusto scenografico’, come se appunto dovesse diventare il set da grande schermo.




Come si legge sul sito del comune, antichi documenti testimoniano l’esistenza di un centro abitato nel 1300 ed infatti il nome Grazzano deriverebbe da un tale “Graccus Graccianum”, proprietario di terre in questa località. 

 Verso la fine del 1400, Gian Galeazzo Visconti, con un editto a Pavia, concesse alla figlia naturale Beatrice, già sposa del nobile piacentino Giovanni Anguissola, il permesso di costruire un castello, che nei secoli seguenti fu teatro di diversi fatti d’armi, in quanto feudo dei nobili Anguissola.


Questa importante famiglia piacentina mantenne il possesso del maniero sin al 1884, quando la contessa Fanny perse il marito e l’unico figlio lasciando i beni al fratello Guido Visconti. 
Ma è per opera del duca Giuseppe che il villaggio diventa medievale e il castello una fortezza con graffiti e decorazioni.


Proprio attorno al castello si sviluppa un parco e il villaggio ex novo caratterizzato da fontanelle, balconi, statue, stemmi e iscrizioni, per questo sembra che qui il tempo si sia fermato.




 Il grande parco è di circa 150mila metri quadrati e ospita la chiesetta, lo studio del duca, il belvedere, il labirinto, il giardino all'italiana e diversi esemplari di alberi secolari. 
Proprio qui, ogni anno, tra le botteghe artigiane il borgo viene animato da rievocazioni storiche e feste in costume.


 Ma ciò che sicuramente rende ancora più suggestivo questo luogo è la leggenda del fantasma Aloisa che vaga tra il parco e il castello. La storia è stata tramandata dai racconti della gente. 

Aloisa, sposa di un capitano di milizia, fu tradita dal marito e morì di gelosia e di dolore.
 Da allora il suo spirito vaga in questi luoghi. 
Secondo la leggenda, un giorno lo spirito di Aloisa si era manifestato a un medium indicandogli la sua forma che oggi ritroviamo nelle statue sparse nel borgo.


Bassina, in carne e con le braccia conserte, così viene raffigurata la dama. Col tempo Aloisa è diventata la protettrice degli innamorati e molti visitatori le offrono fiori e piccoli omaggi, per consolare lei,che nell'amore non ebbe fortuna.


 Dominella Trunfio

mercoledì 19 settembre 2018

L'isola di Sal, paradiso dei surfisti a Capo Verde


L’Isola di Sal fa parte dell’arcipelago di Capo Verde, che si trova di fronte alle coste del Senegal, nell’Oceano Atlantico.

 Il nome Isola di Sal deriva dalla presenza di depositi di cloruro di sodio, il comune sale da cucina; precedentemente l’isola era chiamata Ilha Plana, l’isola piatta, per l’assenza di importanti rilievi.


Oggi Ilha do Sal è una ambita meta turistica che offre ai suoi visitatori spiagge di sabbia bianca, un mare cristallino e il vento ideale per praticare numerosi sport acquatici come il surf, il windsurf o il kitesurfing.

 L’isola di Sal ha un’estensione totale di 216 chilometri quadrati ed è l’isola più antica dell’arcipelago: questo spiega l’assenza di rilievi importanti. 

L’isola è di origine vulcanica, ma solo nella regione settentrionale vi sono i residui di antichi vulcani, oggi semplici colline.
 Il punto più alto dell’isola è il Monte Grande con i suoi 400 metri di altezza.

 La città principale dell’isola di Sal è Espargos; qui si trova l’aeroporto “Almicar Cabral di Espargos” che ha reso l’isola una meta facilmente accessibile anche ai viaggiatori provenienti da lontane destinazioni.
 L’aeroporto è stato infatti fondamentale per lo sviluppo del turismo dell’isola di Sal, oggi conosciuta e amata a livello internazionale, e di Capo Verde. 
Mentre gli scali portuali vivevano un periodo di crisi, lo scalo aereo di Espargos è diventato la porta d’ingresso dell’intero arcipelago. 

Tra le delle attrazioni dell’isola di Sal da visitare, vi suggeriamo di iniziare dalle antiche saline di Pedra de Lume, situate sulla costa orientale a circa 5 chilometri dal capoluogo. 
Il villaggio Pedra de Lume sorge su di un’area desertica ed è principalmente famoso per la produzione di sale marino, avviata nel XVIII secolo e terminata alla fine del XX secolo.


Le saline si trovano nel cratere spento di un antico vulcano, sulle cui pendici nel 1804 fu costruita una galleria per agevolare l’estrazione del sale.
 All’interno del cratere, che, trovandosi in prossimità della costa al di sotto del livello del mare, presenta infiltrazioni d’acqua, si è creato un lago salato.
 L’evaporazione dell’acqua marina lascia sul terreno sale e minerali che con le loro mille sfumature colorate regalano ai visitatori uno spettacolo affascinante. 
È anche possibile fare il bagno nelle piscine di sale: l’acqua tiepida è 35 volte più salata di quella del mare e vi farà galleggiare senza alcuno sforzo, un’avventura simile a quella che si può vivere nel Mar Morto. 

 Sulla costa ovest dell’isola di Sal, nella regione settentrionale, si trovano le piscine naturali di Buracona.
 Non dovete assolutamente perdere l’occasione di effettuare un’escursione in questo luogo straordinario dove l’acqua ha scavato grotte e cavità nella roccia vulcanica. 
È possibile fare il bagno e tuffarsi in queste insenature protette, vere e proprie piscine naturali dove gli appassionati di snorkeling potranno ammirare pesci coloratissimi. 
Inoltre, è qui che si può ammirare il fenomeno dell’Occhio Blu: nelle ore centrali del giorno i raggi solari che filtrano nell’acqua forma al centro della piscina naturale una zona di acqua cristallina che crea un contrasto affascinante con il blu profondo del mare.




Proseguendo verso sud si incontra il caratteristico porto di Palmeira.
 Qui, oltre alle barche dei pescatori, arrivano le navi con gli approvvigionamenti per l’isola di Sal. 
Il villaggio è composto da piccole case di pescatori e negozi di souvenir. 
Attraversando l’isola di Sal si percorre parte del deserto di Terra Boa formato da sabbia chiara e da roccia vulcanica nera.
 Non esiste alcuna sorgente o fiume nell’isola; se avvistate un lago d’acqua state semplicemente scorgendo un miraggio causato da particolati condizioni climatiche, tra cui la presenza di un limpido cielo azzurro.

 

Un’altra località dove fare una sosta nel corso del vostro tour è la Baia di Murdeira, ma la meta da non perdere è la zona costiera di Santa Maria.
 L’attrazione è principalmente costituita dalla grande spiaggia di sabbia bianca, ma anche l’antico paese merita di essere visitato per il suo colorato e dinamico mercato dove oltre alla merce locale si trovano numerosi prodotti africani, principalmente senegalesi.


Una delle caratteristiche che ha reso l’isola di Sal una delle mete più amate dai surfisti è il vento. 
Anche altre isole dell’arcipelago offrono onde spettacolari e sono meta di numerosi appassionati, ma l’isola di Sal, grazie ai venti che soffiano tutto l’anno, ha decisamente quel qualcosa in più.
 Si possono praticare diversi sport emozionanti come il windsurf, il kitesurfing o il tradizionale surf.





Fonte: siviaggia.it

martedì 18 settembre 2018

Trovati un cucciolo di lupo e un caribù dell'era glaciale incredibilmente ben conservati


Un cucciolo di lupo mummificato e uno di caribù sono stati rinvenuti nelle miniere di Yukon, in Canada. 

Una scoperta sensazionale.
 Le due creature si sono conservate molto bene e risalgono all'era glaciale.
 Individuati nei pressi di Dawson City, gli animali erano quasi intatti, con tanto di testa, coda, pelliccia e tessuto muscolare. Dissotterrati dal permafrost, essi erano stati individuati nel 2016 ma adesso grazie alla datazione al radiocarbonio è stato possibile saperne di più sul loro conto.

 Le novità sono state annunciate nei giorni scorsi dall capo di Tr'ondëk Hwëch' Roberta Joseph, dal premier Sandy Silver e dal ministro del turismo e della cultura Jeanie Dendys. 
 Gli antichi esemplari risalenti a oltre 50.000 anni, sono stati riportati alla luce dal Programma di Paleontologia Yukon per la ricerca e l'analisi.

 Il piccolo di caribù mummificato è stato trovato all'interno della miniera d'oro di Paradise Hill il 3 giugno 2016.
 Dell'esemplare fossile è rimasta quasi intatta l'intera metà anteriore, compreso il busto, la testa e due arti anteriori, oltre a pelle, muscoli e peli.
 Il caribù è stato scoperto in un sito che contiene un letto di cenere vulcanica che risale a circa 80.000 anni fa, facendo di questo il più antico tessuto mummificato al mondo.


Il cucciolo di lupo invece è stato scoperto circa un mese dopo, il 13 luglio 2016. 
L'esemplare è eccezionalmente ben conservato. 
Anch'esso presenta testa, coda, zampe, pelle e peli.


Per via del loro grande valore scientifico, entrambi saranno ospitati dal Canadian Conservation Institute e rimarranno in mostra a Dawson per il resto del mese. 
 "Insieme al Tr'ondëk Hwëch'in siamo entusiasti di condividere queste scoperte significative che mostrano la storia unica scientifica e culturale di Yukon.
 Questi campioni aiuteranno gli scienziati a conoscere meglio le antiche specie di mammiferi che vagavano per la Beringia, aumentando le nostre conoscenze e la capacità di condividere le storie di questa terra perduta e antica" sono le parole del premier Sandy Silver. 

 Si tratta di animali molto rari, la cui scoperta potrà fornire informazioni inedite sulla storia dell'era glaciale aiutando gli scienziati a capire come queste creature scomparse vivessero nel loro ambiente naturale. 


Francesca Mancuso

Nuove scoperte al Tempio di Kom Ombo: tornano alla luce una sfinge e due stele


L’area archeologica di Kom Ombo continua a regalare sorprese! 


Durante i consueti lavori per la riduzione delle acque della falda freatica che scorre sotto il Tempio di Kom Ombo, ad Assan, la missione archeologica egiziana ha portato alla luce una sfinge in pietra arenaria.
 La sfinge, probabilmente risalente al Periodo Tolemaico, sarà oggetto di approfonditi studi da parte della missione archeologica con la speranza di avere presto maggiori informazioni su di essa. 

La figura leonina con testa umana è stata trovata nel lato sud-orientale del tempio di Kom Ombo, ovvero nella stessa area in cui circa due mesi fa erano state scoperte due stele in arenaria risalenti al regno di Tolomeo V.


In merito alle due stele recentemente trovate è da evidenziare che a seguito degli studi eseguiti nei laboratori del NMEC (National Museum of Egyptian Civilization) ubicato a Fustat, nella vecchia Cairo, le epigrafi incise sia in geroglifico che in demotico hanno permesso di identificare con maggiore chiarezza il periodo storico a cui risalivano. 
Infatti, le stele in un primo momento erano state erroneamente attribuite al regno di Tolomeo XII Aulete (80-51 a.C.), quando una più attenta lettura dei segni ha permesso di stabilire che il documento era stato redatto nell’anno 23 del regno di Tolomeo V, ovvero nel 182 a.C.

 La prima stele ha una lunghezza di 2,53 m per una larghezza di 1 m e uno spessore di 24 cm.


Sulla lunetta sormontata dal disco solare alato vi è rappresentato Tolomeo V nell’atto di colpire con una mazza un prigioniero bloccato con l’altra mano, il tutto alla presenza di sua moglie Cleopatra I, di sua figlia e della triade venerata nel tempio di Kom Ombo; mentre l’iscrizione è composta da 29 righe di testo in scrittura geroglifica.

 La seconda stele, molto simile alla prima per rappresentazione, misura 2,80 m x 1,20 m con uno spessore di 35 cm.
 Qui vediamo Tolomeo V compiere lo stesso gesto rituale di colpire i suoi nemici, ma è accanto ad altre due figure femminili. L’iscrizione vede incisi due testi: uno è di 34 linee in geroglifico e l’altro è composto da 33 linee di demotico.

 Le due stele andranno presto ad arricchire la collezione egizia esposta al museo della civiltà egiziana. 

 Fonte: mediterraneoantico.it

lunedì 17 settembre 2018

I misteri del fico, il falso frutto killer di vespe


Dall’impollinazione all’anatomia del suo fiore, la pianta di fico è ricca di misteri che molto spesso diamo per scontati. 
Capire come i suoi fiori potessero essere raggiunti dagli insetti impollinatori non è stato semplice, ma alla fine si è scoperto che tutto il processo è un perfetto esempio di mutualismo obbligato. 

Vespa e fico non possono sopravvivere l’uno senza l’altro, ma è l’insetto, nel complesso ma necessario procedimento, a subire il destino più crudele.

 Per capire cosa ci sia di tanto complicato nell’impollinazione del fico bisogno cominciare col dire che il suo frutto non è un frutto. Quella deliziosa dolce e carnosa polpa che assaporiamo una volta sbucciato non è altro che un fiore, anzi, un involucro contenente decine e decine di fiori, protetti da ogni agente esterno. 
 Ma se i fiori sono così protetti, come fa a compiersi quella scena che tutti noi abbiamo bene in mente, dell’insetto impollinatore che va di stelo in stelo per depositare il polline raccolto? 
Qui entra in gioco il concetto di mutualismo obbligato, un rapporto fatto di vita e morte che vede protagonista la minuscola Blastophaga psenes, meglio conosciuta come vespa del fico.


Tutto ha inizio con la vespa del fico fecondata: l’insetto individua un fico non ancora maturo e si introduce al suo interno attraverso un piccolo foro alla base del particolare fiore. 

Questo buco, per quanto possa sembrare una soluzione banale, in realtà ha una funzione fortemente selettiva: solo l’insetto delle giuste dimensioni riuscirà ad introdursi al suo interno.
 Ma il costo per percorrere lo stretto passaggio è alto: le vespe finiscono quasi ogni volta col perdere ali e antenne durante il faticoso ingresso, costrette ad arrancare fino al centro del frutto deboli e ferite. 

 Una volta all’interno l’unica cosa che rimane loro da fare è deporre le uova, che troveranno protezione e nutrimento all’interno del fiore, più precisamente alla base dei pistilli.
 E la vespa che le ha dato alla luce, che fine fa? 
Potrà sembrare macabro, ma ormai priva di forze l’insetto muore. Il suo corpo, aggredito dagli enzimi del fiore, si scioglie completamente e viene sfruttato a sua volta come nutrimento.


Si calcola che questo rapporto sia rimasto bene o male inalterato per gli ultimi 34 milioni di anni, fattore assicurato dalle piante di fico, in grado di sanzionare le vespe che non si comportano a dovere durante la fase di impollinazione.
 Basti pensare che, in caso di mancata impollinazione, il frutto contenente le larve della vespa ha molte probabilità di essere abortito, condannando a morte la prole così faticosamente deposta. Così questi insetti sono incentivati a fare il gioco del fiore, guadagnando la sopravvivenza della propria progenie. 

Al costo della propria vita. 

 Fonte: innaturale.com
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