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mercoledì 22 novembre 2017

Gli otri ingrassa-ghiri della Roma antica


Il ghiro è un roditore della famiglia dei Gliridae noto per i suoi lunghi periodi di ibernazione. 
Nell’ Antica Roma una particolare specie di ghiro chiamata “ghiro commestibile” (Glis glis o Myoxus glis) era considerata una prelibatezza culinaria destinata all’aristocrazia e veniva fatta ingrassare come qualunque altro animale da carne.

 La pratica di far ingrassare i ghiri commestibili sembra risalire a prima del II° secolo a.C. ed era considerata del tutto normale tra Romani, Galli ed Etruschi, alla stregua di allevare maiali per produrre carne. I ghiri commestibili, noti come glires in latino, dopo la cattura venivano ingabbiati in vasi di terracotta (chiamati glirarium o vivarium in doliis) e alimentati a noci, castagne e ghiande con il preciso scopo di farli ingrassare oltre i limiti del loro naturale aumento di peso per l’inverno.

 Il ghiro commestibile è considerato da millenni una delizia per il palato, tanto da costringere Roma ad emanare una legge nel II° secolo a.C. che prevedeva l’esplicito divieto di servire questo roditore ai banchetti (lo stesso valeva per molluschi rari e uccelli esotici). 
Col tempo nacquero vere e proprie fattorie di ghiri su piccola o larga scala, dove questi animali venivano allevati e fatti riprodurre allo scopo di avere una fornitura costante di ghiri senza doverli catturare in natura come la “povera gente” era costretta a fare ogni anno.


Il ghiro commestibile non è un grosso roditore, anche se è una delle specie di ghiro più grandi: può raggiungere i 20 centimetri di lunghezza (coda esclusa) e pesa mediamente 150 grammi, ma raddoppia il suo peso in prossimità della stagione invernale accumulando grasso per sopravvivere all’ ibernazione. 

Il ghiro è un erbivoro e si nutre di bacche, noci e frutta, ma si adatta a mangiare qualunque cosa in periodi di difficoltà compresi fiori, piccoli invertebrati e uova d’uccello. 
 Le abitudini del ghiro sono principalmente notturne e l’animale spende la maggior parte delle ore di luce rinchiuso nella sua tana, di solito un tronco d’albero cavo o un nido sottratto a qualche uccello. 

Sfruttando queste loro abitudini, i Romani idearono un sistema per ingrassare i ghiri che simulava una tana e rendeva relativamente semplice farli crescere fino a raggiungere un peso adatto alla vendita.

 I ghiri non allevati erano catturati durante l’autunno, periodo in cui aumentano enormemente di peso in vista della stagione fredda. Trovare e catturare vivo un ghiro non era affatto semplice: tendono a rimanere nascosti nella boscaglia, sono discreti arrampicatori d’alberi ed evitano aree prive di copertura o zone di transizione per rimanere nascosti il più possibile dai loro predatori naturali. 

Dopo la cattura, il ghiro veniva immediatamente intrappolato in un vaso di terracotta chiamato glirarium e specificamente progettato per ospitare questo roditore.


I gliraria erano vasi esternamente simili a quelli impiegati per la conservazione del cibo ma erano realizzati in modo tale da rendere l’interno del contenitore una tana ideale per un ghiro: i vasai praticavano fori per la ventilazione e creavano una piccola apertura per rifornire di cibo l’animale intrappolato senza dover aprire il vaso.
 Una serie di ripiani lungo il perimetro interno consentivano al ghiro di muoversi nella gabbia (una versione primitiva della “ruota per criceti”) mentre un coperchio li teneva quasi costantemente al buio. 

 Quando il ghiro raggiungeva il peso desiderato poteva essere estratto dalla gabbia, ucciso e cucinato.

 Il ghiro commestibile diventò una prelibatezza tra gli strati sociali più alti: alcuni proprietari terrieri dedicavano parte dei loro possedimenti all’allevamento di questi animali e li vendevano a caro prezzo ai cuochi dell’aristocrazia, che li preparavano come portata separata dal resto della selvaggina.
 Un ghiro ben pasciuto servito a tavola rappresentava spesso la portata più importante del banchetto ed era un chiaro indizio sulla ricchezza del padrone di casa.

 Non abbiamo dettagli su come i Romani catturassero i ghiri senza ucciderli; siamo però a conoscenza dei principali metodi di caccia utilizzati in Europa a partire dal XV° secolo, specialmente in zone come Slovenia e Ucraina.
 I metodi di cattura erano principalmente due: trappola a laccio e trappola a caduta.
 Le trappole a laccio venivano posizionate in prossimità di un vecchio albero cavo e lasciate attive fino al mattino successivo; le trappole a caduta potevano invece essere collocate lungo la pista abituale dell’animale nella speranza che, durante la notte, il ghiro restasse vittima dell’agguato. 

 Fonte: vitantica.net
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