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lunedì 22 dicembre 2014

In California, l’albero di Natale simbolo natalizio per eccellenza, si affitta


Il simbolo natalizio per eccellenza, l’albero di Natale, fonte di allegria e feste in famiglia, dopo aver svolto il proprio compito passa a rappresentare nella maggior parte dei casi un rifiuto di cui disfarsi.
 L’idea che arriva dalla California è senza ombra di dubbio ecosostenibile: noleggiare per le feste un albero di natale “vivo e vegeto”, pronto per essere addobbato e poi restituito al termine delle festività.

 Sono molte le persone che amano fare l’albero per festeggiare il Natale, ma spesso si preferisce comprare un albero finto piuttosto che abbatterne uno vero ogni anno.
 Tuttavia anche gli alberi finti per essere prodotti e commercializzati, si portano dietro un’importante impronta di carbonio: secondo il New York Times, un albero finto dovrebbe essere utilizzato più di 20 volte per essere “più verde” rispetto ad un albero vero che viene tagliato ogni anno.

Per cercare di contenere il problema, l’azienda Living Christmas Co si è inventata un ingegnoso metodo : affittare esemplari “veri” che a fine delle festività vengono raccolti ed ospitati e fatti crescere in un’area industriale dismessa.
 Se ci si affeziona al “proprio albero” è possibile poi contrassegnarlo e scegliere sempre lo stesso ogni anno, basta ricordare – spiega l’ideatore del progetto – che questi alberi sono in fase di crescita.
 Se infatti poi gli alberi diventano troppo grandi o non adatti per essere noleggiati, vengono donati a progetti di rimboschimento.

 http://www.improntaunika.it/

Un albero di Natale... marino


Si è guadagnato l'epiteto di verme "Albero di Natale" (Spirobranchus giganteus) per i suoi tentacoli colorati che ricordano molto le fronde dei pini decorate per il Natale e che in realtà servono all'animale per nutrirsi e respirare. 
Si tratta infatti di un verme policheto, anzi uno dei più ammirati per la sua bellezza spettacolare. 
Molti di questi vermi marini sono sedentari e passano l'intera esistenza ancorati alla loro tana, un piccolo tubo scavato nel corallo calcareo: sono definiti per questo "tubicoli".
 Le loro corolle - dal diametro di appena 1-2 centimetri - sono disposte a spirale e hanno un'incredibile variabilità cromatica.








Sono animali molto sensibili e decisamente timidi: alla minima intrusione nel loro habitat infatti ritraggono le corolle nel loro tubi, richiudendone poi l'imboccatura. 

 focus.it

giovedì 18 dicembre 2014

L'incredibile trasformazione di un cane malato e abbandonato


E' stata lasciata a morire in mezzo a un mucchio di spazzatura. L'abbandono e la sofferenza l'avevano lasciata fisicamente ed emotivamente provata.
 Ma solo un anno più tardi, dopo essere stata salvata e amata, Miley ha vissuto una trasformazione meravigliosa: oggi è sorprendentemente felice e in buona salute.


Era il novembre 2013 quando Eldad Hagar di Hope for Paws incontra per la prima volta il cane abbandonato tra cumuli di immondizia, nella periferia di Los Angeles.
 Coperta di rogna e di infezioni, Miley stava malissimo. 
Era "uno dei peggiori casi di malattia fisica che avesse mai visto. "Quando sono arrivato, quasi non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo. Era quasi come se quel posto fosse stato colpito da uno tsunami ", ha detto Hagar al The Huffington Post.
 Miley è stata soccorsa e portata subito in ospedale, dove ha iniziato la sua strada lenta ma costante verso la ripresa.

 L'incredibile trasformazione viene raccontata in un nuovo e dolcissimo video che ci ricorda quanto il non voltarsi dall'altra parte possa fare la differenza per la vita di un animale.

 

Roberta Ragni

Perline danesi dell'Età del bronzo riconducibili all'Egitto

Una collaborazione internazionale tra il Moesgaard Museum di Aarhus, il Museo Nazionale di Danimarca a Copenhagen, e l'Institut de Recherche sur les Archéomatériaux (IRAMAT) a Orléans, in Francia, ha portato ad una scoperta sensazionale sulle rotte commerciali tra la Danimarca e le antiche civiltà in Egitto e Mesopotamia nell'età del bronzo 3400 anni fa.
 La scoperta ci dà anche nuove conoscenze sul culto del sole nell'Età del bronzo scandinava.



Gli archeologi Jeanette Varberg del Moesgaard Museum e Flemming Kaul del Museo Nazionale, e Bernard Gratuze, direttore di IRAMAT, hanno analizzato la composizione di alcune perle di vetro blu trovate su donne sepolte dell'Età del bronzo in Danimarca. Le analisi hanno rivelato che il vetro proviene dagli stessi laboratori del vetro in Egitto che produssero il vetro che il faraone egiziano Tutankhamon portò con sé nella tomba nel 1323 a.C. 
Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista danese SKALK. 
Ventitre perle di vetro provenienti dalla Danimarca sono state analizzate utilizzando la spettrometria al plasma. Senza distruggere le fragili perline, questa tecnica permette di confrontare la composizione chimica degli elementi in traccia nelle perline con materiale di riferimento di Amarna in Egitto e Nippur in Mesopotamia, a circa 50 km a sud est di Baghdad in Iraq. 
Dal confronto è emerso che la composizione chimica dei due insiemi di elementi in tracce corrisponde. 
 Primo oggetto dei ricercatori per il confronto è stata una perlina dalla tomba di una donna ricca a Olby, a circa 40 km a sud di Copenhagen.
 La donna era stata sepolta in un modo molto stravagante, giaceva in un tronco di quercia scavata e indossava un bellissimo disco da cintura, una gonna con una stringa intelligente con tintinnanti e brillanti tubetti di bronzo, e un bracciale di perle di ambra con una singola perla di vetro blu.

La perla di vetro si è rivelata essere egiziana. Questa è la prima volta che il vetro cobalto tipico egiziano è stato scoperto fuori dell'area mediterranea.
 Gli archeologi possono ora confermare che esiste una connessione tra le perle d'ambra e le perle di vetro.

 E' noto da tempo che l'ambra è stata esportata nell'Età del bronzo da latitudini nordiche e verso sud.
 Tutankhamun e altri faraoni egiziani avevano grandi collane d'ambra nelle loro camere sepolcrali. 
Ora i ricercatori stanno collegando l'ambra e il vetro insieme in modo inaspettato.

Una proprietà che hanno sia vetro che ambra è che la luce solare penetra la loro superficie. 
Sembra che perline di vetro e ambra siano state trovate insieme in siti del Medio Oriente, della Turchia, della Grecia, dell'Italia, e della Germania per le latitudini nordiche.
 Gli archeologi ritengono che questa potrebbe essere la prova di un legame tra il culto del sole egizio e il culto del sole nordico.


Poggiatesta trovato nella tomba di Tutankhamon in vetro blu con foglia d'oro intorno al bordo 

 Quando una donna danese nell'Età del Bronzo veniva sepolta con dei gioielli in ambra e vetro blu, questo costituiva una preghiera al sole per garantire che sarebbe stata riunita con esso e condividere il suo destino con il sole nel suo viaggio eterno. 
L'antico percorso dell'ambra verso i paesi del Mediterraneo ha quindi ora una controparte: il percorso del vetro al Nord. 
Finora i ricercatori hanno dimostrato che c'era un collegamento commerciale in Egitto e Mesopotamia negli anni dal 1400 al 1100 a.C.
 Scoprire se il percorso prosegue nella successiva età del bronzo è un futuro compito per il team di ricerca franco-danese. 

 Fonti : archaeologynewsnetwork
            http://sciencenordic.com/

mercoledì 17 dicembre 2014

Garden of Eden: la Venezia del Medio Oriente


Un paradiso quasi perduto.
 Si tratta delle zone umide nel Sud dell'Iraq. Ambienti che offrono un panorama unico al mondo, dove un tempo viveva un popolo conosciuto come Ma'dam, o "Arabi della palude". 
 Si trattava - e in parte si tratta ancora - di una sorta di Venezia mesopotamica, caratterizzata da case galleggianti realizzate interamente con canne raccolte in queste aree paludose e lavorate a mano. 
Queste meraviglie architettoniche sono poco conosciute. Si chiamano mudhif e sono state costruite senza chiodi, legno o vetro. Basterebbero soli tre giorni per realizzarle.
 Le loro fondamenta sono fango compattato e giunchi.
 Si tratta di un metodo di costruzione che sarebbe stato utilizzato dagli abitanti delle pianure dell'Iraq per migliaia di anni, ma negli ultimi decenni questa forma di architettura alternativa è scomparsa quasi del tutto e rischia di perdersi completamente insieme alla tecnica di costruzione, unica nel proprio genere.


Perché un patrimonio dell'umanità di questo genere è destinato a scomparire? 
Si ritiene che, come con la maggior parte delle giustizie che hanno rovinato l'Iraq nel 20esimo secolo, la distruzione di questo paradiso mediorientale sia avvenuta a causa delle decisioni di Saddam Hussein. 
Infatti pare che le paludi e le case galleggianti siano state considerate a lungo un rifugio dal governo Hussein, così come nei secoli passati probabilmente hanno rappresentato le dimore di schiavi e servi fuggiti dai loro padroni.
 Nel 1991 Saddam aveva prosciugato le paludi del Sud dell'Iraq per punire quella parte della popolazione che avrebbe appoggiato i suoi avversari. 
In breve tempo questi paesaggi con le loro costruzioni sono stati bruciati e distrutti e le paludi lussureggianti si sono purtroppo trasformate in deserti, vista la scarsità d'acqua. 

Nel 2003 è però iniziata una ripresa. Le comunità locali sono riuscite a ripristinare almeno una parte delle zone umide. L'ecosistema però richiederà molto più tempo per ritornare così com'era, rispetto alla facilità e alla rapidità che sono bastate per distruggerlo. 
Ormai molti Arabi delle paludi hanno abbandonato la zona e chi è rimasto vive purtroppo in condizioni disagiate, senza la disponibilità di acqua potabile.








C'è però una speranza per la Venezia del Medio Oriente. L'associazione Nature Iraq, fondata da un ingegnere iracheno-americano, sta entrando in azione per ripristinare questi luoghi, con il supporto di Stati Uniti, Canada, Giappone e Italia. 
Alcune capanne possono già offrire sistemazioni per accogliere i turisti che vogliano pranzare in compagnia e condividere le proprie idee sul futuro dell'Iraq. 

 Marta Albè

Com’è nato il velcro?


Fino al 2 aprile 1978, se vi fosse mai capitato di parlare di velcro, non potevate sbagliare. 
Fino a quel giorno, infatti, il nome per indicare il sistema attacca e strappa (meglio: chiusura hook and loop) usato su giacche, scarpe, borse, giochi, era di proprietà dell’omonima azienda, la Velcro appunto.
 Quel giorno, però, il brevetto che ne rivendicava la paternità scadeva, e il sistema di chiusura inventato da George de Mestral
diventava di dominio pubblico, vantando una serie di imitatori da cui, per rimanere in tema, sarebbe stato difficile staccare il nome di velcro. 

 Il materiale era nato nella testa del suo inventore, come spesso accade, osservando la natura. 
Si racconta che un giorno d’estate, negli anni Quaranta, George de Mestral, ingegnere svizzero appassionato di caccia e amante della montagna, se ne fosse uscito per una passeggiata portando con sé anche il suo cane. 
Di ritorno a casa, si era accorto che i suoi vestiti e il pelo dell’animale erano pieni degli appiccicosi fiori di
cardo alpino, quelle palline che si attaccano ovunque.
 Più incuriosito che infastidito dal caso, de Mestral cercò di carpire i segreti di quei fiori. 
Fu così che si armò di un microscopio e cominciò a osservare il modo con cui si attaccavano alle superfici.


E quello che vide era un sistema tanto semplice quanto efficace sviluppato dal cardo per diffondere i propri semi (e far innervosire gli appassionati di montagna).
 La loro superficie infatti era ricoperta di una sorta di aghi le cui estremità terminavano con degli uncini, i quali a loro volta si arpionavano ai cappi naturali presenti sul pelo degli animali o sui tessuti.
 Così a de Mestral venne l’ idea. 
Avrebbe sfruttato lo stesso meccanismo per realizzare un sistema di chiusura analogo a quello delle zip, a incastro: uncini da un lato, cappi dall’altro.


Dopo essersi fatto aiutare da un tessitore, l’ingegnere nel 1955 brevettava il suo Velcro, ma non ancora con i connotati in cui sarebbe diventato famoso.
 Inizialmente era infatti costituito di due strisce di cotone, e solo successivamente sarebbe diventato di nylon, un materiale che meglio si prestava allo scopo, che poteva essere cucito ovunque. Per il nome, invece, la scelta fu facile: bastava pensare alle sue origini e alla sua funzione: ne venne fuori Velcro, l’insieme delle parole francesi velour (velluto) e crochet (gancio, uncino).


http://www.wired.it/

lunedì 15 dicembre 2014

La camminata sul lago ghiacciato



Questo video registrato durante un'escursione sui Monti Tatra, in Slovacchia, e postato l'8 dicembre su YouTube, è in breve tempo diventato virale.
 Nel breve filmato si vede l'autore Tomas Nunuk che, insieme a un amico, attraversa un lago completamente ghiacciato, incorniciato da suggestive montagne. 
 L'acqua appare talmente limpida, che sotto ai piedi degli escursionisti sembra esserci una lastra di vetro, e senza una macchia: per qualche secondo, si ha l'impressione che i due stiano camminando sull'acqua. 
 L'illusione è talmente realistica che molti utenti hanno gridato al fake: come può uno strato tanto cristallino e apparentemente sottile, essere talmente resistente da sostenere il peso di un uomo?
 Lo YouTuber canadese Shawn G ha affermato, in un commento, di non aver mai visto uno specchio d'acqua ghiacciata tanto pulito (e di laghi ghiacciati, da quelle parti, se ne intendono). 
Un altro utente ha raccontato che l'ultima volta che si è imbattuto in qualcosa di simile, il ghiaccio si è rotto, facendolo cadere in acqua.


Ma sono in molti a sostenere l'autenticità del video. 
Secondo alcuni si udirebbero distintamente gli scricchiolii del ghiaccio accompagnare la camminata di Nunuk.
 Altri affermano che l'attrezzatura dei due è così adatta, e lo sfondo così scenico e realistico, che il video non può che essere vero. 
 Igor Ludma, esperto escursionista dalla Slovacchia, ha anche fornito una spiegazione del fenomeno che fa somigliare il ghiaccio a uno strato di vetro.
 Succede, scrive, quando le temperature precipitano da una situazione relativamente mite a picchi molto freddi, e allo stesso tempo non nevica (la neve tende a intorbidire le acque).
 Tutte condizioni che si sarebbero verificate nell'area dove è stato girato il video.


Quanto al nome del lago, Nunuk non ha fornito informazioni, ma chi conosce bene la zona crede di poter identificare nel misterioso specchio d'acqua il lago di Velke Hincovo Pleso (a 1900 metri d'altezza), che arriva a una profondità massima di 53 metri, e che rimane ghiacciato per gran parte dell'anno.

 http://www.focus.it/

I medicinali sono "nemici" dei fiumi e di chi ci vive.


I farmaci risolvono i nostri problemi di salute, ma sono deleteri per quella degli ecosistemi fluviali.
 I medicinali utilizzati dall’uomo finiscono nei fiumi in quantità sempre maggiori tramite scarichi fognari, residui agricoli o industriali, e minacciano la sopravvivenza di flora e fauna acquatiche.

 Uno studio del Cary Institute of Ecosystem Studies di Millbrook (New York) ha analizzato gli effetti di sei farmaci d’uso comune - un antibiotico, un antidiabetico, tre antistaminici e uno stimolante, la caffeina - su alcuni torrenti degli Stati di New York, Maryland e Indiana. 
È emerso che un diffuso antistaminico come la difenidramina (per il trattamento di dermatiti, reazioni allergiche, prurito, edema) può ridurre del 99 per cento la fotosintesi degli organismi che compongono il biofilm, ossia lo scivoloso strato di alghe, batteri e funghi che ricopre le rocce dei fiumi.
 Questi organismi sono alla base della qualità dell’acqua e della catena alimentare. 
 Si sapeva già da tempo, inoltre, che molti farmaci e prodotti per l'igiene personale, dalla pillola anticoncezionale allo shampoo, influenzano addirittura il sesso delle specie di pesci o di altri animali presenti nei fiumi. Tanto che in certe zone degli Stati Uniti alcuni pesci sono quasi scomparsi perché non si trovano più i maschi, trasformati completamente o parzialmente in femmine.
 I prodotti che hanno questo effetto sono chiamati interferenti endocrini.
 Purtroppo gran parte degli attuali depuratori non è in grado di bloccare questi residui farmaceutici e fermarne il commercio sembra impossibile.

focus.it

Moab Monkeys: l'amaca fatta a mano sospesa a 120 metri di altezza


Lasciarsi cullare su un'amaca sospesa a circa 120 metri di altezza. Potrà mai essere un'esperienza davvero rilassante? 
Per viverla servono coraggio e adrenalina. Non solo: questa amaca è stata realizzata a mano.
 Pensate ai rischi che avrebbe potuto correre chi l'ha creata.


L'amaca sospesa sopra un canyon è stata realizzata dal gruppo Moab Monkeys.
 Il loro nome non è casuale.
 Il deserto del Moab e i suoi canyon ogni anno diventano un punto di incontro per gli amanti degli sport estremi. 
Camminano in equilibrio su funi sospese e si calano tra le rocce senza paura.

 La costruzione dell'amaca sospesa – un passatempo per veri temerari – ha rappresentato la loro missione più recente. 
L'amaca assomiglia a una ragnatela colorata. La si può raggiungere soltanto camminando in equilibrio sulle funi.
 Come abbandonare l'amaca? Se non si vuole proseguire il proprio esperimento da equilibristi, non resta che prepararsi per un bel lancio con il paracadute, di certo non prima di aver ammirato il panorama spettacolare dei canyon e del deserto. 
La creazione di questa intricata amaca-ragnatela ha richiesto la collaborazione di 50 persone e 3 giorni per il completamento.
 Il risultato è frutto dell'impegno di questo gruppo di sportivi che ama le esperienze estreme.


L'amaca sospesa può sorreggere fino a 15 persone.
 L'uscita per chi vorrà lanciarsi con il paracadute è rappresentata da un'apertura al centro dell'amaca.
 Vorreste  provare un'esperienza simile? Ne avreste davvero il coraggio? 
Allora non vi resta che partire per il deserto di Moab, nello Utah. 

 Marta Albè

venerdì 12 dicembre 2014

Triangolo Giove-Luna-Regolo e stelle cadenti: questa sera spettacolo in cielo


Un triangolo in cielo, fatto di stelle, pianeti e satelliti. 
Oggi 12 dicembre Regolo,Giove e la Luna danzeranno fino a dar luogo alla suggestiva forma, facilmente riconoscibile e individuabile guardando verso oriente. 
Ma a partire dalle 23.
 Le nuvole, quasi sicuramente, ci lasceranno ammirare lo spettacolo. Per oggi infatti è previsto bel tempo in quasi tutto il paese.
 Un'insolita formazione che darà a Giove la parte del protagonista, essendo il corpo celeste dominante di queste notti invernali.
 Il pianeta sarà visibile per tutta la notte, dopo il suo sorgere. Lentamente il gigante gassoso si è avvicinato – rispetto al nostro punto di vista - alla stella Regolo, la più luminosa della costellazione del Leone. 
 Ma torniamo al triangolo.
 Dalle nostre latitudini la luna inizierà a salire in cielo dalle 23 circa. 
Da allora disegnerà la particolare forma, come mostra la mappa che segue:


E non è ancora finita. 
Il triangolo sarà solo l'antipasto delle meraviglie che il cielo ci offrirà a dicembre. 
Già stasera ,ma soprattutto domani ,torneranno a farci visite le Geminidi, le stelle cadenti più belle e famose dell'anno, dopo le Perseidi, ammirate ad agosto, a cavallo della notte di San Lorenzo. Le Geminidi, come spiega l'Uai, probabilmente sono resti di asteroidi che a contatto con l'atmosfera danno vita a meteore molto luminose.
 Per ammirarle basterà cercare la costellazione dei Gemelli, ossia il radiante, il punto da cui hanno origine e da cui prendono il nome. E la costellazione sovrasta proprio il triangolo, per cui non sarà affatto difficile individuarla.


Quando osservare il cielo? 
Il momento migliore sarà durante le prime ore serali di domani 13 dicembre, visto che il disturbo della Luna inizierà all'incirca alle 2 del mattino.
 Se saremo fortunati e le nuvole saranno assenti, sarà possibile vederne anche più di 100 meteore ogni ora “dato che la Terra nel suo passaggio al nodo attraversa un compatto nuvolo di particelle e a un certo punto delle zone più dense e consistenti di meteoroidi”. Ma ci sarà tempo fino a sabato prossimo per scorgere ancora qualche meteore dello sciame delle Geminidi. 
Questo infatti copre un arco di tempo che va dal 3 al 19 dicembre. 

Francesca Mancuso

L'enigma della sfinge e la sua controversa datazione


La sfinge è una figura mitologica raffigurata come un mostro con il corpo di leone e testa umana (androsfinge).
 La sua icona più famosa, tra le più grandi mai realizzate, si trova in Egitto, sulla piana di Giza, area che condivide con le famose tre piramidi.
 Scolpita in loco nella pietra calcarea, la Sfinge di Giza è la più grande statua monolitica tra le sfingi egizie: lunga 73,5 metri, alta 20,22 metri e larga 19,3 metri di cui solo la testa è 4 metri.
 Il monumento fu probabilmente ricavato da un affioramento di roccia, mentre alcune parti sono state costruite o riparate con l’aggiunta di blocchi di roccia tagliati.

 Comunemente, egittologi e storici ritengono che la Sfinge sia stata costruita durante il regno del faraone Chefren, intorno al 2500 a.C., in concomitanza con la costruzione delle piramidi. Eppure, alcuni ricercatori ritengono che la Grande Sfinge di Giza potrebbe essere migliaia di anni più antica di quanto comunemente ritenuto, un dubbio che serpeggia nella comunità archeologica da decenni e che alimenta un acceso dibattito.


All’inizio degli anni ’90, il dottor Robert M. Schoch, geologo presso la Boston University, è stato uno dei primi a mettere in discussione il dogma sulla datazione della Sfinge, annunciando che il monumento potrebbe essere stato realizzato tra il 9000 e il 5000 a.C., anticipando la cultura dinastica egiziana.

 “Nel 1990, ho viaggiato in Egitto con il solo scopo di esaminare la Grande Sfinge da punto di vista della geologia”, spiega Schoch nell’articolo comparso su Epoch Times. “Ero convinto che la datazione degli egittologi fosse corretta. Ma, ben presto, ho scoperto che le prove geologiche non erano compatibili con quello che gli egittologi dicevano”.
 Infatti, i rilievi geologici eseguiti sulla Sfinge sembrano puntare a tempi decisamente più remoti. 
Sul corpo della sfinge sono presenti evidenti segni di erosione dovuti all’esposizione continua all’acqua piovana, ipotesi accettata dalla comunità scientifica.
 L’egittologia ufficiale non sa come spiegare questo fatto, considerando che le ultime piogge in grado di sortire tali effetti nella regione di Giza risalgono alla fine dell’ultima glaciazione. “Ho riscontrato caratteristiche di erosione pesante, concludendo che tale fenomeno potrebbe essere stato causato solo da piogge intense”, spiega Schoch. “Il problema è che la Sfinge siede sul bordo del deserto del Sahara, una regione che è stata decisamente arida negli ultimi 5000 anni”. 

 Schoch ha avuto la possibilità di confrontare diverse strutture vicine risalenti a diversi periodi della storia egizia. 
Ebbene, queste strutture mostrano esempi precisi di erosione dovuta al vento e alla sabbia, fenomeno che differisce notevolmente rispetto all’erosione causata dall’acqua. 
 Si è tentato anche di spiegarne la causa con le esondazioni del Nilo, ma i segni dell’erosione presenti, che presentano un’erosione più marcata in alto e meno marcata in basso, sono incompatibili con quelli che causerebbe un’erosione dovuta all’acqua del fiume, che causerebbe segni di erosione più evidenti alla base della statua. Tanto è bastato per far concludere al dottor Schoch che la Sfinge deve risalire ad un periodo molto più antico rispetto a quello indicato dall’egittologia dogmatica. 
A suo parere, la Sfinge “deve” risalire ad un periodo compreso tra il 9000 e il 5000 a.C., quando la zona era molto più interessata da precipitazioni intense.

 Curiosamente, la più antica raffigurazione di sfinge conosciuta (una scultura) è stata trovata vicino a Göbekli Tepe in Turchia, nel sito di Nevali Çori, e viene datata al 9500 a.C. 
 Inoltre, ad un esame più attento, Schoch ritiene che il faraone Chefren abbia semplicemente ristrutturato la Sfinge, incorporandola nel suo complesso funerario.
 La Sfinge era già lì da migliaia di anni; essa potrebbe essere stata alterata per tutto il periodo dinastico dell’antico Egitto.

 “È evidente a chiunque che l’attuale testa non è quella originale: essa avrebbe mostrato i stessi segni di erosione del corpo. È chiaro che è stata ri-scolpita e alterata durante i periodi dinastici. Chiaramente, nella ri-scultura la testa divenne più piccola”, continua Schoch.
 Egli ha suggerito che nella sua forma originale la Sfinge di Giza potrebbe non essere stata una sfinge, ma un leone gigantesco.


Naturalmente, queste conclusione hanno scioccato molti scienziati, storici ed egittologi, i quali sostengono con forza che non ci sono prove di una civiltà che possa aver costruito un monumento come la Sfinge così indietro nel tempo.
 Tuttavia, fin dai primi anni ’90, molti altri siti archeologici sono stati scoperti, i quali precedono ogni civiltà conosciuta. 
Uno di questi, guarda caso, è proprio il sito di Göbekli Tepe. 

 http://www.ilnavigatorecurioso.it/

giovedì 11 dicembre 2014

I gechi mantengono la presa anche da morti


Uno dei superpoteri più invidiati del mondo animale non richiede il minimo sforzo: i gechi mantengono la caratteristica adesività delle loro zampe anche dopo la morte.
 L'attaccamento che instaurano con le superfici funziona quindi in totale autonomia, senza l'apporto di muscoli o sistema nervoso. 
A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Biology Letters. 

Da tempo l'uomo studia il potere adesivo delle zampe dei gechi, per cercare di riprodurlo in laboratorio.
 Un'impresa tutt'altro che semplice: la spiccata adesività delle loro estremità si basa infatti su un sistema di setole, finissime lamelle sottili come capelli che ampliano l'area di contatto con muri, foglie e soffitti, e instaurano con essi forze intermolecolari attrattive note come interazioni di van der Waals.

Una singola zampa può sostenere un peso pari a 20 volte quello del geco. E quando la lucertola fa per ritirare l'arto da una superficie, l'adesività delle setole incrementa. 

Due ricercatori dell'Università della California di Riverside hanno studiato il potere adesivo di 5 gechi, sia prima, sia 30 minuti dopo la morte,scoprendo che la dipartita dei rettili non determina la fine del loro potere adesivo, che rimane invariato anche dopo il decesso.
 La forza di attaccamento delle zampe è, in altre parole, di tipo passivo, e non dipende da un controllo motorio o neurale.


La componente attiva serve piuttosto a smorzare questa forza, se la tensione diviene insostenibile.
 Quando i gechi iperestendono gli arti, talvolta intervengono a smorzare il potere adesivo delle zampe arricciando l'estremità delle dita. 
Il controllo muscolare serve quindi ad allentare e rilassare il sistema, per evitare danni all'apparato adesivo (una dote che gli animali morti naturalmente perdono).
 L'adesività passiva è in realtà molto utile soprattutto da vivi: permette ai gechi di non cadere quando si addormentano su superfici verticali, o di rilassarsi tra un appostamento e l'altro senza ricorrere alla forza dei muscoli.
 Una qualità che noi umani possiamo limitarci a sognare.

 Fonte: focus.it

Il Pianeta delle scimmie esiste: l'isola degli scimpanzé salvati dalla sperimentazione


Che ci crediate o no, il pianeta delle scimmie esiste e si trova e in una zona isolata della giungla dell'Africa occidentale.
 E' la patria di decine di 'scimpanzé-eroi', che sono riusciti a sopravvivere a malattie, due guerre civili e numerosi test medici ed esperimenti nei laboratori.
 Hanno vissuto per anni e anni in gabbie di cemento e acciaio, senza sapere cosa fossero l'aria , il sole e l'erba.
 Sono stati privati della libertà, della tranquillità e dell'amore. Vengono, infatti, dal Liberian Institute of Biomedical Research (Vilab II), chiuso a metà degli anni 2000 a causa della crescente pressione da parte degli attivisti per i diritti degli animali.
 I suoi reduci sono stati trasferiti su un'isola remota nel mezzo del fiume Farmington, nota ai locali come 'Monkey Island', per vivere una vita di pensionamento tranquilla.
 La loro storia è narrata in un breve film documentario dal titolo 'The Real Planet of the Apes' sul viaggio del giornalista americano Kaj Larsen, che, oltre a incontrare le scimmie, ha indagato anche sul come e perché siano arrivate lì.

 

Ci spiega, così, che al Vilab più di 100 scimpanzé furono appositamente contagiate con malattie infettive, nella speranza di trovare cure per gli uomini.
 Larsen intervista Betsy Brotman, ex direttore della struttura, al fine di conoscere meglio la struttura e la pressione degli attivisti per i diritti degli animali che hanno portato alla liberazione degli animali. 
Gli scimpanzé, oggi, devono essere nutriti regolarmente, perché non c'è abbastanza cibo sulle isole per sostenerli.
 In natura si sarebbero spostati da un luogo all'altro in cerca di cibo, dormendo in luoghi diversi ogni sera. 
Ma è il male minore, visto che molti loro 'cugini' usati per la sperimentazione animale dopo i test vengono semplicemente soppressi. 

Roberta Ragni

Scoperto il rilievo di una misteriosa divinità romana


Il bassorilievo del I secolo a.C., di un enigmatico dio barbuto che emerge da un fiore o pianta, è stato scoperto presso il sito di un tempio romano vicino al confine siriano. 
L'antico rilievo è stato scoperto in un muro di sostegno di un monastero cristiano medievale. 

 "E' chiaramente un dio, ma al momento è difficile dire di quale esattamente si tratta", ha detto Michael Blömer, un archeologo dell'Università di Muenster, in Germania, che sta scavando il sito. "Ci sono alcuni elementi che ricordano antiche divinità del Vicino Oriente, come pure, quindi potrebbe essere una divinità antecedente all'arrivo dei romani."
 L' antico dio romano è un mistero; più di una dozzina di esperti contattati da Live Science non avevano idea di quale divinità fosse. 

Il tempio si trova su una montagna nei pressi della moderna città di Gaziantep, sopra l'antica città di Doliche, o Duluk.
 La zona è una delle regioni abitate con continuità sulla Terra, e per millenni, fu il crocevia di diverse culture, dai persiani agli Ittiti ai Siri.
 Durante l'età del bronzo, la città era sulla strada tra la Mesopotamia e il Mediterraneo antico. 

 Nel 2001, quando la squadra di Blömer ha iniziato a scavare nel sito, quasi nulla era visibile dalla superficie. 
Attraverso anni di accurato scavo, la squadra alla fine ha scoperto i resti di una antica struttura dell'età del bronzo, nonché un tempio di epoca romana dedicato a Giove Dolicheno, una versione romanizzata dell'antico Arameo o dio della tempesta, che guidava il pantheon del Vicino Oriente, ha affermato Blömer.
 Durante il II e III secolo d.C. il culto di Giove Dolicheno divenne una religione globale, probabilmente perché molti soldati romani furono reclutati dalla zona dove veniva adorato, e quei soldati portarono con loro il loro credo, ha detto Gregory Woolf, un classicista dell'Università di St. Andrews in Scozia, che non era coinvolto nello scavo.
 Dopo che il tempio fu distrutto, i cristiani medievali costruirono il monastero di Mar Solomon sulle fondamenta del sito, e dopo le Crociate, il sito divenne il luogo di sepoltura di un famoso santo islamico.
 La squadra di Blömer stava scavando una delle vecchie mura di contrafforte del monastero Mar Solomon quando hanno scoperto il rilievo, che era stata intonacato.

 Il rilievo raffigura un uomo barbuto che emerge da una pianta simile a una palma mentre tiene il gambo di un altra. 
Il fondo del rilievo contiene immagini di una mezzaluna, una rosetta e una stella. La sommità del rilievo è stato spezzato, ma quando era completo sarebbe stato delle dimensioni di un essere umano. "E' stata un grande sorpresa vedere il rilievo venire fuori in questa area del sito", ha detto Blömer.


La divinità misteriosa potrebbe essere stata una romanizzazione di un locale dio del Vicino Oriente, e gli elementi agricoli suggeriscono una connessione con la fertilità. Ma oltre a questo, l'identità della divinità ha sconcertato gli esperti.
 Il rilievo mostra alcuni elementi connessi con la Mesopotamia. Ad esempio, il rosone in fondo può essere associata a Ishtar, mentre la luna crescente alla base è un simbolo del dio della luna Sîn, afferma Nicole Brisch, un esperto di studi del Vicino Oriente presso l'Università di Copenhagen in Danimarca.
 "Le parti inferiori sono del Vicino Oriente, quelle superiori sono classiche", ha detto Woolf. "Sembra appartenere ad un pantheon molto locale."
 Il fatto che emerga da una pianta ricorda i miti di nascita di alcune divinità, come il misterioso culto del dio Mitra, nato da una roccia, o della dea greca Afrodite, nata dalla schiuma del mare.
 Anche se l'identità degli dei è un mistero, l'ibridazione degli dei non era insolita per il tempo, ha detto Woolf. "Quando lo stile dominante nella zona fu greco e romano, si dava luogo a una caratterizzazione". 
 Per esempio, gli antichi dei egizi finiscono indossando gli abiti di legionari romani e antiche divinità mesopotamiche, che sono stati in genere raffigurati come "betels" - pietre o meteoriti - che assumevano volti umani, ha affermato Woolf. 
 Le migliori possibilità di identificare questa enigmatica divinità sono quelle di trovare una rappresentazione simile da qualche parte con una scritta che descriva chi fosse.
 A volte i risultati vengono ampiamente diffusi e "qualcuno salta fuori con un piccolo oggetto che aveva nella sua collezione privata dicendo: Sai, credo che questa è la stessa persona,", ha detto Woolf. 

 Fonte : http://www.livescience.com/
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