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martedì 29 settembre 2015

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SIRENE - Tra mito e realtà



I primi racconti noti sulle sirene sono apparsi in Assiria, c. 1000 aC. La dea Atargatis (comunemente conosciuta ai greci con in nome Derketo) Tuttavia le prime rappresentazioni di Atargatis la dipingono come un pesce dotato di testa umana e braccia. Luciano di Samosata in De Dea Siria descrive Derketo: « È donna per metà della sua lunghezza; ma l'altra metà, dalle cosce ai piedi, si dilunga in una coda di pesce » (Luciano di Samosata, De Dea Syria Parte 2, Capitolo 14)



Alcuni si sono chiesti se dietro le leggende sulle sirene possa nascondersi un nocciolo di verità. Potrebbero esistere realmente degli umanoidi acquatici intelligenti, parenti lontani dell’uomo, che hanno sviluppato il loro percorso evolutivo adattandosi a vivere nelle profondità dell’oceano e che hanno sviluppato una società complessa nella quale vivono nascosti per paura dei loro parenti umani?
Sono numerosi gli scienziati che hanno avanzato interessanti teorie sull’esistenza, nel passato evolutivo dell’uomo, della “scimmia acquatica, e cioè di una antenato acquatico in comune tra gli ominidi e le scimmie.
E sarebbero numerose anche le testimonianze di coloro che affermano di aver visto degli “umanoidi acquatici” tutt’ora viventi. Secondo i teorici della cospirazione, il Governo Americano (nella fattispecie proprio del NOAA) sarebbe a conoscenza di queste creature e addirittura starebbe inscenando un clamoroso cover-up (che giustificherebbe anche il comunicato del NOAA) per nascondere il fatto di essere in possesso del corpo di una sirena. Prova di questo fatto, sarebbe il famoso suono oceanico “bloop” registrato nel profondo dell’Oceano Pacifico dal NOAA alla fine degli anni ’90. Teorie? Fantasie?
Gli ingredienti per incuriosire il Navigatore ci sono tutti. “C’era una volta una sirenetta che viveva in un meraviglioso mondo sottomarino. si tratta di una storia raccontata in tutto il mondo, la storia di una creatura leggendaria e che è menzionata nelle mitologie di quasi ogni cultura umana. La gente di tutti i continenti raccontano di aver avuto contatti con questi esseri metà uomo e metà pesce, descrivendo tutti lo stesso animale mitico. Alcuni si sono chiesti se dietro queste leggende possa nascondersi un nocciolo di verità. Potrebbero esistere realmente degli umanoidi acquatici intelligenti, parenti lontani dell’uomo, che hanno sviluppato il loro percorso evolutivo adattandosi a vivere nelle profondità dell’oceano e che hanno sviluppato una società complessa nella quale vivono nascosti per paura dei loro parenti umani? E’ quello che si sono chiesti gli autori di un documentario girato per l’emittente tv Animal Planet: “Sirene, il corpo trovato”. Il docu-fiction valuta una possibilità basata su una teoria scientifica radicale – la teoria della “scimmia acquatica” – la quale sostiene che gli esseri umani abbiano attraversato una fase anfibia nel loro percorso evolutivo. Ad un tratto, le grandi inondazioni costiere di milioni di anni fa costrinsero un gruppo dei nostri progenitori a spingersi verso l’interno, adattandosi definitivamente alla terra ferma dando vita alla specie dei primati arboricoli, mentre un altro gruppo, forse spinti dalla necessità di trovare cibo, cominciarono a spingersi sempre più in profondità nel mare, adattandosi alla vita acquatica. Dopo questo adattamento, un gruppo di primati sarebbe ritornato sulla terra ferma conservando alcune delle caratteristiche sviluppate nell’ambiente marino, mentre un altro gruppo si sarebbe adattato definitivamente all’ambiente marino. Quindi, mentre noi ci siamo evoluti in esseri umani terrestri, i nostri parenti acquatici si sarebbero evoluti in esseri umani anfibi, stranamente simili alla leggendaria sirena.
Alcuni autori sostengono la versione contraria della teoria e cioè che il progenitore in comune fosse completamente acquatico e che alcuni gruppi, spinti dalla necessità di trovare cibo, si spinsero sulla terra ferma fino ad adattarsi completamente a respirare ossigeno allo stato gassoso. In ogni caso, la sostanza non cambia. Come prova a sostegno della teoria, gli autori del documentario sottolineano le notevoli differenze riscontrabili tra l’uomo e gli altri primati. Anzi, alcune caratteristiche lo rendono molto più simile ai mammiferi marini che non ai primati terrestri.
Questi i segni distintivi fondamentali: la perdita del pelo cutaneo (i peli creano resistenza in acqua); la capacità istintiva a nuotare (i bambini appena nati già sono in grado di nuotare); il grasso sottocutaneo (per l’isolamento dall’acqua fredda); il controllo del respiro (alcuni umani sono in grado di trattenere il respiro fino a 20 minuti, più ogni altro animale terrestre); un cervello molto sviluppato, grazie ad una dieta ricca di frutti di mare; La storia della teoria della “scimmia acquatica” Nel corso del tempo, diversi autori si sono dedicati alla teoria della scimmia acquatica. In un libro del 1942, il biologo tedesco Max Westenhofer ipotizzò che i primissimi stadi dell’evoluzione umana fossero avvenuti in prossimità dell’acqua. Così egli scrive: “Postulare un modo di vita acquatico in una fase precoce dell’evoluzione umana è un’ipotesi sostenibile, per la quale si possono produrre ulteriori indagini e elementi di prova”. Ma il vero padre della teoria è il biologo marino Alister Hardy che, già nel 1930, aveva ipotizzato che gli esseri umani possano aver avuto antenati acquatici. Ma solo nel 1960 decise di divulgare la sua teoria. L’occasione fu un discorso tenuto al British Sub-Aqua Club di Brighton il 5 marzo del 1960. La tesi di Hardy si basa sulla convinzione che un gruppo di queste scimmie primitive, costrette dalla concorrenza con i loro simili e dalla scarsità di cibo, si sia spinta fino alle sponde del mare per andare a caccia di crostacei, molluschi, ricci di mare, ecc., nelle acque poco profonde al largo della costa. 
Il biologo suppone che queste proto-scimmie acquatiche, spinte dalla necessità di rimanere sott’acqua per diverso tempo – proprio come è capitato per molti altri gruppi di mammiferi – si siano adattate all’ambiente acquatico fino a rimanere in acqua per periodi relativamente lunghi, se non in maniera definitiva. Hardy esplicitò definitivamente le sue idee in un articolo apparso su New Scientist il 17 marco 1960.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, la teoria godette di un certo interesse per diverso tempo, ma fu progressivamente ignorata dalla comunità scientifica.
Nel 1987, si tenne un simposio scientifico a Valkenburg, Olanda, per discutere la validità della teoria della Scimmia Acquatica. Dagli atti del convegno – pubblicati nel 1991 con il titolo “Aquatic Ape: Fact or fiction?” (Scimmia acquatica: realtà o finzione?) – emerge che gli scienziati non se la sentirono di sostenere l’idea che gli antenati dell’uomo fossero acquatici, ma che ci sarebbero alcune prove che avessero sviluppato l’abilità natatoria per alimentarsi nei fiumi e nei laghi, con il risultato che l’homo sapiens moderno può godere di brevi periodi di tempo in apnea.
Questa è solo una delle versioni “deboli” della teoria, utilizzata dai ricercatori per spiegare alcune caratteristiche umane che sono ancora avvolte nel mistero, quali la perdita del pelo cutaneo, la capacità di apnea, il grasso sottocutaneo e la capacità istintiva a nuotare dei neonati.
Sebbene l’ipotesi della Scimmia Acquatica spieghi abbastanza bene il sorgere di queste caratteristiche, la maggior parte dei paleoantropologi tende a rifiutare la teoria, non accettandola tra le principali spiegazioni dell’evoluzione umana. Una lettura estrema della teoria di Hardy ha portato alcuni ricercatori indipendenti ha ipotizzare l’esistenza attuale, di umanoidi acquatici intelligenti che vivono in società complesse nel fondo dell’oceano.
L’esistenza di queste timide creature sarebbe all’origine delle leggende sulle sirene, decantate anche da Omero nella sua Odissea. Ma è possibile ipotizzare l’esistenza di questi Umanoidi Acquatici? Potrebbero esserci delle prove? Antiche testimonianze La storia delle sirene non è recente come si pensa.
In verità, alcune pitture rupestri ci fanno pensare che la consapevolezza umana delle sirene sia molto più antica. In una grotta di arenaria in Egitto esistono le rappresentazioni più antiche delle sirene. Sulle pareti della caverna sono rappresentate creature umane con la coda, equipaggiate con lance e reti.





Anche in epoca recente le testimonianze da parte dei pescatori sono state numerose. In molti casi, si racconta del recupero di grossi animali acquatici completamente infilzati con lancie e coltelli di origine sconosciuta. In alcune testimonianze di inizio secolo è possibile vedere lo stupore e lo sconcerto dei marinai.



Uno strano suono dal fondo dell’Oceano Nell’estate del 1997, il NOAA, con l’ausilio di un idrofono equatoriale, registrò più volte un suono misterioso proveniente dagli abissi dell’Oceano Pacifico. Il suono aumentava rapidamente in frequenza per circa un minuto, ed era di ampiezza sufficiente per essere ascoltato dai sensori ad una distanza di oltra 5.000 chilometri.
L’origine del suono – battezzato “The Bloop” – è, come ammette il NOAA – di origine sconosciuta. Secondo alcuni, questo suono potrebbe essere la prova dell’esistenza di una specie sottomarina sconosciuta. Il team di Paul Robertson, un ex dipendente del NOAA, nel 2007 stava indagando sugli inspiegabili spiaggiamenti di massa delle balene.
Nell’esaminare i campioni di tessuto dei corpi di alcune balene, i ricercatori si resero conto che i mammiferi erano stati danneggiati da sonar particolarmente potenti, utilizzati in diverse parti del mondo in occasione di esercitazioni navali. L’inquinamento acustico marino è un fenomeno che in questi ultimi anni ha avuto un grande incremento.
La nuova tecnologia Sonar utilizzata sia per la mappatura del fondo dell’oceano che per l’individuazione di bersagli sottomarini, emette vibrazioni sonore percettibili fino a centinaia di chilometri di distanza. Quando una specie più sensibile, come le balene o i delfini, si trovi in prossimità dell’emissione del rumore subisce un vero e proprio trauma che la spinge ad una fuga precipitosa, fatale quando è diretta verso la superficie del mare.
Secondo uno studio l’impatto di media frequenza di un sonar militare sull’udito di una balena è equivalente a quello di un motore di jet al decollo sull’udito di un essere umano che si trovi a tre metri di distanza. La conclusione cui giunsero gli scienziati marini è che le onde sonore emesse dai sonar erano talmente potenti da spaventare quegli animali dotati di un udito così sensibile.
Nel tentativo di sfuggire alla raffica di onde sonore, i mammiferi si erano spinti in acque troppo basse per sostenere le loro dimensioni enormi, finendo per arenarsi. Per cercare di dimostrare questa teoria, Robertson e il suo team si servirono delle registrazioni di un idrofono di profondità. Fu proprio in quelle registrazioni che ascoltarono la prima volta il “bloop”. Utilizzando un software audio, i ricercatori riuscirono ad isolare il suono di una creatura sconosciuta mescolata con i suoni delle balene e dei delfini. Dopo più accurate analisi, i ricercatori ebbero l’impressione che queste creature sconosciute comunicassero con i mammiferi, forse con l’intento di salvarli dal rumore del sonar.
Qualche settimana dopo, ci fu un altro spiaggiamento di massa in Sud Africa. Anche in quella zona i ricercatori registrarono suoni simili sui proprio dispositivi. Robertson e il suo team si recarono sul posto per investigare. Sulla spiaggia furono i resti di una creature sconosciuta all’interno dello stomaco di un enorme squalo bianco.
Mentre esaminavano lo squalo, i ricercatori notarono una sorta di pugnale infilzato nel lato della bocca dello squalo.



Come aveva fatto ad arrivare quel pugnale lì? Una volta tirate fuori tutte le parte dallo stomaco dello squalo, cominciarono a studiare attentamente i resti per capire di cosa di trattasse. All’interno trovarono la testa della creatura, una mano quasi completa, un longo osso tipo coda-pinna. Inoltre, i ricercatori trovarono anche uno strano strumento con un buco. In un primo momento non compresero cosa fosse, ma poi si ricordarono del pugnale nella bocca dello squalo.
L’oggetto sembrava essere un perfetto astuccio per il coltello ricavato da una cosa o una spina dorsale di qualche grosso pesce. Ma chi aveva potuto produrre un oggetto simile? Alcuni dei ricercatori si convinsero di trovarsi di fronte ad una sorta di “ominide acquatico intelligente”, una sirena! Ora avevano senso tutte le misteriose lance e coltelli trovati nei corpi di numerosi pesce nell’oceano. Qualche giorno dopo, mentre il team stava per tornare negli Stati Uniti, i militari americani confiscarono i resti della creatura e i risultati della ricerca. Pare che il governo stesse studiano il fenomeno da molto tempo e che avesse utilizzato Robertson e la sua squadra per ottenere le informazioni che cercava. L’unica cosa che lasciarono fu la registrazione del famoso “bloop”. Gli scienziati rimasero sconvolti dal fatto che avevano sequestrato tutti i risultati ottenuti con anni di duro lavoro, ma le registrazioni erano il vero tesoro da conservare.
Grazie ad esse, avevano capito che le sirene erano in grado ci comunicare con i delfini e le balene. Questa è la prima e l’unica volta che si possiede la testimonianza di una comunicazione interspecie. Come alcuni sanno, in alcuni paesi, i delfini aiutano i pescatori umani a catturare i pesci, in cambio di una lauta porzione di bottino! Dove hanno imparato i delfini a fare questo? In conclusione In una intervista recente, Robertson ha dichiarato di non sapere se le sirene esistono o no, a differenza di uno dei suoi colleghi il quale pensa che esistano e che bisogna solo trovarle. Secondo Robertson, se le sirene esistono e sono sopravvissute così a lungo è perché sanno nascondersi.
L’unica cosa di cui è convinto il ricercatore è quella di non voler contribuire mai più alla ricerca delle sirene: “Non credo che gli essere umani sarebbero in grado di coesistere con le sirene senza sterminarle”.
Il ricercatore sta ancora cercando di ottenere il bando dello sviluppo e della sperimentazione di armi Sonar per salvare balene, delfini e sirene. Personalmente non ho mai creduto nelle sirene, eppure questo documentario mi fa capire che le profondità dell’oceano sono veramente la frontiera dell’esplorazione umana. Come spesso si dice, conosciamo meglio la superficie della Luna, che non le profondità del mare. Che si tratti o no di sirene, bisogna prendere atto che nel fondo dell’oceano ci sono specie sconosciute e misteriose che ancora non conosciamo e che speriamo di non incontrare per non sterminarle (per dirla con Robertson).

Dagon, il dio sumero dell'abbondanza e della fertilità


Mami Wata è una sirena con poteri magici, venerata in molti paesi africani, nei Carabi, in Brasile e anche in Europa.

La leggendaria sfera di Archimede torna a vivere


Un modello meccanico dell'Universo - un planetario tridimensionale la cui invenzione è attribuita ad Archimede di Siracusa - è stato ricostruito dopo più di due millenni, ed è ora visibile al pubblico. 

 Michael Wright, matematico ed ex curatore del Museo delle Scienze di Londra, ha riprodotto la celebre "sfera di Archimede", un globo metallico che rappresenta il cielo notturno con il movimento apparente del Sole e il moto della Luna e dei cinque pianeti noti nel III Secolo a.C:: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. 

Dal 27 settembre, l'oggetto è esposto presso il Museo di Arte Antica di Basilea (Svizzera), come parte di una mostra sul relitto di Antikythera. 

 Tra le antiche testimonianze di modelli meccanici della sfera celeste, spesso attribuiti al matematico e inventore siracusano, la più attendibile è quella lasciata da Marco Tullio Cicerone nel I secolo a.C.. 
Nel De re publica, l'oratore descrive - per bocca di uno dei suoi personaggi, Philus - l'assedio del console romano Marco Claudio Marcello alla città di Siracusa.
 Durante l'attacco, avvenuto nel 212 a.C., Archimede fu ucciso. Mentre le truppe romane saccheggiavano la città, Marcello prese per sé solo un tesoro: la sfera di Archimede. 
Descrivendo il marchingegno, Cicerone fa concludere a Philus che Archimede doveva essere dotato di un ingegno superiore per essere riuscito a riprodurre, con un'unica rotazione, i moti tanto diversi dei vari corpi celesti.

 A lungo gli storici hanno ritenuto la descrizione di Cicerone esagerata o artefatta. Ma il ritrovamento, nel 1902, del meccanismo di Antikythera - un complesso calcolatore astronomico in bronzo di fabbricazione greca, utilizzato per determinare la posizione delle stelle e dei pianeti oltre 2000 anni fa - ha riacceso interesse per la sfera di Archimede, dimostrando come, anche in antichità, fosse possibile realizzare complessi ingranaggi a scopo scientifico.


Osservando il reperto di Antikythera, costituito da una trentina di ingranaggi in bronzo custoditi all'interno di una scatola di legno (quello che in molti hanno paragonato a un moderno computer) gli scienziati si erano convinti che Cicerone stesse alludendo a un dispositivo simile a quello greco. 
Ma Wright non la pensa così: Cicerone - fa notare - parla di sphaera. Il meccanismo di Antikythera non è una sfera: è più simile a una scatola per scarpe. 
 Anche le descrizioni delle rivoluzioni lunari sul planetario riportate da Cicerone fanno pensare a un meccanismo tridimensionale e tutt'altro che "piatto". 
Il modello ottenuto da Wright somiglia così a una visione "a volo d'uccello" del cosmo, in cui la sfera rappresenta la volta celeste, sulla quale sono raffigurati i simboli delle costellazioni.


La sfera si trova in una scatola di legno che nasconde la porzione di volta celeste situata, in un dato momento, sotto l'orizzonte. 
In pratica, è una specie di planetario visto da fuori: 
«Immaginate la Terra come una piccola biglia al suo centro» dice Wright. Con pianeti e costellazioni che "si muovono" attorno ad essa. Ventiquattro ingranaggi interni guidano puntatori curvi di rame da muovere a mano (che rappresentano il moto dei corpi celesti) sulla sfera. Quelli di Sole e Luna si muovono a scatti, a velocità costante, quelli dei pianeti sono più liberi e si spostano a diversa velocità rispetto alle stelle fisse, come avviene nel cielo reale. 

 Non sappiamo se Archimede abbia effettivamente costruito un simile strumento, ma il lavoro di Wright vuole dimostrare che aveva tutte le carte in regola - tecniche e teoriche - per metterlo a punto.
 Il ritrovamento a Olbia, nel 2006, di una ruota dentata compatibile con un ingranaggio del planetario sferico di Archimede avvalorerebbe questa ipotesi. 

 Fonte: focus.it

La straordinaria bellezza di Lecce sotterranea: il fiume Idume scorre limpido sotto la città


Sotto il bellissimo centro storico di Lecce, scorre uno degli spettacoli naturali più belli del Salento.
 E’ il fiume Idume, che insieme alle acque della sorgente dell‘Acquatina, attraversa per 7 km la città ed ha una portata di acqua di circa 1000 litri al secondo. 
Questo fiume è famoso in tutto il mondo e da sempre. 
I primi a parlarne furono i Romani, pare infatti che già Plinio ne parlasse nelle sue opere anche se non è certo che si riferisse proprio a questo fiume.
 I primi riferimenti certi sono databili al Seicento, quando Ascanio Grandi lo citò nel suo poema. 
 Nel Settecento, Lorenzo Giustiniani parlò di un fiume che scorreva tra Lecce e Brindisi, mentre nell’Ottocento, l’Istituto Topografico Militare parla della presenza di due bocche: la Sagnia, il cui letto presentava enormi cavità naturali, rivolta a Torre Chianca e la Bocca di Fiume, attualmente scomparsa, rivolta a Torre Rinalda. Camminando per le vie di Lecce è possibile udire lo scroscio dell’acqua vicino i tombini. 
 Tra le tappe della città, la più importante è quella Palazzo Adorno, costruito proprio sopra il fiume. 
Nei sotterranei è possibile osservare una falda acquifera, formatesi proprio grazie alle acque dolci del fiume Idume e alla presenza di uno strato di rocce permeabili situate su delle rocce impermeabili, che impediscono all’acqua di filtrare, costituendo il letto della falda.


Molte famiglie, utilizzavano lavarsi in piscine costruite artificialmente, mentre la famiglia Adorni ebbe la possibilità di utilizzare come piscina, le acque cristalline del fiume. 
E’ stata attestata la possibilità che alcuni abitanti ebrei utilizzassero il fiume per purificarsi e svolgere i propri riti sacri.
 Il passaggio di questi è testimoniato dalla presenza di alcune iscrizioni sui muri dei sotterranei.
 Sono presenti delle cisterne in cui venivano inserite delle derrate alimentari da mantenere fresche. 

Fuori dalla città, le acque della falda profonda si incontrano con quelle della falda superficiale, risalendo attraverso delle cavità naturali formano delle polle che alimentano il bacino Idume(inizialmente luogo ideale in cui trovare cefali e anguille, moltissimi tipi di uccelli, animali e tipologie di alghe). 
Ad oggi, dopo vari progetti di bonifica, il bacino si è trasformato in una distesa di canneti e fitta vegetazione, nelle cui acque è possibile trovare il narciso nostrale e la rara salicornia strobilacea. 

Palazzo Adorni, attualmente è sede della Provincia e chi volesse vedere il fenomeno naturale può chiederlo al custode del palazzo.

 

Fonte : meteoweb.eu

L’uomo che comprò Stonehenge e poi la rese all’Inghilterra


Ai piedi della piana di Salisbury, Stonehenge è patrimonio dell’Unesco dal 1986 e attrae ogni anno circa un milione di visitatori. E’ quindi strano pensare che uno dei più significativi monumenti dell’Inghilterra fu una volta comprato da un avvocato per farne regalo alla moglie.

 Cento anni orsono, il 21 settembre 1915, l’avvocato Cecil Chubb pagò 6600 sterline per tutta la piana di Stonehenge ad un’asta a Salisbury, nella contea del Wiltshire.
 Accadde per quasi per caso, con l’avvocato che voleva fare un dono alla moglie Maria. 
La donna aveva chiesto delle tende, ma lui tornò con qualcosa di ben diverso.
 Maria non si mostrò particolarmente felice del gesto, anche perché il costo del monumento, rivalutato ai tempi odierni, era di circa 680.000 sterline, quasi un milione di euro.




Il 26 ottobre del 1918, 16 giorni prima dell’armistizio che concluse la prima guerra mondiale, Chubb regalò Stonehenge allo stato, mediante un atto di donazione. 
L’anno seguente il primo ministro di allora, David Lloyd George, riconobbe la sua generosità con un titolo nobiliare, proclamando l’avvocato “Sir Cecil Chubb, Primo Baronetto di Stonehenge”. 
 Lo stemma celebrativo di Chubb era rappresentato da una zampa di leone che cingeva due rami di vischio, una pianta che veniva considerata sacra dai druidi.
 Lo stemma riportava il motto “Saxis Condita”, che significa “fondata sulla pietra”.

 L’avvocato aveva umili origini, e la sua storia assume un’aura ancora più straordinaria per questo particolare.
 Nacque nel 1876, suo padre era un maniscalco del villaggio di Shrewton, a poca distanza da Stonehenge. 
Frequentò una scuola di grammatica e arrivò a laurearsi a Cambridge, accumulando in seguito una fortuna considerevole. 
Nel suo atto di donazione egli specificò che i visitatori non avrebbero dovuto mai pagare una somma “superiore allo scellino” per visitare il sito archeologico.

 Oggi il sito è gestito dall’English Heritage, e circa 30.000 persone che vivono vicino a Stonehenge hanno ancora diritto all’ingresso gratuito. 
I forestieri pagano invece un biglietto di 14,50 sterline, una somma considerevole se rapportata allo “scellino” indicato nell’atto di donazione. 
L’English Heritage sostiene ad ogni modo che, data l’inflazione dei salari nel secolo scorso, questa somma è minore in termini reali di quel famoso scellino.


La famiglia che possedeva Stonehenge era quella degli Antrobus, cui apparteneva dal 1820. 
Sir Edmund Antrobus, l’unico erede maschio della famiglia, morì in guerra nel mese di Ottobre del 1914 a Kruiseik, in Belgio, durante una delle prime battaglie della Grande Guerra.
 Nel 1915 Stonehenge finì all’asta a causa della mancanza di eredi, e Sir Cecil Chubb l’acquistò per evitare che finisse fra le mani di qualche americano a caccia di antichità, che avrebbe addirittura potuto farla smontare e ricostruire negli Stati Uniti, come ad esempio accadde nel 1968 per il London Bridge, che venne interamente smontato e ricostruito in Arizona. 

 La notizia della vendita di Stonehenge era “sufficiente a suscitare l’invidia di tutti i miliardari americani che sono morsi dalla mania per l’acquisto di oggetti antichi” riportò il Daily Telegraph. 
Chubb potrebbe essere stato grandemente influenzato da questa prospettiva, che riteneva assurda e contro l’orgoglio nazionale, e acquistò il sito archeologico sapendo già che lo avrebbe poi donato all’Inghilterra. 

Chubb morì nel 1934 e suo figlio, Sir John Chubb, morì nel 1957 senza lasciare eredi, con il titolo di baronetto che andò quindi perduto. 
Sono in pochissimi a conoscere la storia di questo notevole uomo inglese, e l’unica targa che lo ricorda è nella casa dove nacque e crebbe, a Shrewton.


Fonte: .vanillamagazine.it
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