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martedì 26 aprile 2022

Il “maiale” del Leone di Lucerna: l’invisibile sberleffo di uno scultore non pagato


 Il “Leone di Lucerna” è una delle attrazioni turistiche più famose della città svizzera: un leone mortalmente ferito, scolpito nella roccia, in una grande ex-cava di arenaria, nei pressi della città.

Il monumento è dedicato alla memoria delle Guardie Svizzere al servizio del re di Francia, che persero la vita durante la Rivoluzione Francese, mentre difendevano il Palazzo delle Tuileries, a Parigi.

 Il leone morente vuole essere un simbolo del coraggio dei soldati, disposti a morire piuttosto che tradire il loro giuramento di fedeltà.

Negli ultimi due secoli, milioni di turisti hanno ammirato questo monumento, che Mark Twain descrisse come “il pezzo di pietra più triste e commovente del mondo”. Ma sono pochissimi, tra coloro che si fermano a guardare il leone, che si accorgono che ci sono due animali, e non uno, scolpiti nella roccia.


I soldati mercenari svizzeri, fin dal 15° secolo, erano molto apprezzati dai monarchi europei per la loro disciplina e fedeltà, in particolare dai sovrani di Francia e Spagna, che li assoldarono come guardie del corpo, a difesa dell’incolumità delle famiglie reali.

Il 10 agosto 1792, un’immensa folla di rivoluzionari (parigini e non, popolani e borghesi, uomini e donne) riuscì a entrare nel Palazzo delle Tuileries, e a sopraffare le 1.330 Guardie Svizzere, mentre il re Luigi XVI e la sua famiglia fuggivano attraverso i giardini.

 Oltre seicento soldati elvetici furono uccisi durante la sommossa, circa duecento morirono in prigione per le ferite riportate e durante le successive rivolte, nel mese di settembre.


In quel drammatico 10 agosto del 1792, il luogotenente delle Guardie Svizzere Carl Pfyffer von Altishofen, al servizio del re di Francia, si trovava a casa a Lucerna , e si salvò.

 Nel 1801, quando fu congedato, iniziò a pensare a un monumento commemorativo che onorasse la memoria dei suoi compagni caduti a Parigi.

In quegli anni la Svizzera, dopo la conquista di Napoleone, era assoggettata ai francesi, e un monumento dedicato ai difensori della monarchia non era sicuramente gradito. 

Quando il paese riconquistò la sua indipendenza, a seguito della “restaurazione” del 1815 seguita alla sconfitta di Napoleone a Waterloo, von Altishofen decise che era giunto il momento di concretizzare il proprio progetto.

 Commissionò l’opera allo scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen, e iniziò a raccogliere i fondi per realizzarla.

Von Altishofen non riuscì a raccogliere il denaro necessario a pagare l’intera somma richiesta dallo scultore, molto famoso e impegnato, e decise di tenere nascosto questo aspetto all’artista, almeno fino a quando questi non avesse consegnato un modello della scultura. I rapporti tra i due divennero burrascosi, anche per il troppo tempo impiegato dallo scultore che, secondo l’ex-guardia, dimostrava “indifferenza verso i popoli che attendono il suo lavoro”.

Quando Thorvaldsen apprese che non sarebbe stato pagato, se non in minima parte, andò comunque avanti con il lavoro, apportando qualche modifica dell’ultimo minuto

Lo scultore modellò un leone morente trafitto da una lancia, simbolo dei soldati caduti. Una zampa dell’animale è appoggiata sullo scudo con lo stemma della monarchia francese, mentre accanto si trova un altro scudo con l’effigie della Svizzera.

Thorvaldsen non alterò la scultura, per rispetto ai soldati caduti in Francia, ma cambiò la forma della nicchia dove giace il leone, dandole un contorno che ricorda quello di un maiale.


La scultura fu materialmente realizzata, sui modelli di Thorvaldsen, da due artisti: lo svizzero Pankraz Eggenschwyler, che durante il lavoro morì cadendo da un’impalcatura, e il tedesco Lucas Ahorn, che nel 1821 completò l’opera.

A quanto pare nessuno notò il profilo del maiale fino a scultura conclusa, ma chiunque sia dotato di un occhio attento è in grado di cogliere il sottile messaggio con cui l’artista volle esprimere il proprio disprezzo nei confronti di chi aveva commissionato l’opera.

Fonte: vanillamagazine

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