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venerdì 29 gennaio 2016

Cos’è e come si trasmette il virus Zika


Archiviata o quasi, per il momento, l'emergenza Ebola, un nuovo patogeno sta ora guadagnando un'infausta popolarità mediatica: è il virus Zika, che da ottobre agita il Brasile e si sta facendo strada in altri 21 stati tra Caraibi, Nord e Sud America. 
 Proprio in queste ore l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che è probabile che il virus si diffonda presto in tutto il continente americano.
 Intanto, quattro casi di febbre da virus Zika, ormai curati e risolti, sono arrivati anche in Italia, su viaggiatori che rientravano dal Brasile.
 Ma che sintomi dà questo virus? 
Perché, e per chi, è pericoloso? 
Si può prevenire? 

Un identikit dell'infezione e dei rischi che questa comporta. 

Il virus Zika (ZIKV) è un virus della famiglia dei Flaviviridae che prende il nome dalla foresta dell'Uganda in cui fu per la prima volta isolato, nel 1947.
 È trasmesso dalle zanzare tropicali e subtropicali Aedes aegypti (le stesse che veicolano dengue e febbre gialla), ma anche, con minore efficacia, dalla zanzara tigre (Aedes albopictus).
 Dal momento della sua scoperta ha causato piccole e contenute epidemie in alcuni paesi di Africa e Sudest asiatico.
 In Brasile è arrivato lo scorso maggio e nel giro di sei mesi ha infettato, complice forse la mancanza di naturale immunità al virus nel continente, ben 1,5 milioni di persone. 
 Ma non dobbiamo immaginare un virus letale come Ebola. Soltanto un quinto delle persone infettate si ammala effettivamente, e i sintomi non vanno in genere al di là dei classici dell'influenza: febbre, eruzioni cutanee, dolori alle articolazioni, occhi rossi.


A ottobre le autorità sanitarie brasiliane hanno svelato però un aspetto più preoccupante: la correlazione dell'infezione da virus Zika con un aumento impressionante dei casi di microcefalia - una riduzione nella crescita di cranio e cervello con conseguenti gravi problemi neurologici - nei neonati e di alcune malattie neurologiche e autoimmuni - come la sindrome di Guillain-Barré, una condizione che può portare alla paralisi - negli adulti.

 PER CHI È PERICOLOSO? 

Per le donne in gravidanza. Anche se un legame causa effetto non è ancora stato scientificamente dimostrato, la comparsa di Zika in Brasile è coincisa con l'impennata dei casi di microcefalia tra i neonati: da ottobre ad oggi, quelli registrati sono 3.893 e in continua ascesa. 
Un incremento del 2500% rispetto al 2014, quando i casi di microcefalia sono stati 150. 
 L'allarme è stato dato a ottobre dai medici di Pernambuco, nel nordest del Brasile e nessuna delle cause ad oggi note per lo sviluppo ridotto di cranio nel feto - l'uso di alcol e droghe in gravidanza, la rosolia, anomalie genetiche o l'esposizione ad alcune sostanze chimiche - basta a spiegare l'accaduto.
 Zika è il principale indiziato anche dopo che la scorsa settimana gli esperti dei Centres for Disease Control and Prevention (CDC) americani hanno annunciato di aver trovato tracce del virus in feti con microcefalia morti nell'utero o poco dopo la nascita. 
La prova che il virus si trasmette da madre a figlio e passa attraverso il liquido amniotico. 

 Ecco perché, mentre le autorità sanitarie sconsigliano alle donne incinte di recarsi in viaggio nei paesi colpiti, quelle di Brasile, Ecuador, El Salvador e Jamaica si sono spinte oltre e hanno chiesto alle donne che progettano una gravidanza di rimandare i loro piani fino a quando l'emergenza non sarà contenuta.

 Le autorità sanitarie nazionali raccomandano alle donne incinte o alle donne che stanno pensando di iniziare una gravidanza di riconsiderare eventuali decisioni su viaggi nei paesi in cui l'epidemia è più diffusa, in particolare in Brasile (che sarà meta di turismo di massa durante le Olimpiadi) e Colombia, El Salvador, Guiana francese, Guatemala, Haiti, Honduras, Martinica, Messico, Panama, Paraguay, Portorico, Suriname e Venezuela.
 In gravidanza, il virus Zika rappresenta un pericolo in qualunque trimestre, ma soprattutto nel primo e all'inizio del secondo trimestre, per la fase di sviluppo neurologico in cui si trova il feto e perché nelle prime settimane è più facile che una donna non sappia ancora di essere incinta e sia meno prudente nella profilassi anti-zanzare.
 Alle donne incinte di ritorno da un viaggio nei paesi colpiti si raccomanda di recarsi dal proprio medico curante se sono state nelle aree interessate dal virus o se si presentano sintomi riconducibili a quelli descritti, e in generale una particolare attenzione agli esami ecografici.


Ricercatori di Stati Uniti, Brasile e altre nazioni stanno già lavorando a un vaccino, ma i tempi non saranno brevi come per Ebola. 
Se nel caso dell'ultima infezione infatti, si lavorava a una soluzione già da un decennio, gli studi per un vaccino, e per un eventuale trattamento antivirale contro Zika stanno partendo praticamente da zero. 
Creare un vaccino e sperimentarlo richiederà diversi anni e diversi milioni di dollari.


In questo momento, la lotta a Zika si gioca tutta sull'eradicazione delle zanzare vettore, le uniche responsabili della trasmissione del virus (che non si trasmette da uomo a uomo). 
Questi insetti pungono in genere di giorno - le zanzariere intorno ai letti non sono quindi così efficaci - e si moltiplicano attorno alle acque stagnanti.
 Sbarazzarsi dei focolai in cui si annidano è il primo passo per contenere l'epidemia. 

Fonte: http://www.focus.it/

Alla scoperta della Tataouine, tra storia, tradizioni e architettura berbera


Tataouine, Tunisia. Alzi la mano chi la conosce. 
Alcuni forse conoscono Tatooine, il pianeta natale di Luke Skywalker di Guerre Stellari; l’assonanza non è un caso visto che George Lucas girò molte scene della saga proprio qui.

 Vale la pena saperne di più su Tataouine. 
Perchè? 
Per la sua architettura berbera, i tradizionali ksour (gli antichi granai), le oasi verdeggianti, i villaggi trogloditi scavati nelle montagne. 
 Scoprire questa regione significa fare letteralmente un viaggio fino alle radici della storia, ripercorrendo le antiche tradizioni berbere e immergendosi nella natura e nella spiritualità.
 Tataouine è nota per i suoi notevoli esempi di architettura berbera. Abbarbicati tra le montagne ci sono alcuni villaggi trogloditi (Chenini, Douiret, Ksar Ouled Soltane e Ksar Hadada) assolutamente da visitare per le loro particolarità artistiche e religiose (come la bellissima Moschea dei Sette Dormienti).
 Le montagne venivano scavate per ospitare case, moschee o oleifici.
 Tutta la regione è inoltre disseminata di ksour, i tradizionali e stupefacenti granai fortificati (“ksour” in arabo significa castello). Le strutture più antiche risalgono al XII secolo e alcuni sono tuttora utilizzati.


Il paesaggio della regione della Tataouine è inciso da centocinquanta milioni di anni di storia.
 Ciò è testimoniato da strati archeologici ben visibili, tracce di animali preistorici e meteoriti.
 La zona è di notevole interesse geologico e storico. Gli appassionati di storia e paleontologia sono nel posto giusto. La regione occupa circa il 25% del territorio della Tunisia, con una densità di popolazione bassissima. 
Sperduta e fuori dai classici circuiti turistici, la Tatatouine è ancora profondamente attaccata alle tradizioni ma si contraddistingue per la calorosa ospitalità del suo popolo.






Il sud-est tunisino, con la sua natura arida e inospitale, è testimone di sistemi di coltivazione agricola ancestrale come i jessour, piccole dighe costruite per trattenere la terra e la misera acqua piovana. 
La Tataouine è anche oasi verdeggianti, piante medicinali ed erbe aromatiche.
 In loco vengono organizzate anche visite alle realtà di produzione locale, attraverso un contatto diretto con le popolazioni locali, nel rispetto di un impatto economico positivo sui villaggi. 

 Fonte: wanderlustt

giovedì 28 gennaio 2016

Omo, la rara giraffa bianca della Tanzania


Nel Tarangire National Park, in Tanzania, nel gennaio 2015 venne avvistato un rarissimo cucciolo di giraffa bianco che ora dovrebbe avere 15 mesi e che è stato riavvistato pochi giorni fa dai ricercatori del Wild Nature Institute che dicono che questo eccezionale animale è riuscito miracolosamente a sopravvivere agli attacchi di predatori come leoni, leopardi e iene e, soprattutto, ai bracconieri umani. 
 Il piccolo di giraffa, che è stato chiamato Omo, come la marca di un detersivo che va ancora per la maggiore in Africa, non è albino ma leucistico, cioè le sue cellule superficiali del corpo non sono in grado di produrre pigmenti, così una parte o tutta la superficie del corpo resta “bianca”.
 Al Wild Nature Institute spiegano che «Un modo per capire la differenza tra gli animali albini e leucistici è che negli individui albini la melanina manca ovunque, anche negli occhi, in modo che il colore degli occhi risulta di colore rosso, a causa dei vasi sanguigni sottostanti».
 A differenza degli albini, Omo ha un po’ di colore: la sua criniera è rosso-ruggine, il ciuffo della sua coda e nero e gli occhi sono scuri come quelli della maggior parte delle giraffe, orlati da lunghe ciglia pallide. 
Come scrive Liz Boatman sulla Berkeley Science Review. «Il leucismo è poco pigmento, che è il motivo per cui gli occhi di Omo sono ancora scuri e che ha ancora sui fianchi un debole pattern di macchie delle giraffe».


Il giovane Omo sembra andare d’accordo con le altre giraffe del suo branco che hanno una colorazione normale che non sembrano curarsi del suo aspetto diverso, anzi, sembrerebbero aver protetto il cucciolo bianco in qualche modo, visto che sorprendentemente è sopravvissuto per i primi 15 mesi di vita, che sono il periodo più pericoloso per le giovani giraffe che possono essere uccise da un grande carnivoro. 
 Ma ora Omo deve affrontare un pericolo maggiore, che molto probabilmente lo perseguiterà per tutta la sua vita: i bracconieri umani. 
Infatti, gli animali bianchi diventare un bersaglio molto ambito di bracconieri e cacciatori semplicemente per il loro aspetto. 

Nel 2009 The Indipendent denunciò che un cacciatore tedesco aveva offerto più di 5.400 sterline per poter abbattere un capriolo albino che vive in Gran Bretagna. I serpenti del grano albini costano di più rispetto ai loro simili colorati e in Brasile sono stati rubati da uno zoo 7 alligatori albini per venderli ai collezionisti. Per non parlare della vera e propria persecuzione degli esseri umani affetti da albinismo che in Africa a volte vengono uccisi e mutilati per realizzare pratiche “magiche” frutto di pregiudizi e razzismo. 

Derek Lee, fondatore del Wild Nature Institute, che ha la sua sede ad Arusha, la capitale safari della Tanzania, ha detto a Sam Wood di Philly.com che Omo «Ora ha più di un anno di età, le sue possibilità di sopravvivenza nell’età adulta sono buone se non verrà disturbato».


La Giraffa bianca è stata scoperta per caso: lo staff del Wild Nature Institute scatta foto digitali alle giraffe per poi identificarle individualmente con l’ausilio di software di riconoscimento dei modelli unici delle loro macchie. 
«Stiamo documentando nascite, decessi e movimenti di oltre 2.100 singole giraffe attraverso 4.000 chilometri quadrati di territorio che sono un mosaico di parchi nazionali, allevamenti e Wildlife Ranch turistici, pascoli del bestiame dei Masai e campi agricoli – spiega Lee – Stiamo studiando le giraffe in un territorio in  cui molte persone vivono fianco a fianco con le giraffe, in modo che possiamo imparare dove giraffe stanno bene, dove no e perché, al fine di proteggere e collegare le aree più importanti per la sopravvivenza delle giraffe. 
Guidiamo lungo centinaia di km di piste 6 volte all’anno per raccogliere le nostre catture fotografiche e abbiamo trovato Omo durante una delle nostre indagini periodiche».
 Il piccolo sembra il solo esemplare bianco tra le circa 3.000 giraffe che vivono nell’area del Tarangire. 
 Per quanto riguarda il rischio bracconaggio, Lee ricorda che «In Tanzania è illegale uccidere giraffe, in quanto sono l’animale nazionale, ma è ben noto che la caccia per rifornire il mercato illegale della carne è dilagante intorno al Tarangire.
 Purtroppo tutte le giraffe, non solo quelle bianche come Omo, sono minacciate dal bracconaggio di animali selvatici.
 Fortunatamente, Omo vive in un parco nazionale dove c’è la più alta probabilità di sopravvivenza grazie agli sforzi anti-bracconaggio nella zona. 
Ci auguriamo che la popolarità di Omo aumenterà la consapevolezza globale sui problemi delle giraffe».

 Fonte: greenreport.it

Alla scoperta di Villa d’Este: un capolavoro assoluto del giardino all’italiana


Tivoli, alle pendici occidentali dei monti Tiburtini, ad est di Roma, lungo il fiume Aniene, ha goduto, sin dall’antichità, di condizioni favorevoli dal punto di vista climatico e strategico. 
In questa città tappa obbligata è Villa d’Este, capolavoro assoluto del giardino all’italiana, un modello che ha influenzato, attraverso il suo fascino, l’evoluzione dell’arte del giardino in Italia e in Europa. Inserita tra i siti Unesco, la straordinaria Villa cattura l’attenzione dei visitatori per l’impressionante concentrazione di fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e musiche idrauliche, sviluppandosi su più terrazzamenti ed è privilegiata da un terrazzo con affaccio sul paesaggio dell’agro romano. 

Voluta dal cardinale Ippolito II d’Este, nominato governatore della città di Tivoli da papa Giulio III, nacque in un luogo che aveva un nome felice: “Valle Gaudente”; un breve vallata che scendeva tra dolci pendici di vigne e oliveti, percorse tra viuzze campestri, popolate da casupole bianche con tetti rossi, da ruderi dorati, da qualche tabernacolo e da una piccola chiesa.
 Villa d’Este, che ha attraversato un grave periodo di decadenza sotto gli Asburgo, per poi ritornare a risplendere col cardinale Gustav Adolf von Hogenlohe Schillingsfurst a metà 800, ha richiesto 20 anni per la sua realizzazione, a partire dal 1550. 

Il cardinale conferì tale incarico all’architetto napoletano Pirro Ligorio, che fece un lavoro davvero notevole, avvalendosi della collaborazione di valenti idraulici tra cui Giacomo della Porta e Claude Venard. 

 Proprio in quegli anni il musicista Franz Liszt compose al pianoforte la famosa "Giochi d'acqua a Villa d'Este, eseguendola in un concerto all’interno della villa.

 



Solo per citare alcuni imponenti numeri riguardanti la sua composizione: 35.000 mq complessivi di giardino, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche e 50 fontane, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante e alberi ornamentali perenni, 9000 mq di viali, vialetti e rampe.
 Il visitatore è trasportato in una reggia d’altri tempi, amata dagli artisti del Grand Tour tra 700 e 800, ampiamente riprodotta nelle opere di Fragonard, famoso artista francese settecentesco.
 Il giardino con i suoi cipressi pluricentenari e le sue gigantesche sequoie, era impostato per meravigliare e stupire papi, sovrani e principi e, nella sua conformazione architettonica a terrazzamenti, doveva ricordare i mitici giardini di Babilonia.


Una curiosità: le fontane non sono alimentate da congegni meccanici ma semplicemente sfruttando la pressione naturale dell’acqua del fiume Aniene, convogliata nella Villa attraverso incredibili lavori idraulici.
 Spiccano: la Fontana dell’Ovato, le Cento Fontane (dove l’acqua sgorga da innumerevoli mascheroni e zampilli), la Fontana dell’Organo, la Fontana dei Draghi, quella di Nettuno, di Madre Natura o dell’Abbondanza, dove l’acqua sgorga da numerose mammelle, simbolo di fecondità.








Fonte: http://www.meteoweb.eu

La leggenda dei giorni della merla


Ci sono diverse varianti della leggenda dei giorni della merla, ma in tutte le varianti ci sono due cose che rimangono sempre fisse, una sono i merli e l’altra sono i giorni: il 29, il 30 e il 31 Gennaio. Questi tre giorni si dice che siano “i tre giorni più freddi dell’anno”, quelli che gli “anziani del paese” sanno leggere per prevedere come sarà il clima di tutto l’anno. 

La leggenda più bella è quella che narra della continua “bagarre” tra il mese Gennaio e i merli, che una volta portavano un piumaggio candido con un becco bello arancione. 
Si narra che Gennaio fosse un mese alquanto dispettoso, di soli 28 giorni, e che si divertisse a gelare una merla quando lei cercava di uscire dal nido in cerca di cibo.
 La merla stufa dei continui attacchi del mese antipatico, decise di fare scorte per tutti i 28 giorni, e allo scadere del tempo uscì dal nido a sbeffeggiare il mese… che però non contento decise di chiedere in prestito tre giorni a Febbraio (che all’epoca pare avesse 31 giorni) e attaccò con tutto il freddo che poteva la povera merla, alla quale non restò che un’unica via di salvezza, un caldo comignolo dove ripararsi… Purtroppo quando il terzo giorno la merla uscì dal comignolo, la fuliggine aveva trasformato il suo candido piumaggio in un nero brillante… e da allora tutti i merli sono diventati neri.


Ogni leggenda ha un fondo di verità, per esempio il fatto che Gennaio fosse un mese breve lo possiamo ritrovare confermato nell’antico calendario romano, dove il primo mese dell’anno aveva solo 29 giorni. 
Come dicevo prima gli anziani sanno “leggere” questi tre giorni per prevedere l’andare delle stagioni, ebbene si dice che se i giorni della merla sono terribilmente freddi, la primavera sarà bella e arriverà presto, se invece in quei tre giorni il tempo sarà clemente, la primavera tarderà ad arrivare e non sarà così fiorente.

 Un’altra leggenda narra che i merli da candidi siano diventati neri perché papà merlo lasciò la mamma merla e i suoi pulcini al riparo accanto ad un camino, durante gli ultimi giorni di Gennaio, per andare a cercare del cibo.
 Quando tornò, la fuliggine aveva fatto diventare neri sia la mamma che i piccoli, e lui faticò a riconoscerli… Da quella volta tutti i piccoli nacquero neri.

 Fonte: www.eticamente.net

martedì 26 gennaio 2016

Il suggestivo giardino di Ninfa


Ci sono magnolie, camelie, piante esotiche, un lago, un fiume e un lembo di palude pontina. 
Il Monumento naturale Giardino di Ninfa grazie al suo giardino botanico e il parco naturale Pantanello, è uno dei luoghi più belli d’Italia, non a caso fa parte del sistema delle oasi affiliate del WWF. 
 Gestito dalla Fondazione Roffredo Caetani che ne anche è proprietaria, esso è stato istituito nel 2000 dalla Regione Lazio e si estende per circa 106 ettari all’interno del comune di Cisterna di Latina. 
 Il nome Ninfa deriva da un tempietto di epoca romana dedicato alle Ninfe Naiadi che si trova nell’attuale giardino storico di fama internazionale. 

Al suo interno vi sono oltre 1300 piante diverse che regalano una straordinaria varietà cromatica, ci sono per esempio gli aceri giapponesi, i ciliegi e i meli ornamentali ma anche tantissime varietà di rose rampicanti che adornano le rovine e incorniciano ruscelli e sentieri.
 Tra le piante tropicali vi sono l’avocado e i banani, tra gli arbusti vivono, invece, oltre 100 specie di animali.










Tutta l’area era stata concessa nell' VIII secolo da Costantino V a Papa Zaccaria diventando un punto strategico per il commercio grazie alla via Pedemontana, l’unico collegamento alle porte di Roma quando la via Appia era ricoperta da paludi.
 Nell' XI Ninfa assunse il ruolo di città fiorendo soprattutto sotto l’aspetto architettonico.
 Nel 1294 Papa Bonifacio VIII aiutò suo nipote Pietro II Caetani ad acquistare Ninfa e altre città limitrofe, segnando l’inizio della presenza dei Caetani nel territorio pontino e lepino, presenza che sarebbe durata per sette secoli. 
 Grazie a lui, venne così ampliato il castello con l’aggiunta della cortina muraria, i quattro fortini e il palazzo baronale.
 Nel corso del Trecento dopo saccheggi, distruzioni ed epidemie, Ninfa però non venne più ricostruita e gli abitanti lasciarono la città.


Nel XVI secolo, il cardinale Nicolò III Caetani volle creare qui un giardino delle sue delizie.
 Il lavoro fu affidato a Francesco da Volterra che progettò un hortus conclusus, un giardino delimitato da mura con impianto regolare. Alla morte del cardinale però il luogo venne nuovamente abbandonato. 
Un altro tentativo di insediamento fu fatto da un altro esponente della famiglia Caetani nel XVII dal duca Francesco IV, che si dedicò alla rinascita del giardino ma la malaria lo costrinse ad allontanarsi. 
Della sua opera rimangono le polle d'acqua e le fontane.




Il fascino delle rovine di Ninfa attirò molti viaggiatori, c’è chi la definì perfino la Pompei del Medioevo.
 Solo alla fine dell'Ottocento i Caetani ritornarono sui possedimenti da tempo abbandonati. 
Ada Bootle Wilbraham, moglie di Onoraro Caetani creò un giardino in stile anglosassone, dall’aspetto romantico. 
Vennero bonificate le paludi e restaurate alcune rovine fra cui il palazzo baronale, che divenne la casa di campagna della famiglia, oggi sede degli uffici della Fondazione Roffredo Caetani.


Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani, continuò la cura del giardino introducendo nuove specie di arbusti e rose ,e aprì le sue porte all’importante circolo di letterati e artisti legato alle riviste da lei fondate, “Commerce” e “Botteghe Oscure”, come luogo ideale in cui ispirarsi. 
 Durante la Seconda Guerra Mondiale, la famiglia Caetani si rifugiò nel castello Caetani di Sermoneta, facendo ritorno a Ninfa solo dopo il 1944, il giardino fu utilizzato come base per le munizioni da parte dei soldati tedeschi. 
 L’ultima erede fu Lelia, figlia di Roffredo Caetani che prima della sua morte nel 1977, decise di istituire la Fondazione Roffredo Caetani al fine di tutelare la memoria del casato Caetani, di preservare il giardino di Ninfa e il castello di Sermoneta e di valorizzare il territorio pontino e lepino. 
 E' grazie a lei che oggi è possibile visitare questo splendido giardino che racchiude in sé splendidi paesaggi e una varietà infinita di flora e fauna. 

 Dominella Trunfio

L’appartamento segreto di Gustave Eiffel


Quando fu inaugurata la Torre Eiffel, in occasione dell’Expo del 1889, il progettista Gustave Eiffel ottenne un riconoscimento di fama enorme per il proprio lavoro. 
L’ingegnere però non volle rinunciare alla possibilità di costruire uno spazio, al terzo piano della torre di Parigi, che fosse riservato soltanto a se stesso.
 L’appartamento privato di Eiffel non era grande, ma accogliente ed ambitissimo da parte di tutta l’élite parigina, che sognava di vedere Parigi da oltre 300 metri di altezza all’interno di un vero e proprio rifugio privatissimo.

 In contrapposizione con le travi d’acciaio del resto della torre, l’appartamento era arredato con uno stile semplice, le pareti ricoperte di carta da parati e i mobili scelti dello stile tradizionale dell’artigianato francese.
 All’interno era presente anche un pianoforte a coda, che contribuiva a creare un ambiente che, nel suo complesso, era certamente confortevole.
 Adiacenti al piccolo appartamento si trovavano alcune stanze adibite a laboratorio scientifico.




Una volta che la voce dell’appartamento di Eiffel si sparse, l’élite parigina diventò verde per l’invidia, arrivando ad offrire allo scienziato cifre folli per affittare, anche solo per una notte, il piccolo rifugio.
 Eiffel rifiutò qualsiasi offerta, utilizzando lo spazio come luogo di riflessione e intrattenendo ospiti del calibro di Thomas Edison, che gli regalò una delle sue macchine fonografe presentate durante la stessa Expo del 1889. 

 Oggi, dopo essere stato chiuso per decenni, l’appartamento è messo in mostra per i visitatori che raggiungono la vetta della Torre. 
Gran parte degli arredi sono originali, e all’interno ci sono due manichini con le sembianze di Eiffel ed Edison impegnati in un dibattito scientifico.



Matteo Rubboli

lunedì 25 gennaio 2016


Nessuno può scappare dai suoi ricordi, ma fate in modo che non diventino una prigione per tagliarvi le ali al futuro. 

Claudio Visconti De Padua

La triste verità sugli elefanti che trasportano i turisti


A vederli passeggiare con un mantello giallo e rosso sul dorso, e un ombrellone che ripara dal sole, ai turisti può sembrare che vada tutto bene, che questa sia una tradizione locale. 
In Asia, infatti, è normale vedere un elefante che porta le persone a passeggio per le città, mentre l’addestratore fa da guida turistica, come se i passeggeri fossero su un autobus a due piani. 
Ma prima di diventare degli elefanti a disposizione delle gite dei visitatori, gli animali vengono ingabbiati, picchiati, lasciati per giorni senza cibo né la possibilità di dormire.
 «La pratica inflitta agli elefanti selvaggi si chiama “schiacciamento”, e consiste nel legarli con delle corde e colpirli violentemente fino a quando, stremati, non si sottomettono all’uomo - spiega il veterinario Jan Schmidt Burbach, consigliere dell’organizzazione no profit londinese “World Animal Protection” -. E’ un modo per distruggere le loro anime, per ridurre in pezzi le loro vite e fare business».


Di solito, i giovani elefanti vengono sottratti alle loro madri, in modo che l’addestramento sia più rapido e semplice. 
Quando i cuccioli vengono scelti, hanno pochi mesi, con la conseguenza che non conoscono un’altra vita all’infuori di questa: far salire sulla propria schiena una o più persone, e accompagnarle in giro per le strade delle località che vogliono visitare. «L’addestramento è molto duro - prosegue Jan Schmidt Burbach - e li fa soffrire moltissimo.
 Questa pratica nutre l’industria del turismo, dove sono sempre più richiesti».


Anche se la cattura degli elefanti selvaggi in Asia non è legale, di solito gli addestratori riescono a prenderli e ingabbiarli ugualmente, «per poi sottometterli e addestrarli il più in fretta possibile - prosegue il veterinario - etichettandoli come animali “in cattività”. E se l’animale non è più selvaggio, le misure di salvaguardia della specie non possono più essere applicate». 

 Fonte: http://www.lastampa.it/

Il ponte di ghiaccio di Leonardo da Vinci


Un ponte realizzato interamente in ghiaccio, progettato niente meno che da Leonardo da Vinci, sarà realizzato in Finlandia, nella cittadina di Juuka. 
Si tratterà del più lungo ponte di ghiaccio di tutto il mondo e avrà la particolarità – appunto – di non essere il risultato dell’ingegneria moderna, della tecnologia contemporanea o dell’innovazione di oggi, ma della fantasia e della creatività del genio toscano.

 Juuka è conosciuta in tutto il pianeta perché ogni anno vi si svolge una manifestazione molto speciale, che attira persone da ogni angolo del globo: va in scena, infatti, il Festival del Ghiaccio. Ebbene, in occasione dell’ultima edizione della kermesse, poche settimane fa, è stato dato il via alla costruzione del ponte di ghiaccio: una vera e propria struttura da Guinness dei Primati, se è vero che avrà una lunghezza di 65 metri e una larghezza di 16 metri. 
 Chi non vuole perdere l’opportunità di osservarlo da vicino, o addirittura di camminarci sopra, non deve fare altro che attendere pochi giorni, visto che l’apertura al pubblico è prevista per il prossimo 16 febbraio. 
Occorre affrettarsi, però, perché – come si può facilmente immaginare – con l’arrivo della stagione primaverile il ponte è destinato a sciogliersi: d’altro canto, scegliendo un materiale effimero come il ghiaccio non ci si poteva aspettare altro. 
Ciò non toglie che, fino a quando sarà in vita, il ponte di Juuka potrà ospitare e sostenere il peso di veicoli del peso di due tonnellate, oltre – ovviamente – al via vai delle persone. 
Ma come è possibile che questa costruzione sia stata progettata secoli e secoli fa da Leonardo Da Vinci? 
Molto semplicemente, i disegni che sono stati impiegati si ispirano al ponte che Leonardo avrebbe voluto realizzare all’inizio del XVI secolo e più di preciso nel 1502


Il ponte leonardesco, nelle intenzioni del genio, avrebbe dovuto congiungere Pera, sul Bosforo di Istanbul e la Punta del Serraglio, al fine di soddisfare una richiesta che era stata espressa direttamente da Bayezid II, il sultano dell’Impero ottomano. 
Quel ponte, tuttavia, non è mai stato costruito, ma in un certo senso rivivrà in Finlandia, un po’ più a nord rispetto alla collocazione per la quale era stato ideato in origine. 
L’ingegneria scandinava, dunque, almeno in questo caso c’entra poco o nulla, anche se la realizzazione del ponte è stata favorita dalla Structural Ice Association con la collaborazione dell’amministrazione comunale di Juuka. Non solo: ad organizzare gli eventi di ghiaccio nelle vicinanze sono in molti, con il coinvolgimento di più di 15 tra istituti internazionali e università. L’utilizzo di più di 800 tonnellate di una miscela composta da fibre legnose e ghiaccio, chiamate pikrete, è il punto di partenza per questa costruzione. 
Si tratta, per altro, di un procedimento molto ecologico e rispettoso dell’ambiente.


La Structural Ice Association ha spiegato che la creazione del ponte può essere considerata un’eredità della tradizione degli igloo, ovviamente con tutti i miglioramenti tecnici del caso, anche se sono pochi i ricercatori impegnati in questo settore e coloro che studiano e lavorano per rendere gli edifici ghiacciati una realtà più diffusa. Anche per questo motivo il ponte di Juuka può essere considerato un traguardo importante, oltre che – a sua volta – uno strumento di ricerca, un modo per scoprire fino a che punto il ghiaccio può essere adoperato come materiale da costruzione. 
La campata prevista per il ponte di Leonardo era di 240 metri, anche se all’epoca si riteneva che dare vita ad un ponte con queste dimensioni non fosse possibile.
 In realtà, il progetto leonardesco ha già preso vita nel 2001, sempre in Scandinavia ma questa volta in Norvegia: in legno, però e non con il ghiaccio.
 La struttura finlandese fatta con il pykrete sarà una riproduzione in piccolo, nel senso che la campata sarà di appena 35 metri, ma si tratterà comunque di un esperimento di grande rilevanza, con il ricorso a uno stampo di base costituito da una struttura gonfiabile. 

 Fonte: http://meteofan.it/

Asclepio e l'uso dei sogni per curare le malattie con l'aiuto degli dei

Tutti noi abbiamo familiarità con la figura di Asclepio, dal momento che il simbolo che utilizziamo oggi per la medicina, il bastone con due serpenti intrecciati, è la raffigurazione della verga utilizzata dal dio greco.
 Era figlio di Apollo e della principessa Coronide. 
Secondo il mito, Apollo si innamorò di Coronide mentre ella faceva il bagno in un lago. 
I due consumarono la loro passione, poi il dio andò via, lasciando un corvo a guardia della ragazza. Coronide decise di sposarsi con Ischys, e il corvo, quando li vide assieme, volò da Apollo per riferire.
 Quando scoprì che Coronide era incinta, decise di punire il corvo, tramutandogli le piume da bianche in nere, poiché non aveva allontanato Ischys da Coronide.
 Artemide uccise Coronide trafiggendola con un dardo, su richiesta del fratello disonorato. 
Apollo, però, decise di salvare il piccolo che Coronide aveva in grembo, e chiese ad Ermes di prenderlo dal corpo della madre. Apollo decise di dare al piccolo il nome di Asclepio. 

Un’altra versione del mito racconta che Apollo stesso uccise Coronide e, compreso il suo errore, estrasse il feto di Asclepio.  Asclepio è quindi un semi-dio (oggi diremmo un ‘ibrido’). 
Fu allevato da una misteriosa figura mitologica greca, il centauro Chirone, il quale allevò Asclepio istruendolo nell’arte della medicina. 
Il giovane divenne talmente bravo da essere in grado di ridare la vita ai morti. 
 Tuttavia, il dio dell’Ade si lamentò con Zeus, dato che Asclepio riusciva a strappare un gran numero di persone alla morte. Il risultato fu che Zeus decise di mettere fine alla vita di Asclepio distruggendolo con un fulmine. Dopo la sua morte, Asclepio ha raggiunto la sua dimora presso la costellazione di Ofiuco (Colui che porta il serpente).


Certamente, quella di Asclepio, in confronto alle narrazioni della mitologia greca sullo stile di vita delle divinità, è una figura in controtendenza.
 Rispetto ai suoi ‘simili’, Asclepio sembrava realmente interessato alla salute e al benessere dell’uomo, tanto da volergli fare addirittura il dono dell’immortalità.
 I templi dedicati al signore della medicina erano centri di culto, ma allo stesso tempo avevano anche la funzione di ospedali, i primi ad essere eretti nella storia occidentale. 
Si stima che nella Grecia antica si contassero circa 320 Asclepeion (ospedali). 
Ma ciò che più interessa è l’approccio olistico nelle cure tramandate e fatte discendere direttamente dall’insegnamento di Asclepio.

 Le malattie erano considerate il risultato di molteplici fattori sociali, ambientali, psicologici, spirituale, emotivi e fisici.
 In effetti, non si prendeva in considerazione solo il corpo del paziente, ma l’interezza della sua persona.
 La terapia aveva lo scopo di armonizzare e bilanciare tutti questi fattori. 
Come sottolinea John Black su Ancient Origins, i nostri antenati avevano sviluppato il perfetto equilibrio tra scienza e spiritualità. Nell’Asclepeion, il paziente veniva inizialmente posto in un ambiente piacevole a godere di teatro e musica; poi veniva sottoposto ad un regime dietetico più salutare; infine, venivano prescritte sedute di idroterapia e psicoterapia.
 Quando i terapeuti reputavano il paziente pronto, questi veniva portato al tempio per pregare e poi dormire al suo interno.


La mattina dopo, il paziente raccontava al medico cosa aveva sognato e cosa aveva provato, in quanto si credeva che la visita in sogno di Asclepio fosse la chiave per curare tutte le malattie. Dall’interpretazione del sogno sarebbero arrivate la terapia che il paziente doveva eseguire per ottenere la completa guarigione.


Tra i centri di guarigione più importanti, forse il più conosciuto ed enigmatico è quello che si trova alla base dell’acropoli di Pergamo, in Turchia. 
La città fu fondata nel 4° secolo a.C., attorno ad una sorgente ritenuta sacra che scorre ancora oggi.
 Nel corso dei secoli è diventato uno dei centri di cura più conosciuti del mondo antico, secondo per importanza solo a Epidauro, in Grecia, considerato il primo ospedale psichiatrico del mondo. 
L’influente medico Galeno nacque proprio a Pergamo e qui vi pratico l’arte medica intorno al 2° secolo d.C., affermando la sua buona reputazione come guaritore di gladiatori.


Il trattamento medico per eccellenza somministrato a Pergamo era garantito dalla sorgente sacra, la quale si è scoperto più tardi avere proprietà radioattive.
 Le sorgenti sacre sono state visitate da personaggi importanti come l’imperatore romano e filosofo Marco Aurelio, e innumerevoli altre persone comuni in cerca di cure per i loro disturbi fisici e mentali.

 I pazienti cominciavano la terapia percorrendo la Via Sacra, alla quale si accedeva attraverso un passaggio sotterraneo.
 Il tunnel era costellato di cubicoli su entrambi i lati, dove alcuni pazienti vi trascorrevano la notte per poi raccontare i loro sogni ai sacerdoti-medici, in modo da facilitare la diagnosi della loro malattia.


Al mattino, una volta saliti al tempio, i pazienti percorrevano un sentiero circolare in modo da camminare in una sorta di processione senza fine. 
Dopo di che, si veniva sottoposti ad una serie di trattamenti che comprendevano la psicoterapia, massaggi, rimedi erboristici, fanghi e trattamenti balneari, interventi chirurgici e la somministrazione dell’acqua della sorgente sacra.
 All’interno dell’Asclepeion c’era anche un teatro, per intrattenere i pazienti che vi sarebbero rimasti per settimane. 
Tutto questo veniva fatto nella convinzione che la guarigione era un’arte sacra e che le anime delle persone avevano bisogno di essere curate, così come i loro corpi.
 Secondo le cronache del tempo, pare che i rimedi proposti a Pergamo avessero una grande efficacia nel guarire le malattie. Ancora oggi, migliaia di persone si recano in pellegrinaggio all’antico sito di Pergamo nella speranza di ottenere la guarigione. Nei nostri ospedali moderni, dove per lo più impera la burocrazie e la spersonalizzazione delle cura, forse non sarebbe male recuperare lo spirito ‘olistico’ che animava l’arte medica dei greci antichi.


E’ interessante sottolineare il fatto che 3 mila anni fa l’approccio alla malattia e alla guarigione era completamente differente rispetto ad oggi, e forse anche molto più efficace.
 Da dove veniva questo valido approccio olistico, in cui il paziente veniva trattato con umanità e curato nell’interezza della sua persona? 
 E perché, da parte nostra, abbiamo permesso che l’arte medica diventasse il monopoli di potenti case farmaceutiche che più che curare, hanno interesse a prolungare la malattia (in modo da mungere l’ammalato come una vacca che produce profitti interessanti)?
 Anche in questo, parliamo di una disciplina insegnata agli esseri umani direttamente dagli dei.
 Asclepio, ispirato dal desiderio di insegnare agli uomini l’arte medica, ha pagato con la vita l’ira di Zeus, il quale concepiva l’immortalità come appannaggio unico delle divinità.

 In una bizzarra trasposizione moderna, la storia di Zeus ed Asclepio ricorda tristemente il rapporto tra le case farmaceutiche, divinità che tengono nelle loro mani il monopolio bastardo delle cure mediche, e la ricerca di terapie mediche che sappiano guardare all’interezza della persona umana e che siano realmente efficaci.

 Fonte: ilnavigatorecurioso.it
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