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mercoledì 12 febbraio 2014

Il tempo

Pietro, che ore sono?
Le quattro.
Pietro, che ore sono? 
Le cinque.
Pietro, che ore sono?
Le sei.
Pietro, che ore...

L’infibulazione nella storia e ai giorni nostri

Il termine “infibulazione” deriva dal latino “fibula” che significa spilla:
la pratica ha origine nell’antico Egitto, come testimoniano le scoperte archeologiche che hanno portato alla luce mummie egizie infibulate risalenti a oltre 4.000 anni: i reperti hanno inoltre attestato come l’infibulazione fosse particolarmente diffusa nella famiglia reale, infatti secondo le credenze allora in uso, tale obbligo di natura “reale”, rappresentava una forma per conservare la fertilità delle principesse ed assicurare la continuità della dinastia, oltre ad evitare gli spargimenti del prezioso “sangue reale”.
Esiste anche una ragione di natura religiosa che giustifica tale menomazione nel mondo egizio, secondo la tradizione sembra che gli Dei fossero do­tati di una natura bisessuale: natura ereditata poi dall’uomo, i segni di tale doppiez­za sarebbero il prepuzio nell’uomo e il clito­ride nella donna.
Solo eliminandoli, uo­mo e donna avrebbero potuto recuperare la lo­ro “vera natura”.
L’infibulazione è menzionata anche in un episodio della Tawarat (Pentateuco): quando i maghi si recarono dal Faraone per informarlo che una donna ebrea avrebbe partorito un figlio maschio e che nelle sue mani sarebbe finito il regno d’Egitto, il Faraone ordinò a tutte le Qablat (le donne preposte ad aiutare il parto) che operavano in Egitto di uccidere alla nascita ogni primogenito maschio.
Ma le Qablat fallirono e, quando il Faraone chiese il perché, esse risposero:“le donne ebree non sono come le donne egiziane che sono come gli animali, partoriscono prima che arrivi da loro la Qabla per aiutarle”.
L’interpretazione che ne trassero gli studiosi fu che le donne ebree, a differenza di quelle egizie, non fossero infibulate.
Perché le mutilazioni genitali femminili ai giorni nostri ?.
I motivi che portano a praticare ancora ai giorni nostri tali mutilazioni possono essere suddivise in cinque categorie principali. 1. Identità culturale:
in alcune società la mutilazione definisce l’appartenenza al gruppo sociale e la sua pratica viene mantenuta per salvaguardare l’identità culturale del gruppo stesso: basti pensare che presso alcune popolazioni la donna non mutilata automaticamente viene considerata “impura” e posta ai margini della società, in tale condizione è praticamente impossibilitata a trovare marito.
2. Identità sessuale:
la mutilazione viene ritenuta necessaria affinché una ragazza diventi una donna completa.
La rimozione del clitoride e delle donne somale piccole labbra (parte maschile) del corpo della donna, sono indispensabili per esaltarne la femminilità (soprattutto in termini di docilità ed obbedienza).
3. Controllo della sessualità:
in molte società esiste la convinzione che le mutilazioni riducano il desiderio sessuale della donna (anche presso gli antichi ro­mani si praticava l’escissione delle schiave per ragioni analoghe, ostacolandone la vita sessuale).
I fautori di tale pratica sostengono che la mutilazione riduca il rischio di rapporti al di fuori del matrimonio, in quanto , aggiungono, non sia possibile che una donna non mutilata possa mantenersi fedele per propria scelta: nella pratica, le mutilazioni sessuali riducono la sensibilità, ma non il desiderio che dipende dalla psiche.
4. Credenze sull’igiene, estetica e salute:
le ragioni igieniche si basano sul concetto che i genitali femminili esterni siano “sporchi”: in alcune culture si pensa che, se il clitoride non viene asportato, i genitali possano continuare a crescere fino ad arrivare a “pendere” tra le gambe.
Altri gruppi credono che il contatto del clitoride, ritenuto un organo aggressivo, sarebbe pericoloso per l’organo maschile e che se il clitoride toccasse il capo del neonato durante il parto, ne causerebbe la morte (Mali, Kenya, Sudan, Nigeria).
5. Religione:
la pratica delle mutilazioni genitali femminili è antecedente all’Islam e maggior parte dei mussulmani non la praticano.
Tuttavia nel corso dei secoli questa consuetudine ha acquisito una dimensione religiosa di matrice “islamica” in quanto le popolazioni africane, convertitesi all’Islam, hanno associato (per loro convenienza), l’importanza religiosa di nascondere e preservare il corpo della donna, solo per il proprio uomo che è contenuta nel messaggio Islamico, ricorrendo a queste pratiche.
Va aggiunto che il Corano non parla di queste mutilazioni; esistono solo alcuni hadith (detti attribuiti al Profeta) che ne fanno cenno; in un di essi si racconta come Maometto, vedendo praticare una escissione, abbia detto alla donna che la praticava: “quando incidi non esagerare, così facendo il suo viso sarà splendente e il marito sarà estasiato”.
Tipi di Mutilazioni genitali femminili Infibulazione, infibulazione “faraonica”.
Ri­guarda circa il 15% di tutte le mutila­zioni genitali in Africa ed è la forma più estrema: prevede il taglio del clitoride, delle piccole labbra e della porzione superiore delle grandi labbra che vengono poi fatte aderire e tenute assieme con una cauterizzazione così che, una volta cicatrizzate, ricoprano completamente l’apertura della vagina, a parte un piccolo orifizio che permetterà di far defluire l’urina e il sangue mestruale; per non ostruirne l’uscita durante il processo di guarigione viene inserita nella vagina una scheggia di legno e permettere così il passaggio dell’urina e del sangue mestruale.
A seconda dei diversi costumi, la ferita viene poi cucita con filo di seta, di crine o con spine d’acacia.
Per favorire la cicatrizzazione sulla ferita viene applicata una pasta a base di erbe, latte, uova, cenere e sterco, ed arse sotto la ragazza delle erbe aromatiche tradizionali o della linfa essiccata.
In seguito all’operazione, le gambe della ragazza vengono legate e lei viene immobilizzata per un periodo di circa 40 giorni finché la ferita della vulva non guarisce.
La validità dell’intervento si misura in maniera inversamente proporzionale alla larghezza del buco risultante: più è piccolo (può arrivare alla grandezza della testa di un fiammifero), più è riuscita bene l’operazione.
Nella maggior parte dei casi viene praticata sulle bambine dai 2 agli 8 anni.
La prima notte di nozze la donna viene deinfibulata per consentire la penetrazione, e reinfibulata dopo ogni parto per ripristinare la situazione prematrimoniale.
Circoincisione, clitoridectomia, “sunna (tradizione) in arabo”. Consiste nell’asportazione del cappuccio del clitoride, talvolta può limitarsi alla scrittura della punta del clitoride con la fuoriuscita di sette gocce simboliche di sangue.
Escissione, “tahara (purificazione)”. Questo tipo sta in mezzo fra le due precedenti: consiste nel taglio del clitoride e nell’asportazione totale o parziale delle piccole labbra; Il tipo di mutilazione, l’età delle vittime e le modalità dipendono da molti fattori tra cui il gruppo etnico di appartenenza, il Paese e la zona (rurale o urbana) in cui le ragazze vivono:
nel Tigrai la mutilazione viene praticata sette giorni dopo la nascita, in altre zone alla prima gravidanza,
in Nigeria sono le neonate a subire la mutilazione,
in Uganda le adolescenti,
in Somalia linfibulazione è eseguita continuamente dai 2 anni fino ai 60 anni.
Esiste anche una altro tipo che si chiama Infibulazione al-Kabr (tomba) è, in realtà, uguale a quella di tipo faraonico solo che viene fatta sulle donne anziane benestanti e “religiose” che lo fanno prima di andare al Hajj (il pellegrinaggio a Mecca), che significa, per loro, smettere di avere rapporti sessuali con il proprio marito e si dedicata interamente alla preghiera ed ai riti religiosi, lasciando i beni ed i piaceri terreni, allontanandosi dalla vita sessuale anche nella vita coniugale.
Effetti fisici
Le mutilazioni genitali, ed in particolare l’infibulazione, possono anche rivelarsi mortali; spesso si verificano in­fezioni ai genitali e alle aree circostanti, frequenti sono anche setticemia, shock emorragico, a lungo andare la ritenzione di urina sviluppa infezioni che possono interessare sia il tratto urinario i reni e la vagina.
Il ristagno del flusso mestruale può provocare infezioni a carico all’apparato riproduttivo che possono portare alla sterilità.
Possono esservi inoltre danni permanenti agli organi vicini, ascessi e tumori benigni ai nervi che innervavano la clitoride.
Può essere veicolo di trasmissione il virus dell’epa­tite o dell’HIV. Le mutilazioni vengono effettuate in casa, a gruppi di ragazze della stessa età o appartenenti alla stessa famiglia servendosi di coltelli, lame di rasoi, coperchi di lattine, forbici e pezzi di vetro.
Solo i più facoltosi optano per strutture sanitarie in cui la mutila­zione è operata da medici in anestesia locale o totale.
Quando le ragazze diverranno adulte il loro primo rapporto sessuale sarà molto doloroso e spesso si renderà necessario praticare un taglio alle grandi labbra prima del rapporto sessuale.
Lo stesso dicasi per il parto, altrimenti il bambino non potrebbe uscire.
Dopo il parto le donne sono spesso infibulate di nuovo (vedi quanto scritto sopra a proposito della Somalia). L’allargamento e il restringimento dell’apertura vaginale ad ogni parto crea aderenze dolorose e cicatrici estese a tutta l’area genitale.
Effetti psicologici
Gli effetti psicologici delle mutilazioni sono più difficili da studiare di quelli fisici anche se l’infibulazione provoca spesso la frigidità sessuale o comunque notevoli problemi di carattere psicologi­co, spesso irreparabili.
Tutte le testimonianze raccolte parlano di ansia, terrore, senso di umiliazione e di tradimento, che possono avere effetti a lungo termine.
Fatti normali co­me il ciclo mestruale si trasformano in un vero incubo.
I rapporti sessuali sono dolorosissimi e le gravidanze una tortura. Alcuni esperti sostengono che lo shock ed il trauma dell’operazione possono contribuire a rendere le donne “più calme” e “docili”: qualità molto apprezzate nelle società che praticano le mutilazioni genitali.
Dove si praticano
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono almeno 135.000.000 le ragazze e le bambine che hanno subito mutilazioni sessuali e ogni anno se ne aggiungono altri 2.000.000.
Sono praticate soprattutto in Africa: Somalia, Etiopia, Egitto, Eritrea, Mali, Guinea, Sierra Leone ed in alcuni paesi del Medio Oriente (Egitto, Yemen, Oman, Emirati Arabi).
Altri casi di mutilazioni sono segnalati in alcune parti dell’Asia: Indonesia, India, Malesia, alcune zone del Pakistan.
Nelle Americhe e in Europa - compresa l’Italia (all’interno delle comunità di immigrati). Anche i Falasha (ebrei etiopi) praticavano l’infibulazione, non si sa se la effettuino anche dopo l’emi­grazione in Israele.
La prati­ca è rimasta in uso anche tra alcuni con­vertiti al cristianesimo, sebbene i mis­sionari europei abbiano sempre cercato di scoraggiarla.
Non ci sono studi sistematici sulla diffusione delle mutilazioni genitali femminili.
I dati riportati sono stati raccolti dalla ricercatrice olandese Fran Hosken.
Somalia 98% 3.773. 000
Gibuti 98% 196.000
Etiopia ed Eritrea 90% 23.940.000
Sierra Leone 90% 1.935.000
Sudan (nord) 89% 9.220.400
Mali 75% 3.112.500
Burkina Faso 70% 3.290.000
Costa d'Avorio 60% 3.750.000
Gambia 60% 270.000
Liberia 60% 810.000
L’infibulazione in Italia:
nel nostro Paese vivono circa 41.000 donne infibulate o escisse e 5.000 bam­bine “a rischio” in quanto appartenenti a comunità dove vengono praticate tali mutilazioni.
Questi sono i dati emersi da uno studio dei dott. Aldo Morrone e Gennaro Franco, presentati nell’ambito del sesto incontro internazionale “Cultu­ra, Salute, Immigrazione” svoltosi a Ro­ma nel novembre1999.
Negli anni no­vanta sono arrivate in Italia molte don­ne da paesi in cui l’infibulazione è la norma.
Medici e ostetriche si trovano di fronte a una nuova realtà; molte donne chiedono al medico che le ha deinfibula­te per farle partorire, di essere richiuse, come impone la tradizione del loro pae­se d’origine.
In altri casi, ci si rivolge al­le strutture sanitarie per riparare i dan­ni dell’infibulazione (È il caso del­le bambine adottate in Italia da piccole ma che avevano già subito la mutilazione).

Raccolto e composto da Alberto/Hurricane

Vademecum per combattere il raffreddore


Raffreddore: un disturbo estremamente diffuso, che colpisce gli adulti circa due-tre volte l'anno e i bambini una volta ogni due mesi. I sintomi, che possono durare da tre a dieci giorni – e fino a tre settimane nei casi più ostinati – sono noti a tutti: mal di gola, naso chiuso o che cola, tosse e malessere generale. 

Michael Allan, della University of Alberta, e Bruce Arroll, della University of Auckland, hanno pubblicato sul Canadian Medical Association Journal un lavoro di review che analizza e valuta gli approcci di prevenzione e terapia più diffusi, confermando alcune teorie e smentendone altre.

 Il raffreddore, spiegano gli esperti, “è un disturbo molto debilitante: causa diminuzioni nella produttività lavorativa e può inficiare la guida”. E, inoltre, è parecchio costoso: negli Stati Uniti, per esempio, si spendono circa 25 miliardi di dollari l'anno per visite mediche, infezioni secondarie, farmaci e giornate di lavoro perse per malattia o per accudire i figli malati.
 Per questi motivi, è importante non prendere sottogamba il disturbo e combatterlo con le armi adeguate.

 La maggior parte dei raffreddori è causata da virus: solo il 5% di essi deriva da infezioni batteriche. Ciononostante, una delle terapie più diffuse è quella antibiotica, del tutto inefficace se la malattia è virale. 
 Per quanto riguarda la prevenzione, spiegano gli autori, l'accorgimento più efficace riguarda l'igiene. 
Analizzando 67 studi randomizzati e controllati (Rct), i ricercatori hanno scoperto che lavarsi le mani, così come usare guanti e disinfettanti, rappresenta un fattore cruciale per evitare di ammalarsi.
 Anche l'uso di zinco funziona, specie nei bambini: almeno 2 Rct dimostrano che i bambini che assumono 10-15 mg di solfato di zinco, in media, si ammalano e si assentano da scuola meno degli altri. 
Sui probiotici gli autori non si sbilanciano troppo: alcuni studi sembrano dimostrare che siano lievemente efficaci, sebbene nei lavori esaminati i tipi e le combinazioni fossero troppo variabili per poter trarre delle conclusioni definitive.

 Per il trattamento, gli scienziati suggeriscono l'utilizzo di antistaminici, eventualmente combinati con decongestionanti e/o antidolorifici, nei bambini al di sopra dei cinque anni e negli adulti. Farmaci come l'ibuprofene e l'acetaminofene aiutano a combattere febbre e dolore. 
Gli spray nasali possono alleviare il naso che cola, ma non hanno alcun effetto sulla congestione.
 I benefici di approcci come ginseng, omeopatia e gargarismi non sono chiari; il miele ha un lieve effetto palliativo sui sintomi della tosse; la vitamina C e gli antibiotici non sembrano apportare particolari miglioramenti. 
“Ci siamo concentrati solo sugli Rct”, concludono gli autori, “e abbiamo riscontrato che la maggior parte degli studi era inconsistente e si basava su pregiudizi più che su risultati oggettivi (per esempio la vitamina C). 
C'è bisogno di studi più sistematici e obiettivi”.

 Fonte : http://www.galileonet.it/

Per la Boldrini il più imponente apparato di sicurezza che la Casta ricordi




Laura Boldrini (l'immagine è censurata per evitare problemi con l'interessata)
Spending review, ma non per tutti
- «Ho chiesto di non avere la scorta.
Non ho paura di camminare per Roma.
- Non ho paura di andare da casa in ufficio.
- Può accadere qualsiasi cosa in qualsiasi momento ma questo vale per chiunque»:
così parlava il presidente della Camera, Laura Boldrini, al momento del suo insediamento a Montecitorio.
Quattro mesi dopo, ad accompagnarne ogni suo movimento, c’ è il più imponente apparato di sicurezza che la Casta ricordi: due auto blindate Bmw serie 5, più una terza che si occupa dei sopralluoghi
(i cosiddetti “anticipi”), per un totale di dodici uomini al giorno, 24 su 24 .
E se non bastasse, l’ abitazione della terza carica dello Stato viene sorvegliata anche da una quarta auto civetta.
Ma, si sa, prevenire è meglio che curare.
E così, secondo indiscrezioni provenienti dagli uffici della Montecitorio, la presidentessa si sarebbe fatta installare, a difesa del suo appartamento, un impianto di sicurezza inviolabile, irrobustendolo da una serie di telecamere posizionate in luoghi strategici, a cominciare dal palazzo adiacente, dove sono in corso lavori di ristrutturazione.
Le cautele non sono mai troppe.
Oltre ai “gorilla” e al carosello d’ auto, ad accompagnarla spesso
c’ è un funzionario o un dirigente dell’ Ispettorato della Camera.
Una new entry che non è passata inosservata nei palazzi del potere romano così come non è passata inosservata ai ragionieri di Montecitorio la spesa complessiva.
Il sistema di difesa personale della presidentessa Boldrini, infatti, è tra i più costosi delle ultime legislature.
A parte gli straordinari e gli stipendi, il codazzo di guardie del corpo costa (40 euro al giorno di indennità cad. )più le spese per i ristoranti (e non c’ è un tetto al conto) e per gli hotel, anche a 4 stelle.
Benefit che sono proibiti a tutti gli altri comuni poliziotti, anche a quelli impegnati in delicatissime indagini antimafia e antidroga in mezzo mondo.
Per loro possono bastare – volendo citare la pubblicità di una nota marca di rum – i peggiori bar di Caracas.

Eppure, ogni tanto, sulle riviste patinate e a corredo delle interviste impegnate, spuntano foto che ritraggono la Boldrini mentre cammina in strada, da sola, pedone tra i pedoni.
Apparentemente lontana da scorte e bolidi blindati.
Errore.
Le guardie del corpo la seguono a vista, distanziandola giusto un po’ ma prontissime a intervenire.
Una protezione invisibile a cerchio che fa tanto anti-Casta ed è un’ ottima strategia di comunicazione politica.
Come al mattino, quando va a fare colazione al bar vicino casa.

Fonte -Il Tempo


Una curiosità

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Striscia la Notizia ha scavato nel passato lavorativo della presidente della Camera, Laura Boldrini, e ha scoperto una sua collaborazione al programma Cocco - in onda su Rai Due alla fine degli anni '80 - come assistente alla produzione.
Un'esperienza professionale scomoda, secondo il programma di Antonio Ricci, poiché in quella trasmissione abbondavano "ragazze seminude divise fra le Babà e le Spogliatelle".
Per questo la Boldrini si meriterebbe il Tapiro d'oro: "Non pensa che la sua battaglia per i diritti e l'immagine della donna sia poco coerente con il suo lavoro a Cocco?" le ha chiesto - armato di barba finta e parrucca - l'inviato Valerio Staffelli nel corso delFestival del Diritto di Piacenza a cui ha partecipato recentemente la presidente della Camera.
"Stia tranquillo che non c'è nulla di incoerente" è stata la replica della Boldrini,

Lo splendido pesce mandarino


Il suo nome scientifico è Synchiropus Splendidus (nome comune: pesce mandarino), le sue dimensioni massime sono di circa 12 centimetri, proveniente prevalentemente dalle coste settentrionali dell'Australia e dalle Filippine.
L'habitat naturale in cui si trovano a proprio agio è rappresentato da fondali sabbiosi ubicati in corrispondenza della barriera corallina. Non si può restare immuni al fascino delle creature che popolano i mari, specialmente quando sfoggiano tanta bellezza.


La livrea è splendida: il colore di fondo varia dal verde ramato all'arancione vivo (tendente al rosso sulla pinna dorsale e quella caudale). 
 Tutto il corpo, pinne comprese, è decorato da punti e linee curve di un azzurro intenso. Le pinne pettorali sono azzurre.
 Si tratta di una specie i cui esemplari possono vivere solitari oppure si radunano in coppie o grossi branchi composti da circa una quarantina di esponenti e dall'assetto poco omogeneo.
 Il compito esclusivo di preservare i territori minacciati spetta ai maschi che si adoperano in tal senso attuando una serie di mosse intimidatorie (ad esempio innalzano la loro maestosa pinna dorsale) per allontanare i contendenti. 
 In caso di pericolo o per assolvere alla funzione fisiologica del riposo i pesci si riparano nel fondale sabbioso.


L’accoppiamento dei pesci mandarino avviene di notte: la coppia esce dai coralli in cui si nasconde, repentinamente nuota verso l’ alto e poi maschio e femmina emettono contemporaneamente uova e sperma.

Quartiere Coppedè, il tesoro nascosto di Roma


Pare che la maggior parte degli abitanti di Roma non ci sia mai stato. O che addirittura nemmeno sia a conoscenza della sua esistenza. Ma durante una vacanza nella capitale, tra Colosseo, Fontana di Trevi e Piazza San Pietro, sarebbe bene lasciare un piccolo spazio per il Quartiere Coppedè.
 Si tratta dell’esperimento artistico-architettonico più audace mai intrapreso a Roma, se non nell’Italia intera: qua si fondono liberty, neogotico, kitsch, barocco e modernismo. E lo fanno alla perfezione.

 In realtà, la definizione di quartiere, per questo complesso di edifici attorno al nucleo di pazza Mincio, tra via Tagliamento e piazza Buenos Aires, è eccessivo. Ed in effetti la zona detta “Coppedè” fa parte del quariere Trieste. 
Deve il nome a Luigi Coppedè, architetto, scultore e decoratore che, mescolando diversi stili, ha dato vita ad un angolo di Roma senza tempo.
 L’intero quartiere si può considerare una pietra miliare dell’eclettismo: unisce lo stile tetro del gotico a quello classico di ispirazione greca, così come cancellate e torrette dal gusto medievale a stucchi barocchi e decorazioni liberty. Inutile dare definizioni: passeggiando per le strade del quartiere Coppedè sembra di essere immersi in una bolla: complice il silenzio, così diverso dal caos delle vie circostanti, ma anche l’atmosfera, da film.  
In tutto, il quartiere Coppedè è composto da diciotto palazzi e altri ventisette tra palazzine ed altri edifici. Il modo più suggestivo per arrivarci è attraversare il grande arco che congiunge i due Palazzi degli Ambasciatori all’angolo tra via Arno e via Tagliamento: la particolarità è che sotto la volta interna dell’arco, decorato con elementi architettonici asimmetrici, si trova un grande lampadario in ferro battuto.
 Una volta superato l’arco che congiunge i palazzi degli Ambasciatori, ecco che si apre piazza Mincio, cuore del quartiere.


Al centro c’è la Fontana delle Rane, con la vasca principale poco più alta del livello stradale: forse anche per questo i Beatles secondo la leggenda ci fecero il bagno dopo una serata passata al Piper, poco lontano, nel 1965. 
Decorata con numerose rane, da ognuna di esse zampilla fuori acqua.


Non solo fontane dedicate alle rane. Anche gli edifici del quartiere Coppedè hanno nomi singolari. 
Ci sono i cosiddetti “Villini delle Fate”, dalle raffinatissime facciate esterne, dorate e con numerose figure di donne dipinte sopra.
 In queste palazzine dove si alternano travertino, terracotta, vetro, ferro battuto e legno viene esaltata Firenze, con la scritta “Fiorenza sei bella”: non a caso, poco lontano si possono riconoscere le figure di Dante e Petrarca. 
C’è anche il Palazzo del Ragno: prende il nome da un gigantesco aracnide, decorazione sopra al portone d’ingresso principale. Da notare al terzo livello il balconcino con loggia: sopra c’ è un dipinto color ocra e nero di un cavaliere tra due grifoni, sormontato dalla scritta “Labor”. Il villino al civico 26 di via Brenta, poi, è oggi sede del liceo scientifico “Amedeo Avogadro”: davvero bello, al primo piano, il mosaico con un gallo, una coppa e tre dadi con i numeri uno, tre e cinque.


Elencare tutti i dettagli e le decorazioni del quartiere sarebbe impossibile. 
Bisogna armarsi di pazienza e magari di binocolo e, con calma, scoprire ogni angolo del Coppedè. 
L’atmosfera, come detto, è suggestiva. Non a caso queste strade sono state utilizzate per le riprese di diversi lungometraggi dall’atmosfera noir, se non peggio. È il caso de “La ragazza che sapeva troppo” di Mario Bava, ma soprattutto di due film horror di Dario Argento come “L’uccello dalle piume di cristallo” e Inferno. In queste strade, poi, sono stati girati film come “Il presagio” e “Il profumo della signora in nero”.

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