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sabato 1 febbraio 2014



Video strepitoso da non perdere



Si consiglia la visione a schermo intero

La pietra dello scandalo


Nell’antica Roma, i debitori e i commercianti falliti venivano esposti a una pubblica umiliazione, labonorum cessio culo nudo super lapidem(cessione dei beni, a natiche denudate, sopra una pietra): in quelle condizioni, il malcapitato doveva gridare “cedo bona”, ossia “cedo i miei averi”. Da qui l’espressione “essere la pietra dello scandalo”, che significa essere oggetto di clamore per azioni riprovevoli.

A Roma, la “pietra dello scandalo” era un macigno vicino al Campidoglio. Ma ve ne sono in tutta Italia, anche di periodi posteriori. A Firenze ce n’è una nella loggia del Mercato Nuovo: è un tondo che rappresenta la ruota del Carroccio, simbolo della Repubblica Fiorentina. Vi si compiva l’“acculata”: il fondoschiena di debitori e disonesti vi veniva sbattuto violentemente, a braghe calate, fra gli sberleffi dei presenti. A Modena, la pietra “ringadora” (“dell’arringa”, perché anche usata come palco dagli oratori) in Piazza Grande, veniva anche unta di trementina.

Matrimonio



Il marito
"Cara se imparassi a cucinare una buona volta,
potremmo licenziare la cuoca e risparmiare qualcosa...
non credi?"
E la moglie:
"Eh gia'!  se tu imparassi a far l'amore potremmo licenziare l'autista, non credi?"

L'orso dagli occhiali


Il Tremarctos ornatus, conosciuto come Orso dagli occhiali o Orso andino, rappresenta la specie più piccola in dimensioni della famiglia degli Ursidi: in altezza l’animale non supera infatti i 180 cm ed il peso è massimo che raggiunge è di 140 kg.
 Il mantello, particolarmente ispido e ruvido, ha una colorazione bruna che prende tonalità molto chiare nella regione degli occhi suggerendo l’immagine di un paio di occhiali. 
Anche la regione del petto assume dei toni anche biancastri, tuttavia l’aspetto del pelo cambia da individuo ad individuo. 

Habitat:

 L’Orso dagli occhiali vive esclusivamente nelle regioni andine ad altitudini piuttosto alte e solo raramente si spinge più in basso dei 3.000 metri d’altezza. La specie è presente soprattutto nella regione occidentale del Venezuela, in Perù, nell’Ecuador, in Colombia e nella zona ovest della Bolivia.


Vita sociale e comportamento: 

La limitatezza dell’area in cui è diffuso e la difficoltà che si ha nell’incontrarlo, rende l’Orso andino una specie per molti aspetti sconosciuta.
 Quel poco che si sa per certo lo si è appreso principalmente dalla sua vita in cattività che, si sa, non è un perfetto esempio di quella che sarebbe la vita in natura.
 Sicuramente l’animale, nonostante la piccola mole, è molto forte ed agile ed è capace di arrampicarsi per diversi metri sugli alberi per cercare foglie e frutti di cui cibarsi anche se non disdegna radici o addirittura cervi e vigogne.
 Sembrerebbe che esso costruisca giacigli sull’alto degli arbusti servendosi di piccoli rami intrecciati sapientemente.


Corteggiamento e riproduzione:

 Anche in questo caso si sa ben poco circa il comportamento in natura della specie; in cattività, precisamente presso un giardino zoologico della città argentina di Buenos Aires, si è appreso che l’Orso dagli occhiali ha una gestazione che dura circa otto mesi ed il parto avviene tra giugno e settembre. In alcune occasioni la femmina ha dato alla luce anche tre cuccioli.

Scoperti neuroni magnetici nel cuore

Per gli antichi Egizi, la sede del pensiero attrattivo non era nella testa, ma nel cuore, loro lo sapevano già, gli antichi avevano già molte conoscenze che noi ancora ignoriamo.
I cinesi ci erano arrivati millenni prima degli egiziani.
Pensavano che tutto il corpo possiede neuroni, non solo la mente ed il cuore.
Un proverbio cinese dice: "E' il corpo che pensa e la mente che lavora".
Da quando l’uomo ha iniziato ad indagare sulla natura con il Metodo Scientifico,( il  riferimento è agli studi di anatomia umana effettuati da Leonardo da Vinci sui cadaveri,) abbiamo iniziato ad avere  molte più certezze su quanto ci hanno tramandato i popoli antichi acquisendole come  verità,  e non come mere superstizioni dovute all’ignoranza.


Negli Stati Uniti, e più precisamente in California, presso l’HearthMath Institute, si è scoperto che il cuore emette un campo elettromagnetico molto più potente di quello del cervello, e sorprendentemente,  il campo elettromagnetico del cuore, influenza quello del cervello.
Inoltre  non è il cervello che dice al cuore cosa fare, ma esattamente il contrario.
Si è trovato  un vero e proprio sistema nervoso all’interno del cuore, Questa novità scientifica risale al 1991, quando dopo lunghe ricerche, uno dei primi pionieri della Neurocardiologia, una nuova disciplina che ha fornito importantissime informazioni sul sistema nervoso nel cuore e su come il cervello e il cuore comunichino tra loro tramite il sistema nervoso.
Il Dr. J. Andrew Armour, ha introdotto il concetto di un “cervello del cuore”. I neuroni quindi esistenti nel cuore, lo abilitano ad agire indipendentemente dal cervello, per imparare, ricordare, scegliere e persino avere sensazioni.
Il libro recente “Neurocardiologia” del Dr. Armour e del Dr. Jeffrey Ardell, fornisce una panoramica della funzione del sistema nervoso intrinseco del cuore e del ruolo dei neuroni autonomi centrali e periferici nella regolazione della funzione cardiaca.
Il sistema nervoso del cuore contiene circa 40.000 neuroni, detti neuriti sensori, che rilevano gli ormoni circolanti, le sostanze neurochimiche, la frequenza cardiaca e la pressione, che invece il cervello non ha.
L’informazione ormonale, chimica, della frequenza e della pressione viene tradotta in impulsi neurologici dal sistema nervoso del cuore e da esso inviata  al cervello .
E’ tramite questi percorsi nervosi che i segnali di dolore e altre sensazioni vengono inviate al cervello. Questi segnali arrivano anche ai maggiori centri cerebrali, dove possono influenzare la percezione, le decisioni e altri processi cognitivi.

Il cuore insomma, comunica con il cervello in un modo che influenza significativamente come noi percepiamo e reagiamo al mondo. Il cuore sembra mandare chiari messaggi al cervello ai quali non solo esso risponde, ma obbedisce.
Tutto questo ci suggerisce di riconsiderare con attenzione e rispetto gli enunciati di antiche civiltà: magari potrebbero fornirci preziose indicazioni per il nostro benessere e che la scienza solo in seguito, non appena ne avrà i mezzi, potrà confermare.

La stadera , regina dei mercati ormai in disuso


La stadera è una bilancia di origine romana basata sul principio delle leve. È costituita da una leva a bracci diseguali e da un fulcro che, in genere, si presenta fisso.
Sul braccio più lungo, che può recare una o più scale (in genere 2), scorre un peso detto romano; su quello più corto può esservi o un piatto o un gancio recanti l'oggetto o la merce da pesare. Facendo scorrere il romano lungo la scala si raggiunge una posizione di equilibrio nella quale il braccio graduato si porta in posizione orizzontale. Dalla posizione del romano sulla scala si legge dunque il peso cercato.
Per misurazioni di limitata entità (max 15-20 kg) il fulcro viene impugnato direttamente dalla persona che effettua la pesata.

Si vuole che la stadera sia stata inventata dai Campani (nome col quale però si indicava l'antica città di Capua, l'odierna Santa Maria Capua Vetere e poi tutta la regione), secondo quanto scritto da Sant'Isidoro:
Campana a regione Italiae nomen accepit ubi primum eius usus repetus est. Haec duas lancias non habet, sed virga signata libris, et uncis, et vario pondere mensurata "

Tratto da Wikipedia

Luoghi infestati dai fantasmi Leggende metropolitane o altro?



Vecchie di anni e di secoli le leggende calabresi sono state oggetto di studio per molti ricercatori.
Addirittura la trasmissione Misteri condotta da Lorenzo Foschini più volte si è interessata dell’enigma che avvolge il ponte di Siano, il viadotto che collega il centro di Catanzaro con il borgo periferico. La storia inizia nel lontano 1936, quando Giuseppe Veraldi viene trovato ai piedi del viadotto. Si pensa immediatamente al suicidio. Ma dopo tre anni avviene qualcosa di inspiegabile.
Maria Talarico, un ragazza di diciassette anni, viene posseduta dallo spirito di Pepè.
Parla con la voce del defunto e descrive fatti e avvenimenti che solo il ragazzo può conoscere.
Come le circostanze della sua morte.
Non si è suicidato, ma è stato ubriacato, picchiato e poi trasportato sotto il ponte da quattro uomini di cui fa nome e cognome.
Le autorità giudiziarie non possono intervenire, perché le affermazioni non possono costituire prove dell’omicidio.
Si può parlare di soprannaturale? Secondo la Società Italiana di Metapsichica sì.
Molti studiosi hanno effettuato ricerche approfondite, hanno analizzato e studiato la ragazza.
La conclusione è sempre la stessa: “possessione spontanea da parte di entità disincarnata”.
A suffragare questa tesi interviene anche la teoria “dell’impregnazione psichica”, secondo cui al momento della morte, specialmente se violenta e improvvisa, l’individuo tende a emettere onde cerebrali molto intense.
Questi flussi finiscono per impregnare il luogo della morte, dando così vita a fenomeni paranormali.
Non è inoltre da escludere l’ipotesi che la Talarico, avendo assistito al ritrovamento del cadavere, abbia adattato una parte delle propria personalità con quella del defunto.
Nel 1939, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si diffonde scetticismo.
A Siano tutti credono alla storia soprannaturale. Il viadotto soprannominato “ponte maledetto” è meta di molti aspiranti suicidi che, spinti da motivi sconosciuti, scelgono di gettarsi nel vuoto. Ancora oggi il ponte è teatro di avvenimenti paranormali.
Sembra che sulla strada si aggirino spettri che in qualche occasione si rendono visibili, almeno a detta dei passanti.
Per esorcizzare il posto il Comune ha posto l’effigie della Madonna di Porto, che invita alla preghiera per tutte quelle anime che non riescono a riposare in pace.
Tuttavia si sono verificati altri casi di possessione che hanno coinvolto sensitivi.
Ma il limite tra realtà e finzione è sempre molto sottile.
Le conclusioni sono sempre troppo complesse.

Altro luogo infestato è l’ex palazzo De Nobili, oggi sede del Municipio di Catanzaro.
La storia vuole che Adele De Nobili abiti ancora l’edificio, perché addolorata della morte del proprio amato, ucciso dai fratelli.
Molti testimoni giurano di aver visto uno spettro vestito da suora nel palazzo.
Addirittura qualcuno ha più volte affermato di venir disturbato da avvenimenti paranormali: spostamenti di oggetti, aperture e chiusure di porte, rumore di catene ecc.
Secondo la leggenda lo spirito di Adele, ancora carico di rancore, visita il palazzo paterno con la speranza di incontrare il proprio amato.
L’anima vaga quindi nella dannazione eterna.

L’altra città calabrese scelta come dimora dai fantasmi è Crotone. Lo dimostrano il Castello Aragonese e il Liceo Classico, dove si dice che lo spirito di uno studente morto suicida vaghi tra le aule. Ovviamente sono solo dicerie.
Anche se c’è qualcuno che afferma di aver sentito lamenti nei corridoi della scuola.
Il castello Carlo V è oggetto di altri racconti.
La gente del posto narra la storia di un barone decaduto per aver tradito la propria famiglia. Sembra che per vendicarsi i familiari gli abbiano tagliato la mano e cavato gli occhi.
Nelle notti di luna piena è possibile sentire lamenti strazianti e vedere una sagoma scura che si aggira vicino le mura del castello.

Un disco celtico riutilizzato dai Vichinghi


Un disco celtico dorato dell’VIII o IX secolo è stato scoperto per caso nei depositi del British Museum, dove giaceva da oltre 100 anni. 
 Il conservatore del museo Barry Ager stava studiando attentamente una serie di reperti, quando il suo occhio è caduto un qualcosa di metallico che spuntava da un blocco di materiale organico. Incuriosito, fece scansionare ai raggi X il blocco. 
“In quel momento, non sapevo veramente cosa ci fosse dentro”, dice. “È stata una scoperta incredibile”. 
 Ager pensa che il manufatto venne probabilmente creato in Irlanda o Scozia e fu poi saccheggiato dai Vichinghi da un santuario o un reliquiario. 
I Vichinghi lo convertirono in una spilla aggiungendo buchi per i rivetti e un perno.

La spilla, quasi 6 cm di diametro, finì sepolta nella tomba di una donna vichinga di alto rango. Probabilmente era avvolta in un tessuto e posta all’interno di un contenitore di legno.
 Sulla superficie metallica rimane ancora un elaborato design tra cui tre creature simili a delfini e motivi intrecciati. “I motivi, il quadrilobo del tondo centrale e la forma delle teste dei ‘delfini’ hanno dei chiari paralleli nella metallurgia e nei manoscritti celti dell’VIII e inizio IX secolo, come la spilla di Tara e il libro di MacRegol”. 
“Anche i Vichinghi erano fabbri molto abili, quindi sono sicuro questo oggetto li avesse affascinati”, dice Ager. 


L’archeologo britannico Alfred Heneage Cocks aveva scavato il blocco nel sito funebre vichingo di Lilleberge, in Norvegia, intorno al 1880, e il tutto fu poi acquisito dal British Museum nel 1891.

Nel sito erano anche state scavate due spille, collane di perline e una placca in osso di balena, forse usata come vassoio per pietanze durante i banchetti. 
“Era consuetudine seppellire la persona con i loro possessi personali”, spiega Ager. “Erano pagani, e questo faceva parte di una normale sepoltura vichinga”.

 Il fatto storico
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