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giovedì 14 novembre 2013

Il passaggio del Mar Rosso

 

Un punto fondamentale che oggi continua ad alimentare lo scetticismo degli studiosi e degli esegeti biblici circa la veridicità della narrazione del Pentateuco è il passaggio degli ebrei attraverso il Mar Rosso.
È questo l'avvenimento centrale e più importante dell'epopea dell'Esodo.
Senza di esso Mosé non avrebbe potuto trascinare il popolo ebraico nel deserto ed imporgli la sua legge; la religione ebraica non sarebbe mai sorta e neppure il cristianesimo.
La storia umana avrebbe avuto un corso totalmente diverso. Il passaggio del Mar Rosso, quindi, si pone in prospettiva come uno degli avvenimenti più importanti e decisivi della Storia.
Ironia della sorte, sono proprio gli storici i primi a negargli ogni realtà storica.
Il passaggio attraverso il Mar Rosso, come viene descritto dalla Bibbia, è sempre apparso agli studiosi talmente al di fuori della realtà, che lo hanno sempre rigettato a priori, ricercando soluzioni alternative.
Neppure una di queste proposte alternative, però, appare più credibile dello stesso racconto biblico, per cui alla fine è prevalsa l'opinione che non ci sia mai stato un passaggio del Mar Rosso se non a livello simbolico.
A nessuno è mai passato per la mente che l'unica spiegazione realistica di quell'episodio è proprio fornita dalla Bibbia stessa. Un'analisi accurata del racconto esclude che esso sia stato inventato e porta a concludere che quel passaggio deve essere avvenuto realmente ed esattamente dove, quando e come descritto in Esodo. La spiegazione arriva soltanto a patto che non si rinunci ad una sola delle indicazioni fornite dalla Bibbia, ai protagonisti, sfuggiva la spiegazione razionale di ciò che accadeva e perciò ricorrevano all'intervento sovrannaturale.
I fatti essenziali di tale racconto sono:
- Gli Ebrei sono transitati "in mezzo" ad un vero mare, avendo acqua sia sulla loro destra che sulla loro sinistra (Es.14,22) 
- Sono transitati attraverso il mare, in una notte senza luna, quindi durante un novilunio (Es. 14,20; Deu. 16, 1).
- Prima e durante il passaggio si era levato un vento teso (Es. 14,2 1). - Le truppe egiziane si sono gettate all'inseguimento alle prime luci dell'alba lungo la stessa via percorsa dagli ebrei, ma sono state travolte dalle acque prima li riuscire a passare (Es. 14,23; 14,27 ecc.).
- I corpi dei soldati annegati sono stati trascinati dalla corrente sulla spiaggia del mare (Es. 14,20).
LE RAGIONI DI QUESTA SCELTA
"Perché Mosé condusse il popolo ebraico proprio attraverso il Mar Rosso?"
Non era certo la via normale per la Palestina , né la più breve e tanto meno la più comoda (Es.13,17-18).
Doveva esserci un motivo ben preciso ed estremamente importante. Quale?
L' effetto finale del passaggio del Mar Rosso fu che le truppe egiziane lanciate al loro inseguimento furono sterminate.
Il motivo per cui Mosé condusse gli Ebrei attraverso il Mar Rosso doveva essere proprio e soltanto questo: liberarsi delle truppe egiziane.
Gli Ebrei, dopo lunghe e laboriose trattative con il faraone, inframmezzate da eventi calamitosi straordinari, avevano ottenuto l'autorizzazione a recarsi nel deserto, "a tre giorni di cammino" (la "giornata di cammino" era una unità di misura delle distanze corrispondente a circa 35-40 km; perciò la meta degli ebrei si trovava a più di un centinaio di km da Ramsess), per compiere sacrifici al proprio Dio (Es.8,27), non certo di andarsene dall'Egitto. Da mesi, tuttavia, si stavano preparando alla fuga barattando i propri beni immobili con preziosi (Es.3,24; 11,2; 12,35); la voce che essi avrebbero cercato di fuggire dall'Egitto doveva essere di dominio pubblico. Nell'autorizzarli a recarsi nel deserto, gli egiziani dovettero prendere delle precauzioni e, infatti, distaccarono un contingente di 600 carri da guerra (Es. 14,7), con l'incarico di seguirli per impedire ogni tentativo di fuga.
In Es. 14,8 è detto esplicitamente che 'faraone si pose all'inseguimento degli israeliti mentre questi uscivano a mano alzata (da Ramsess)", cioè fin dal primo giorno dell'Esodo.
E i versetti 14,20 e 14,24-26 dimostrano che durante il viaggio gli egiziani si accampavano regolarmente nei pressi del campo ebraico. Gli ebrei avendo con sé vecchi, donne e bambini, greggi e masserizie erano lenti e impacciati; erano disarmati e senza esperienza di guerra.
Le truppe carrate egiziane erano infinitamente più veloci e potenti; non esisteva la possibilità di fuga se non venivano tolte di mezzo in qualche modo.
Quando, gli ebrei si resero conto di essere seguiti, Mosé per indurli a proseguire dovette assicurare loro che sarebbe stato il Signore stesso a sterminare i soldati egiziani (Es. 14,10-14).
Lo scopo di questo passaggio  non poteva essere altro che questo: liberarsi definitivamente dei sorveglianti.
UN FENOMENO MIRACOLOSO
Mosé fu l'ideatore ed esecutore materiale del piano, ma non certo che avesse realmente il potere di dividere le acque del mare. Doveva essere a conoscenza di un qualche fenomeno che si verificava allora nel Mar Rosso e che oggi non avviene più. Secondo la maggioranza degli storici ed esegeti gli avvenimenti in questione sarebbero accaduti nel 13° secolo a.C., poco più di 3000 anni fa.
Cosa c'era allora di diverso rispetto ad oggi? Il livello dei mari su tutta la Terra , era dai quattro ai cinque metri più basso a causa di residui di ghiacci pleistocenici persistenti sulla terraferma (K.O.Emery,“La piattaforma continentale, Le Scienze, n.16, 1969, pagg. 48-61).
Cosa cambia questo? 



La Baia di Suez, all'estremità settentrionale del Mar Rosso, è come sbarrata da una linea di secche che dalla punta Ras el-Adabiya, sul lato occidentale, si pretende verso est-nord-est fino alla sponda opposta.
E un cordone pressoché continuo la cui quota non supera i sei-sette metri.
All'epoca di Mosé quella stessa linea di secche, che è "ancorata" ad una serie di roccioni affioranti, si doveva trovare ad un paio di metri sotto 1 pelo dell'acqua, o anche meno.
E' del tutto verosimile che, in occasione delle massime escursioni di marea, affiorasse, consentendo il passaggio da una sponda all'altra della baia anche con mezzi pesanti, essendo la sabbia del Mar Rosso molto compatta.
Il fenomeno si ripeteva soltanto in occasione delle maree sigiziali, quando luna e sole sono in congiunzione allo zenit, cioè nel novilunio più prossimo a solstizio d'estate; sempre di notte.
Perciò nessuno,  prima di Mosé si era curato di stabilirne le cause, la durata e la periodicità. Mosé doveva esserne venuto a conoscenza durante prima,  fuga nel Sinai (Es.2,15); la cosa doveva averlo impressionato tanto da indurlo a tornare per studiare a fondo il fenomeno e capirne la meccanica, legata alle fasi lunari e ai movimenti del sole.
Per mettere a punto il suo piano, Mosé doveva necessariamente conoscere il giorno e l'ora in cui le secche sarebbero affiorate e l'ora in cui sarebbero scomparse.
Alcuni elementi "collaterali" quali  la notte buia senza luna, ad esempio, per potersi muovere senza essere visti.
Questo poteva essere un  ostacolo alla loro marcia lungo le secche; ma le calde acque del Mar Rosso pullulavano di microrganismi luminescenti e la forte brezza notturna faceva frangere le onde sulle secche, eccitandoli e segnando così la strada, senza bisogno di illuminazione.
Il vento,  venne a svolgere un ruolo molto importante.



LA COLONNA DI FUOCO
Gli Ebrei erano migliaia; possedevano carri trainati da una coppia di buoi (Nm.7,3‑9), mandrie e greggi.
Guidare e coordinare i movimenti di una massa del genere costituiva un grosso problema.
Mosé lo risolse, ponendo su un carro un grande braciere di bitume ardente.
Il denso fumo  fungeva da guida durante la marcia.
Di notte la posizione del braciere era segnalata dal bagliore delle fiamme (Es. 13,2 1).
Le truppe egiziane seguivano a distanza gli ebrei, ed è naturale che si regolassero anch'esse sui movimenti del braciere.
Era un punto essenziale del piano di Mosé; dai versetti Es. 14,19-20, la notte in cui fu attraversato il Mar Rosso. 
Il giorno del novilunio, Mosé piantò il campo sulla riva di fronte alle secche di cui lui solo conosceva l'esistenza, e che in quel momento erano ben nascoste, essendo la marea al culmine.
Le truppe egiziane si accamparono su di un'altura, bene in vista del campo ebraico, ma abbastanza lontano per non potersi accorgere di quello che vi accadeva durante la notte.
Questa era una condizione essenziale per la riuscita del piano e Mosé doveva aver escogitato qualcosa per ottenere che gli egiziani non si accampassero troppo vicino.
Mosé  sistemò il braciere bene in vista, alle spalle del campo, proprio in faccia agli egiziani,  in modo che non si potesse vedere quello che vi succedeva (Es.14,19-20).
Scese la notte (Es. 14,2 l ; Dt. 16, 1), una notte buia senza luna (Es. 14,20).
Appena buio, gli Ebrei tolsero il campo, Si levò il vento (Es. 14,2 Sulla riva Mosé era in attesa spasmodica. La marea scendeva; finalmente il miracolo si compì: lentamente una sottile lingua di sabbia emerse dalle acque. Le onde sollevate dalla brezza notturna si frangevano sui bordi della lingua di sabbia, da entrambi i lati. Nella schiuma biancastra miriadi di microscopici organismi si eccitavano, producendo una debole luminescenza; sufficiente per tracciare con sicurezza il cammino nel buio pesto. 
Doveva essere circa l'una di notte, quando venne dato l'ordine della partenza: 
Impiegarono circa tre ore per passare dall'altra parte. Era un percorso di poco più di 5 chilometri 
Nel buio della notte intravedevano le acque soltanto grazie alla debole luminescenza ed al biancore dei frangenti; l'effetto ottico di due muraglie d'acqua da entrambi i lati doveva essere perfetto. Chissà con quale stupefatto terrore compirono quel tragitto!

 

UN'ABILE STRATEGIA
Nel campo egizio, intanto, dormivano.
Le sentinelle avevano la consegna  di sorvegliare i movimenti del braciere in fiamme non c'era ragione di allarmarsi quindi finché rimaneva al suo posto.
Dovevano essere circa le tre di notte quando il braciere si mise in movimento.
Venne subito dato l'allarme ma passo del tempo prima d'iniziare l'inseguimento del braciere, intanto si muoveva inspiegabilmente in mezzo al mare, verso la sponda opposta.
Mosé doveva aver contato molto sul fattore psicologico, per attirare gli egiziani nella trappola mortale.
Gli egiziani arrivati sulla punta El Adabiya,non trovarono più nessuno.
Volatilizzati, come per magia! passati attraverso il mare? Ma come poteva essere possibile? Eppure il braciere era proprio là in mezzo al golfo.
Quando giunsero sulla riva del mare era già l'alba; uno spettacolo inatteso e incredibile apparve al debole chiarore dell'aurora: una lunga striscia di sabbia univa come un ponte le due sponde e al centro di essa il braciere degli ebrei.
Si precipitarono all'inseguimento, lungo quella striscia di sabbia 
Ma  la marea stava salendo rapidamente.
Avevano già oltrepassato il centro della baia, quando gli ultimi lembi di sabbia scomparvero sotto la marea avanzante.
Fu il disastro! (Es.24,28)
Sull'altra sponda, ritto su uno scoglio, Mosé osserva va la scena. 
Il sole stava sorgendo alle sue spalle (Es. 14,27).
In cuor suo trionfava gonfio d'orgoglio. E ne aveva di che! Per la genialità e audacia della concezione, la complessità delle operazioni, la meticolosa pianificazione e l'esecuzione brillante e decisa, è un'impresa che non ha paragoni nella storia.
Alla luce dell'alba, essi avrebbero impiegato non più di mezz'ora a percorrere 15 chilometri che separavano le due sponde. Su quel tempo si giocava la riuscita dell'intero piano  e il destino del popolo ebraico. Bastava un piccolo errore di calcolo, e l'avventura poteva trasformarsi in tragedia.
Se gli egiziani fossero arrivati in riva al mare troppo presto, avrebbero fatto in tempo a raggiungere l'altra sponda.
Si fossero arrivati troppo tardi, avrebbero trovato le seccche già allagate; avrebbero fatto il giro della baia e raggiunto gli Ebrei dopo poche ore.
In entrambi i casi la rappresaglia sarebbe stata tremenda.
Per Mosé e i suoi amici sarebbe stata la fine.
Un grosso rischio! Calcolato, è vero, ma con un margine di sicurezza di soli 15 o 20 minuti.
In ogni caso fu un'impresa di un'audacia tale da mozzare il fiato Andò bene per gli ebrei: l'armata egiziana fu annientata.
I corpi dei soldati annegati finirono sparsi lungo le rive del mare per chilometri all'intorno (Es. 14,30) e gli Ebrei poterono allontanarsi nel deserto indisturbati verso il loro nuovo destino.

A cura di Flavio Barbiero – estratto dalla rivista “Hera”

Le Moire : le dee del destino

“Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali quando son nati danno da avere il bene e il male, che di uomini e dei i delitti perseguono; né mai le dee cessano dalla terribile ira prima d’aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato” 

 Esiodo 


Per Omero la Moira è una sola, mentre per Esiodo ed Igino sono tre (numero sacro): Cloto, la “filatrice” della vita; Lachesi, la “fissatrice della sorte” toccata all’uomo, ed Atropo, la “irremovibile”, fatalità della morte. 

Nella tradizione più antica, le tre Moire, che i romani chiamavano Parche, erano figlie di Zeus e di Temi (Ananke), e tessevano nelle loro mani i destini ineluttabili di ogni essere vivente, divinità comprese. 
Nessuno poteva cancellare ciò che le Moire avevano scritto, nemmeno Zeus. 
Esse aiutavano la Madre a mantenere il rispetto per l’ordine della Natura e della vita umana. Abitavano sull’Olimpo, in un palazzo di bronzo, sulle cui pareti incidevano i destini degli uomini ed il cammino degli astri. 
Da alcuni poeti erano rappresentate come vecchie e deformi, ma dall’arte figurativa venivano descritte come giovani dall’aspetto severo, vestite con dei lunghi pepli bianchi trapuntati di stelle: Cloto col fuso, Lachesi con un globo su cui indicava i destini, ed Atropo con una bilancia e delle forbici con cui troncare lo stame della vita.


Le tre dee filavano la vita degli uomini, e le loro personificazioni erano: 
 Cloto, la personificazione della nascita e del passato. Ella filava lo stame, ovvero tesseva da un fuso il filo della vita di ognuno. 
 Lachesi, personificazione della vita presente e del suo svolgimento. Ella girava il fuso per torcere il filo, e decideva le sorti della vita che stava filando: lo stame bianco misto ai fili d’oro per indicare i giorni felici, e lo stame nero misto ai fili d’oro per indicare i giorni di sventura, in sostanza annodava o sfilava il filo della vita. 
 Atropo, il destino finale, personificazione della morte. Era la più vecchia, e con delle grosse forbici recideva il filo della vita, determinando il momento irrevocabile della morte.

Nella Mitologia Greca le Moire presiedono ai tre momenti culminanti della vita umana: nascita, matrimonio e morte.
 La ineluttabilità cieca delle Moire è come una forza che frena il potere degli dei, espressione della fissità delle leggi fisiche e morali, come appare in Eschilo, soprattutto nell’Orestea, ed anche in Sofocle, ma successivamente i Greci concepirono il destino come placabile per mezzo dell’espiazione, specialmente con il diffondersi delle religioni misteriche e con l’orfismo.
 Le Moire ebbero culto dovunque, esse assomigliano alle Chere ma senza divenire, come queste, demoni violenti e sanguinari. 
Esse non ebbero mai un’esatta limitazione: ora appaiono sottoposte a Zeus, ora sono una forza incontrollabile, tenebrosa, che sovrasta tutti gli dei, non eccettuato Zeus. Ma Zeus, che pesa sulla bilancia le vite degli uomini ed informa le Moire delle sue decisioni, può, si dice, cambiar parere ed intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lachesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo. 

Il numero 7


Il sette è un numero da sempre magico, misterioso, intriso di sacralità e con una ricchissima simbologia che lo connota sin dall'antichità.
 Molte delle proprietà attribuite al sette risalgono addirittura all'astrologia babilonese che riconosceva sette pianeti e divideva il mese lunare in cicli di sette giorni. 
A ciò sono riconducibili molte della sacralità del sette, che rappresentavano in quel tempo il cosmo e la sua perfezione.
 Tutte le civiltà antiche hanno sviluppato un simbolismo numerico e in esse è infatti ricorrente l'interpretazione del sette come numero sacro, unico e immobile.
 Il solo dei primi dieci numeri che non ne genera nessuno ed è generato solo dall'unità, il risultato della somma del tre (lo spirito, il maschile) e del quattro (la materia, il femminile). 

Che il sette possa essere considerato l'emblema della pienezza spirituale e cosmica, il numero sacro per eccellenza, è confermato dalla forte carica simbolica conferitagli in molte religioni.
 Nella Bibbia Dio impiegò sette giorni per realizzare la sua creazione e sette sono i giorni della settimana che lo ricordano all’uomo. 
 Sette è la somma delle invocazioni contenute nel Padre Nostro ottenuta con la somma tra tre, numero perfetto, delle invocazioni per il divino: 
Sia Santificato il tuo Nome,
 Venga il tuo Regno, 
Sia fatta la Tua Volontà 
e quattro come i lati della quadratura del cerchio, delle invocazioni per gli uomini: 
dacci oggi il nostro pane quotidiano; 
rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione,
 liberaci dal male.


Inoltre nel libro dell’Apocalisse si fa menzione dei sette grandi Arcangeli e che sette furono le Chiese del tempo: Efeso Smirne Sarsi Tiati Pergamo Filadelfia Maodicea 
 L'Antico Testamento utilizza sette nomi per indicare la terra e altrettanti per il cielo; secondo il libro dell'Apocalisse, la fine dei mondo sarà annunciata dalla rottura dei sette Sigilli, seguita dal suono di sette trombe per bocca dei sette Angeli, quindi dai sette Portenti e infine dal versamento delle sette Coppe dell'ira di Dio.


Nel Nuovo Testamento, sette sono i sacramenti, i doni dello Spirito Santo, i peccati capitali (gola, lussuria, avarizia, superbia, accidia, invidia e ira) e le virtù, quattro cardinali (forza, sapienza, giustizia e temperanza) e tre teologali (fede, speranza e carità).


Nella tradizione ebraica, il Candelabro a sette luci, la Menorah, fu fatto costruire da Mosè su ordine di Geova e le sette luci ardevano per rappresentare simbolicamente la fede eternamente accesa. 

 Nella Baghavad Gita, libro sacro dell’Induismo, sette furono gli illuminati Veda dell’India. 

 Nella tradizione Islamica, dove il sette è più volte ripetuto nel Corano, il Mondo è retto da sette colonne poggianti sulle spalle di un gigante. 

 Nella Kabala, l’uomo viene rappresentato in una triplice essenza ma la rappresentazione della sua evoluzione è settemplice: vegetativa (nascita e sviluppo del corpo) nutritiva (mantenimento) sensitiva (contatti sensoriali con i fenomeni del mondo esterno al suo corpo) intellettiva (elaborazione e sintesi) sociale (rapporti con i suoi simili) naturale (rapporti con il suo contesto) divina (ricerca dell’Armonia con la realtà di Dio). 
 Sette furono le piaghe nell’Antico Egitto. 
 Nella cultura ellenica l’armonia tra pensiero ed azione viene indicata nei sette sapienti: 
Cleubulo con in mano la bilancia, che significa "sii giusto";
 Pittaco che ha in mano un ramo d’ulivo, che significa "taci e se parli fallo per portare la pace e non l’odio";
 Solone con in mano un teschio, che significa "pensa alla tua fine - dove andiamo"; 
Pariandro, in posa calma e rassegnata, significa "frena l’ira"; 
Talete colui che non sa, significa "sapienza infinita"; 
Chilone con in mano uno specchio, che significa "conosci e controlla te stesso"; 
Biante, che solleva una gabbia contenente un uccello, che significa "la libertà produce"; 
 e con le sette meraviglie del mondo: 
Il colosso di Rodi la forza
 I giardini pensili di Babilonia scienza e attenzione 
Il mausoleo di Alicarnasso agire per la grande sepoltura 
Il tempio di Diana in Efeso provvidenza e raccoglimento 
Il faro di Alessandria luce e guida 
Il giove olimpico di Fidia Dio 
Le piramidi d’Egitto rivelazione e sapienza.


Nel Medioevo le Arti e le Scienze Muratorie venivano divise in due gruppi:
 un trivio, detto letterario, di tre "discipline propedeutiche" Grammatica Logica Retorica e un quadrivio, detto scientifico, di quattro "scienze fondamentali" Aritmetica Geometria Musica Astronomia
 Queste sette Discipline e Scienze Muratorie, venivano sintetizzate in sette parole:
 Lingua (Grammatica),
 Ratio (Logica), 
Tropus (Retorica),
 Numerus (Aritmetica),
 Angulus (Geometria), 
Tonus (Musica), 
Astra (Astronomia).

 Sette sono le lettere dell’alchemico


V I T R I O L: 
Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultam Lapidem, Visita l’interno della terra (il proprio intimo, la Psiche) e rettificando scoprirai la pietra nascosta (e indagando troverai la tua intima essenza o Vera Volontà). 

 Sette sono i colori dell'arcobaleno, le note musicali e i chakra. 
Sette i centri energetici dell'organismo umano e le stelle della costellazione dell'Orsa Maggiore o i principali fenomeni di meteorologia. 

 Fonte: http://misteroinlinea.blogspot.it/

Ornare la casa e la tavola con poca spesa

ANGIOLETTI NATALIZI DI PASTA



Per fare il corpo dell'angioletto vi serviranno dei rigatoni o paccheri. Prendetene uno e con della pasta lumachina (o pipa) fate le braccia. Per fare la testa usate della plastilina mentre per fare le ali vi servirà della pasta farfalla.
La pasta andrà incollata con la colla vinilica. Lasciate asciugare. Spruzzate uno spray dorato o argentato (ne esistono in commercio anche tipo glitter)
Con un filo e della colla potete far sì che queste decorazioni possano essere appese all'albero o dovunque voi vogliate.
Potete usarli come segnaposto incollando al centro un cartoncino colorato con il nome del commensale
Posati su un vassoio e alternati a rametti di vischio o abete con qualche stella di natale e candele è un bel centro tavola.

STELLE DI NATALE DI PASTA

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Con la pasta si possono realizzare anche delle stelle di Natale da appendere o posare sulla tavola sparpagliate.
Le stelle di Natale possono essere realizzare con le penne (rigate o lisce).
Prendetene a due a due e incollatele per formare le varie punte della stella.
Al centro della stellina di pasta incollate della pasta a vostro piacimento oppure un fiocchetto

UN ALTRA IDEA PER IL CENTRO TAVOLA



Appoggiata su un vassoio o una sagoma di cartone incollate ed eccolo realizzato al centro potete usare la fantasie va bene tutto rametti di pino palline ecc
In questo caso incastrate ben diritti i maccheroni o i maltagliati a egual distanza li potrete usare come supporto per le candele lunghe e sottili.
I lavoretti sono veloci e poco dispendiosi incominciando da ora a mettere da parte un poco di pasta di vari formati e con colla e spray e se volete bustine di glitter (da sparpagliare sopra quando non sono ancora asciutti)avrete dei risultati bellissimi.
Buona fantasia
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