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martedì 28 gennaio 2020

I due bellissimi templi buddisti sospesi tra le nuvole, alle porte del cielo


C’è un luogo disperso nel sud-ovest della Cina che solo a guardarlo fa venire i brividi. Non dalla paura ma dall’emozione. 
Un luogo magico dall’aura misteriosa, sospeso tra il verde della foresta e il bianco delle nuvole. 
È il Fanjingshan, o riserva naturale del monte Fanjing, nella provicina Guizhou, il più alto della catena montuosa Wuling, con i suoi 2.572 metri di altezza, dove vivono tutt’oggi moltissime specie di piante, alcune addirittura risalenti all’Era Terziaria, e animali, fra cui esemplari considerati a rischio. 

 Non a caso nel 2018 è diventato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, che l’ha classificato riserva della biosfera, unico ecosistema di foresta primaria che si è conservato quasi intatto a tale latitudine. 
Ma non è solo la bellezza naturale a contraddistinguerlo, perché il monte Fanjing è anche un luogo sacro.
 I cinesi lo chiamano il bodhimaṇḍa (o “luogo di illuminazione“) del Maitreya Buddha, e su di esso sorgono numerosi templi antichi per pellegrini devoti, alcuni andati distrutti, altri ancora intatti. I primi costruiti in loco risalgono alla dinastia Tang, dal VII al X secolo.


L’area più particolare di tutto il monte è la Nuova Cima dorata, “Red Clouds Golden Summit“, a 2336 metri sopra al livello del mare, che ospita sulla sommità il Tempio di Buddha e il Tempio Maitreya, collegati da un ponte di pietra. 
I due templi si raggiungono attraverso una lunga scalinata composta da quasi 9000 scalini, un viaggio durissimo ma anche incredibile, ricompensato da un panorama mozzafiato, sospeso tra le nuvole.

 Si può proprio dire che siano due templi alle porte del cielo.
 Da vedere almeno una volta nella vita! 

 Fonte: greenme.it

mercoledì 22 gennaio 2020

Il Salon Kitty, il bordello di Berlino delle spie naziste che ispirò Tinto Brass


Quella del Salon Kitty sembra la storia di un film spy story. 
Non manca un solo elemento: c’è il sesso, ci sono belle e giovani ragazze, uomini di potere, una guerra mondiale in corso, microfoni nascosti e confessioni registrate, estorte non con la forza, bensì con l’aiuto di Eros e di Dioniso 
Ma quella del Salon Kitty è una storia realmente accaduta. 


Situato a Giesebrechtstraße 11, nel quartiere berlinese di Charlottenburg, il Salon Kitty era un bordello di lusso, istituito nel 1939 presso la Pensione Schmidt di Kitty Schmidt, meglio nota come Madame Katharina Zammit, almeno fino a quando la “gestione” non passò segretamente al SD – Sicherheitsdienst, i servizi segreti delle SS, la nota organizzazione paramilitare del partito nazista tedesco. 
Da quel momento in poi la casa di tolleranza divenne un covo di prostitute-spie addestrate appositamente per mettere sotto torchio i clienti e carpire informazioni e affermazioni antinaziste. 

Il Salon Kitty ispirò Tinto Brass per la realizzazione del film omonimo del 1975, basato proprio sulla storia del bordello berlinese.


Fin dall’ascesa al potere del partito nazista in Germania, la signora Schmidt aveva messo al sicuro i propri risparmi nelle banche inglesi.
 Come tanti compatrioti, Madame Kitty aveva infatti deciso di lasciare il Paese per lidi più sicuri e il 28 giugno 1939 cercò di espatriare.
 Ormai vicina al Belgio, le sue speranze svanirono: Kitty Schmidt fu fermata dagli agenti del SD e portata al cospetto degli alti ufficiali della Gestapo, la polizia segreta della Germania nazista.
 Lì avvenne l’incontro con i due “ideatori” del progetto del bordello-spia: Reinhard Heydrich, Obergruppenführer (Comandante di Gruppo Superiore) delle SS – secondo solo a Heinrich Himmler – e Walther Schellenberg, ufficiale delle SS e vicecomandante della Gestapo.
 I due ufficiali nazisti la misero di fronte a una scelta: lavorare per loro o essere spedita in un campo di concentramento. 
Facile intuire quale fu la scelta della signora Schmidt.


 La pensione Schmidt venne così convertita nel Salon Kitty: l’edificio fu ristrutturato e l’arredamento “arricchito” con dei microfoni nascosti nelle stanze da letto dove avrebbero operato le prostitute-spie. 
In seguito fu fatta una selezione fra tutte le prostitute arrestate nel periodo a Berlino e fra queste furono scelte 20 future spie.
 Le spie furono addestrate e indottrinate per circa 7 settimane, periodo durante il quale impararono come carpire informazioni da conversazioni innocenti oltre che a riconoscere le diverse uniformi e i relativi gradi.

 Così, con la collaborazione dell’intelligence della Gestapo, il Salon Kitty divenne a tutti gli effetti un luogo di spionaggio.


I clienti del Salon Kitty erano tutti di un certo calibro, basti pensare a nomi come Galeazzo Ciano (il genero di Benito Mussolini, nonché Ministro degli affari esteri), Josef Sepp Dietrich (generale delle Waffen SS, il braccio militare delle SS), Joseph Goebbels (il più importante gerarca nazista e Ministro della propaganda) e lo stesso Heydrich.

 Le prostitute avevano il compito di provocare i clienti con l’aiuto del sesso e dell’alcol per ottenere informazioni e/o opinioni antinaziste. 
Le ragazze stesse ignoravano la presenza di microfoni nelle stanze. Il loro compito terminava nel momento in cui stilavano un “rapporto” sul cliente appena “esaminato”.

 Le registrazioni venivano ascoltate e archiviate in uno scantinato attiguo alla pensione. 

Le prostitute si diedero un gran da fare: si stima che il numero di nastri raccolti con questo metodo fino al 1943, anno in cui l’operazione Kitty fu chiusa, si aggiri intorno ai 25.000. 

Purtroppo i nastri sono andati tutti dispersi o distrutti.

 Fonte : berlinomagazine

martedì 21 gennaio 2020

Il misterioso lingotto d'oro degli Aztechi


Ora c'è la conferma della scienza: un lingotto d'oro, trovato nel 1981 a Città del Messico, era in realtà parte del tesoro azteco trafugato e saccheggiato da Hernan Cortes e dai conquistatori spagnoli circa 500 anni fa.

 È il risultato di una serie di studi realizzati dall'INAH (Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico).

 Il lingotto d'oro, del peso di 1,93 chilogrammi, venne scoperto a una profondità di circa 4 metri durante gli scavi per la costruzione di una banca, nel cuore della capitale messicana. 
 Da dove provenisse quel lingotto è stato un mistero per quasi 40 anni. 
 Ora, grazie anche a particolari "radiografie" realizzate dall'INAH, c'è la ragionevole convinzione che l'oggetto sia stato perso durante il frettoloso ritiro degli spagnoli, nel corso di quella che è passata alla storia come "Notte Triste". 
 Parliamo della notte del 30 giugno 1520, quando gli Aztechi si decisero a cacciare gli invasori spagnoli dalla loro capitale, Tenochtitlan, dopo che questi avevano massacrato nobili e sacerdoti, per derubarli di un ricco tesoro.

Gli spagnoli allora tentarono di fuggire portando al seguito anche il tesoro azteco, incluso il lingotto d'oro in questione. Ma lo persero durante la fuga: in 500 anni, si tratta della prima testimonianza diretta di quell'evento.
 La prova che quel lingotto risalga agli Aztechi deriva dall'analisi della sua composizione: 76,2 per cento di oro, il 20,8 per cento di argento e il 3,0 per cento di rame (con piccoli scarti).
 Si tratta della "combinazione" tipica proprio degli oggetti prodotti dagli "argentieri" di Montezuma, ultimo imperatore azteco. 

 Fonte: focus.it

venerdì 17 gennaio 2020

L’attrazione dei fedeli per i “Santi Robot” di epoca medievale


Nonostante i luoghi comuni sul medioevo, che lo vedono erroneamente classificato come un’epoca buia e arretrata, i nostri antenati erano attivi in opere d’ingegno di grande ingegno tecnologico. 
Un tipo di meccanismo di particolare interesse è il robot, utilizzato non per svolgere attività lavorative ma per ispirare devozione fra i fedeli dell’epoca.

 Le prime prove documentarie dei “Santi Robot” risalgono all’inizio del XIII secolo, e parlano di automi in grado di muoversi in modo indipendente e gesticolare utilizzando dei complessi sistemi di ingranaggi, cerniere e fibbie in pelle.
 I meccanismi erano azionati da “vapore, acqua ed energia immagazzinata in un meccanismo a carica come un orologio”. 

Costruito principalmente in legno, il robot iberico ancora esistente dal nome “Vergine dei Re – Virgen de los Reyes”, aveva la testa in legno dipinta e le braccia ricoperte di pelle di capretto bianca.
 Nella sua ricerca “Robot Saints” Christopher Swift, del New York City College of Technology, afferma che le figure della vergine Maria e di Gesù bambino “potevano eseguire un numero quasi infinito di gesti e coreografie umane”, perché le loro braccia erano in grado di piegarsi e ruotare come le braccia umane.


In questo contesto è importante ricordare che la fede, per gli uomini medievali, era un affare molto concreto, e quindi non è sorprendente che anche i robot ne facessero parte.
 Dalle reliquie alle grandi opere architettoniche, le figure religiose per gli uomini del medioevo erano innumerevoli, sempre disponibili ad essere osservate e toccate.
 La fede medievale si concentrava fermamente sul tangibile, quindi non è poi così sorprendente che i robot santi ne facessero parte.
 Dai rosari alle cattedrali scolpite, le figure religiose erano sempre disponibili ai fedeli medievali per essere guardate e toccate. 

Un altro famoso robot devozionale, il Rood of Grace a Boxley, in Inghilterra, era un crocifisso nel quale la figura di Gesù Cristo aveva gli occhi in grado di ruotare, la cui testa era in grado di ruotare e che riusciva persino ad assumere diverse espressioni facciali. 
 Il Rood of Grace venne distrutto durante lo scisma anglicano voluto da Enrico VIII, e di esso non rimangono che i racconti dei testimoni dell’epoca. 
Curiosamente, proprio la scultura lignea del Rood of Grace fu utilizzata dai sostenitori del sovrano inglese per additare come “superstiziosa” la fede dei cattolici, e il crocifisso venne portato a Londra per essere bruciato.


 Se i protestanti del sedicesimo secolo indicavano questo tipo di robot come ingannevole per le persone perché gli faceva credere ai miracoli, Swift suggerisce che: I cristiani medievali potrebbero aver apprezzato le statue sacre mobili non per le loro qualità miracolose , ma per le loro capacità meccaniche, tecnologiche e, in definitiva, teatrali


Oltre a creare qualcosa di spettacolare, sembra che lo scopo di creare questi robot fosse quello di ispirare la contemplazione, proprio come le gigantesche sculture che ancor oggi vengono utilizzati nelle parate a tema religioso.
 Se i robot erano un veicolo per la pratica spirituale, non si può presumere che i fedeli, nel medioevo, pensassero agli automi come persone “reali”, animati dalla forza divina, ma li osservavano ammirati dalla meraviglia meccanica che gli artisti del tempo erano in grado di realizzare. 


 Fonte: vanillamagazine.it

lunedì 13 gennaio 2020

Due ciondoli greci scoperti ad Asso in Turchia


Gli scavi nel sito archeologico di Asso hanno portato alla luce due elaborati pendenti intagliati nell’osso. 
Risalirebbero al IV secolo a.C. e mostrano una figura umana e una animale. Asso fu una città portuale greca molto importante nell’antichità.
 Fra i suoi celebri ospiti si annoverano Aristotele, Senocrate e Paolo di Tarso. 


 L’antica città si trova oggi nel villaggio di Behramkale, nella provincia di Çanakkale.

 «Un laboratorio che lavorava l’osso, a Ovest dell’agorà, produceva oggetti a forma animale e a forma umana. 
Pensiamo che anticamente venissero usati come gioielli», ha dichiarato Nurettin Arslan, professore presso il Dipartimento di Archeologia della Facoltà di Lettere e Scienze dell’Università di Çanakkale Onsekiz Mart e capo degli scavi di Asso, in un’intervista all’agenzia statale Anadolu.

 Gli scavi hanno anche rivelato monete dall’epoca bizantina al periodo ottomano.
 Dice Arslan: «Il più grande gruppo di monete scoperte ad Asso sono monete bizantine, perché gli strati su cui stiamo lavorando provengono principalmente dal periodo bizantino. Questi scavi ci mostrano quanto le rovine bizantine ad Asso siano ben conservate».


La città di Asso prosperò tra il VII e il V secolo a.C., poi diminuì gradualmente la sua importanza fino al XII secolo d.C. e alla fine divenne una “piccola fortezza nell’acropoli”. 

«Poiché in seguito non vi saranno [nuovi] insediamenti – spiega Arslan – possiamo affermare che i dati relativi alla pianificazione urbana, agli edifici e alla vita quotidiana del primo periodo bizantino sono molto preziosi». 

Una delle scoperte più arcaiche sono state le asce in granito: «Questa ascia di pietra è stata trovata in superficie nell’area della necropoli, ma scoperte simili sono state fatte dagli archeologi turchi negli scavi americani e negli anni ’90.
 Abbiamo quattro asce risalenti al periodo calcolitico, al 5000 a.C. Queste asce sono importanti perché dimostrano come l’insediamento di Asso risalga al 5000 a.C.».




Fondata sulla cima e sui pendii di una collina vulcanica all’estremità meridionale della regione allora chiamata “Troade”, la città ebbe ospiti illustri. 
Uno dei suoi residenti più famosi fu Aristotele, che insieme al filosofo Senocrate fondò una scuola filosofica ad Asso. 
Tra il 53 e il 57 d.C. venne visitata dal teologo cristiano Paolo di Tarso. Fu la prima antica città in cui gli archeologi statunitensi scavarono nel 1800. 

Dopo una lunga pausa, le ricerche sono riprese nel 1981 e da allora lo scavano gli archeologi turchi. 
L’anno scorso erano stati scoperti alcuni tipici piatti da pesce (cavi in mezzo per trattenere il condimento liquido) e la statua di un leone.





Fonte: ilfattostorico.com

giovedì 9 gennaio 2020

Nelle Azzorre, puoi cucinare all’interno di un vulcano


Nelle Azzorre Portoghesi, esattame a Sao Miguel, l’isola più grande dell’arcipelago, c’è la piccola cittadina di Furnas che conta appena 1500 abitanti. 
 Questa zona conosciuta soprattutto per la sua attività vulcanica, presenta una caratteristica geologica piuttosto interessante: alcuni vulcani infatti non sono appuntiti e la loro forma ricorda più quella di una vallata. 

 Gli abitanti di Furnas hanno imparato a conoscere e rispettare questo territorio ma anche a sfruttarlo. 
La città infatti è un importante centro termale grazie alla presenza di acque ricche di minerali e geotermiche. 

 C’è poi un’usanza gastronomica in questa città inusuale e bizzarra, ma che piace davvero a tutti, viaggiatori e residenti compresi: quella che riguarda la cottura dei piatti all’interno dei vulcani.


La tradizione vuole che il cozido, piatto iconico del territorio, venga appunto preparato proprio all’interno del vulcano.

 Il grande pentolone che contiene tutti gli ingredienti per la preparazione del pasto, viene introdotto all’interno di soffioni sulfurei.

 Questo spezzatino di carne e verdure, i cui ingredienti sono amalgamati all’interno di una pentola di ghisa, viene cotto in maniera naturale grazie al calore del sottosuolo vulcanico.
 Il pentolone viene calato in una buca, all’interno di una zona adibita alla cucina, poi coperto di terra e lasciato lì dentro per almeno sei ore. 
Questa procedura rende il sapore del cozido davvero unico, ecco perché tutti lo amano.


In questo sito, appena fuori dalla città di Furnas, tutti possono preparare questo piatto tradizionale, sono infatti presenti diverse buche destinate alla cottura del cozido messe a disposizione sia per i ristoranti che per gli abitanti del posto.

 Quella di sfruttare il calore del sottosuolo per la cottura è una tradizione piuttosto antica e il merito di averla ereditata va ai ristoranti della zona che si sono ingegnati per garantire ai residenti e ai viaggiatori il miglior cozido del mondo. 


 Fonte: siviaggia.it

mercoledì 8 gennaio 2020

Roma : la “Fontana dei Libri” in via degli Staderari


Situato fra il Pantheon e Piazza Navona il rione di Sant’Eustachio è l’VIII rione della città di Roma, e prende il nome dall’omonima Basilica. La divisione in rioni della capitale risale già al VI secolo a.C. sotto Servio Tullio, ma fu in età imperiale che venne profondamente modificata.
 Augusto aumentò le regiones da 4 a 14, oltre le antiche mura della Repubblica.

 Dopo l’epoca Romana e durante il governo del Pontefice l’organizzazione amministrativa della città cambiò continuamente, passando a 12 rioni nel XII secolo circa per diventare poi definitivamente 22 nel 1921.
 I rioni raccontano la storia della città eterna, e un piccolo simbolo della divisione rionale si trova in via degli Straderari (gli antichi fabbricanti di bilance a stadere, quelle con un piatto solo e un peso contrapposto), dove si può osservare la Fontana dei Libri.


Via degli Staderari un tempo si chiamava “dell’Università”, memoria dell’antico palazzo della Sapienza, sede dell’Università poi trasferitasi a Trastevere.
 L’originale via degli Staderari, parallela a questa, venne soppressa per l’allargamento di Palazzo Madama, e così via dell’Università venne rinominata con l’attuale odonimo. 

 La fontana venne realizzata nel 1927 su progetto dell’architetto Pietro Lombardi, parte di un ampio progetto del comune volto a realizzare dei simboli urbani che ricordassero gli antichi rioni e i mestieri scomparsi. 

 La Fontana dei Libri è caratterizzata da una nicchia ad arco, e al centro si osserva la testa di un cervo, simbolo del Rione di Sant’Eustachio, con l’acqua che viene fatta sgorgare da quattro punti sui quattro libri. 
Due ugelli fuoriescono dai libri superiori mentre altri due dai segnalibri nella parte centrale della scultura, simboli del sapere che fluisce senza sosta dalla grandezza dei libri. Al centro della fontana si legge la scritta: S. EVSTACCHIO – R IV che naturalmente corrisponde al nome del rione e alla sua numerazione.

 Lo scalpellino che eseguì l’opera non doveva avere grande conoscenza della numerazione dei rioni, perché il Rione Sant’Eustachio non è il IV bensì l’VIII.


La fontana, parte di un ampio progetto realizzato interamente dall’architetto Pietro Lombardi, è una delle 9 fontane di quel periodo. 


 Fonte: vanillamagazine.it
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