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lunedì 23 febbraio 2015

Il monaco buddista che medita da 900 anni


Sulle prime sembrerebbe una semplice statua di Buddha. Ma in questa scultura dell'XI-XII secolo dopo Cristo c'è molto di più di quanto possa apparire.
 Incapsulato al suo interno, come in uno scrigno, si trovano le spoglie di un monaco buddista ancora in meditazione, impegnato nella classica posizione del loto. 
 Nel corpo del religioso non ci sono più organi, ma antichi rotoli di testi in lingua cinese: la scoperta, degna di un film di Indiana Jones, è di un gruppo di ricercatori del Meander Medical Centre di Amersfoort, non lontano da Utrecht, Paesi Bassi. 

 La presenza della mummia all'interno della statua era già nota ai ricercatori: a rivelarla era stata, un anno fa, la tomografia computerizzata della statua, che aveva svelato il profilo di uno scheletro umano nascosto nella scultura. 
Secondo Erik Bruijn, esperto di arte e cultura buddiste e curatore ospite del World Museum di Rotterdam, il corpo apparterrebbe a un maestro buddista di nome Liuquan della Scuola Cinese di Meditazione, morto intorno al 1100 dopo Cristo.


La scoperta segue di pochi giorni quella di un altro monaco buddista morto circa 200 anni fa, il cui corpo mummificato è stato ritrovato, ancora nella posizione del loto, nella provincia di Ulan Bator, in Mongolia.
 Secondo alcuni devoti buddisti il monaco Liuquan, così come il "collega" di Ulan Bator, non sarebbero morti, ma si troverebbero soltanto in un avanzato stato di meditazione.

 La preghiera di Liuquan è stata di nuovo "disturbata" a settembre 2014, quando la mummia del religioso è stata sottoposta a un'ulteriore tomografia e ad alcune indagini endoscopiche in cui sono stati prelevati campioni di tessuto dalle cavità toracica e addominale.
 Si è giunti così a una nuova, incredibile scoperta: al posto dei tessuti degli organi interni sono stati trovati frammenti di carta scritti in caratteri cinesi.


Gli organi del monaco sono stati probabilmente rimossi durante la mummificazione e sostituiti con rotoli forse considerati sacri. Questo porterebbe a pensare che Liuquan sia stato mummificato dopo morte e non si sia invece automummificato, un raro e antico processo di volontario abbandono del proprio corpo un tempo tentato da alcuni dei più anziani monaci buddisti, ma di cui ci sono giunte finora appena una ventina di testimonianze 
 La pratica - una sorta di lungo suicidio rituale - prevedeva alcuni anni di dieta a base prima di noci e semi, poi di infusi velenosi e radici, per eliminare i grassi corporei e preservare i tessuti dalla corruttibilità. 
Quando il monaco moriva, in una posizione di preghiera, il suo cadavere non veniva più toccato in alcun modo ed era venerato alla stregua di un santo. 
 Se anche Liuquan fosse morto in questo modo, probabilmente i suoi organi non sarebbero stati rimossi e rimpiazzati dai rotoli.
 La misteriosa mummia in preghiera, che nel frattempo è stata trasferita in Ungheria, rimarrà esposta al Museo di Storia Naturale di Budapest fino a maggio 2015. 

 Fonte: focus.it

Polymita Picta, la chiocciola coi favolosi colori di Cuba


Si chiama polymita picta, anche se è molto più nota con il nickname di chiocciola arcobaleno.
 Si tratta di un mollusco appartenente al superordine dei gasteropodi, ordine a cui appartengono moltissime specie di molluschi sia acquatici che terrestri. 
E’ dotato di gusci che sono vere e proprie opere d’arte.


I molluschi sono animali molto antichi che nacquero in origine nei mari ancestrali (relativi agli antenati) del nostro pianeta che poi successivamente sono riusciti a colonizzare anche la terraferma. 
Va tuttavia detto che un mollusco terrestre non ha mai sviluppato una pelle ‘isolata’, come invece è avvenuto per rettili e mammiferi. Di conseguenza perde molta acqua con la traspirazione della pelle, motivo per cui i molluschi terrestri devono sempre stare in zone molto umide per evitare, appunto, la disidratazione.
 E così non è un caso che la nostra chiocciola arcobaleno viva nelle foreste pluviali dove il tasso di umidità è altissimo (piove quasi una volta al giorno).

 Di aspetto veramente particolare, i gusci di questo mollusco presentano una livrea molto bella e con una ampia gamma di colori vivaci (policromatica) anche se non è stato ancora scoperto il motivo di questa particolare colorazione del guscio.
 Se vogliamo osservare una polymita picta dobbiamo obbligatoriamente andare nell’isola di Cuba. 
Questo animale infatti vive solo ed esclusivamente nelle foreste dell’isola caraibica.










Questa tendenza evolutiva in zoologia prende il nome di endemismo.
 Con questo termine si rappresentano tutti gli animali (e vegetali) che vivono solo ed esclusivamente in un dato luogo preciso. 

Famosi casi di endemismo li troviamo nelle isole Galapagos con le iguane marine e le testuggini giganti che hanno ispirato Charles Darwin sulla sua teoria dell’origine delle specie.
 Trattasi di animali che raggiunsero quei luoghi in tempi lontani e che poi, a causa dell’isolamento con il mondo esterno, si sono discostate a tal punto dai loro predecessori da diventare specie a sé stanti. 
 La piccola chiocciola arcobaleno è quindi un animale unico e purtroppo in via d’estinzione per l’abbattimento del proprio habitat. Difenderla è prioritario. 
Se dovesse scomparire, infatti, non sarà mai più possibile osservare (ed essere affascinati) dai suoi gusci artistici, in nessun altra parte del nostro pianeta.

 fonte: oknotizia.com

Le 110 tavolette cuneiformi dell’esilio degli ebrei a Babilonia


Centodieci tavolette d’argilla, incise in lingua tardo accadica e risalenti all’antica Babilonia, svelerebbero aspetti della vita quotidiana degli ebrei durante l’esilio babilonese, avvenuto circa 2.500 anni fa.

 La collezione, ora in mostra a Gerusalemme, consiste principalmente in certificati amministrativi, contratti di vendita e indirizzi, incisi in caratteri cuneiformi accadici nell’argilla, cotta poi nei forni.

Le tavolette, scoperte in Iraq in circostanze ancora non ben chiarite, descrivono una città chiamata Al-Yahudu, il «villaggio degli ebrei», vicino al fiume Chebar, menzionato nella Bibbia nel libro di Ezechiele (1:1) e documentano, inoltre, nomi ebraici come Gedalyahu, Hanan, Dana, Shaltiel e un certo Nethanyahu, magari antenato dell’attuale primo ministro israeliano. 
Testimoniano, infine, del ritorno a Gerusalemme, così come scritto da Neemia (6:15-16), attraverso l’attribuzione di nomi come Yashuv Zadik, «i giusti ritorneranno».


Grazie al costume babilonese di datare ogni documento, e seguendo la cronologia dei re di Babilonia, gli archeologi hanno potuto datare la collezione intorno al 572-477 a. C.
 La più antica delle tavolette risalirebbe a circa quindici anni dopo la prima distruzione del tempio a opera di Nabucodonosor II, il re caldeo che deportò gli ebrei a Babilonia.
 L’ultima, invece, è databile intorno a 60 anni dopo il ritorno degli esuli a Sion, che avvenne nel 538 a. C. grazie all’intervento di Ciro il Grande che sconfisse Nabucodonosor in battaglia e permise agli ebrei di ritornare in patria. 
Quello che, ancora, non si sa è se Al Yahudu fosse un quartiere di Babilonia oppure un insediamento a sé stante, né si sa se l’intera comunità ebraica risiedesse lì o se fosse stata ulteriormente separata: «Già il nome ,“Al Yahudu”, ci fa capire molto di come sono stati accolti a Babilonia i deportati: inoltre la presenza di nomi teofori (quelli con il suffisso yahu, ovvero con il nome di Dio all’interno) suggerisce come fosse forte la base giudaica all’interno dell’insediamento. 
Le tavolette testimoniano come gli esuli giudei fossero in contatto con altre comunità di deportati, come quella siriana.

 La scoperta ci dà innanzitutto una conferma storica di quello che già eravamo a conoscenza ma di cui non avevamo dati certi», afferma il professore Lorenzo Verderame, ricercatore in assiriologia dell’Università La Sapienza di Roma.


Il professor Wayne Horowitz, uno degli archeologi che ha studiato le tavolette, afferma come questa sia un ritrovamento archeologico di assoluta rilevanza, paragonabile alla scoperta dei papiri del mar Morto. 
«Per le persone di fede ebraica lo è sicuramente», prosegue Verderame, «dal punto di vista accademico i papiri del mar Morto testimoniano la presenza di una comunità che non conoscevamo, quella degli Esseni, con testi liturgici che ci offrono l’idea di una collettività ben fondata. 
Nonostante sia comunque un passo in avanti per lo studio della città di Babilonia, scavata solo in parte a causa di una falda acquifera di superficie, queste tavolette non sono una vera e propria apoteosi, quanto più una sintesi di ciò che già conoscevamo».

 Si sa poco sul ritrovamento delle tavolette: gli archeologi ritengono che siano state dissotterrate negli anni Settanta nel sud dell’Iraq, probabilmente in un sito clandestino, e poi vendute nei mercati antiquari internazionali.
 L’Iraq ha una legislazione severissima riguardo il trafugamento di materiale archeologico, risalente ai primi anni Venti del secolo scorso. 
La recente sparizione di testi ebraici dal museo di Bagdad, avvenuta durante l’ultima guerra del Golfo, ha causato una forte battaglia diplomatica. 

Dopo essere state sepolte per decine di secoli, negli ultimi 50 anni le tavolette hanno girato il mondo: dall’Iraq all’Inghilterra, alla Cornell University fino ad arrivare al collezionista David Sofer , il quale ha comprato 110 tavolette, quelle riguardanti principalmente la comunità ebraica, che ha poi prestato al Bible Lands Museum, dove sono ora in mostra nell’esposizione By the rivers of Babylon.


Fonte: blueplanetheart.it
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