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venerdì 19 settembre 2014


Chi è sepolto nella tomba monumentale di Kasta?


Gli appassionati di storia antica si staranno domandando chi è sepolto tra le massicce pareti di marmo della grande tomba che, in questi giorni, gli archeologi stanno lentamente riportando alla luce nel nord della Grecia.
 La monumentale struttura, che risale al periodo della morte di Alessandro Magno, avvenuta nel 325 a.C., è la tomba più grande che sia mai stata rinvenuta nella Grecia settentrionale, e appare sufficientemente maestosa per poter ospitare anche la sepoltura di un re. 
Il sito si trova vicino all'antico porto di Anfipoli, usato come base per la flotta comandata da Alessandro Magno nella grande spedizione in Asia. 

 Oggi, dopo quasi due anni di scavi intorno al sito, conosciuto come tumulo di Kasta, gli archeologi hanno iniziato a esplorare le camere interne. 
Nei giorni scorsi, gli studiosi, guidati dall'archeologa Katerina Peristeri, hanno annunciato la scoperta di una coppia di cariatidi, ossia di due grandi statue-colonna che raffigurano donne con le braccia aperte, come a voler impedire l'ingresso agli intrusi.


"Non ho mai visto niente di simile", afferma Philip Freeman, professore di archeologia classica al Luther College di Decorah, in Iowa. 
 Le cariatidi, comunque, sono solo una parte degli incredibili arredi della tomba.
 A guardia della porta principale, come delle sentinelle, ci sono due sfingi, le creature mitologiche dal corpo di leone e testa umana. Una volta entrati nell'anticamera, gli archeologi hanno scoperto un ricco pavimento in mosaico di marmo bianco e intarsi rossi e sulle pareti dei resti di un affresco.
 La pavimentazione, così finemente lavorata, "è un chiaro segno di ricchezza", spiega Ian Worthington, docente di studi classici presso l'Università del Missouri e autore di due libri su Alessandro Magno. "Come quella del palazzo di Pella - dove nacque Alessandro Magno, e dove hanno scoperto una serie di mosaici, tutti molto preziosi ".


Ma la vera domanda è: chi è sepolto nella camera interna?
 Peristeri non ha ancora rotto il sigillo posto sopra l'ingresso, e quindi al momento gli archeologi possono solo fare delle ipotesi. Per lo più concordano sul fatto che è improbabile che vi siano conservati i resti di Alessandro Magno, il grande condottiero macedone che sconfisse l'esercito persiano, invase l'Asia e l'Egitto, e creò uno dei più grandi imperi del mondo antico. 
 Secondo i testi storici, Alessandro Magno morì a Babilonia nel 323 a.C., forse in seguito a un attacco di malaria o di febbre tifoide. Il corpo sarebbe stato poi conservato nel miele e posto su un carro funebre destinato, secondo alcuni resoconti, verso la Macedonia, la sua terra natale. Ma durante il viaggio, racconta Worthington, Tolomeo - uno dei generali preferiti da Alessandro - "rapì il cadavere del re per seppellirlo da qualche parte in Egitto. Scommetto che Alessandro Magno non è nella tomba di Anfipoli!"


Altri archeologi ritengono invece che la tomba conservi i resti di un membro della famiglia del re: forse della madre Olimpia, della moglie Rossane o del figlio bambino che portava il nome del padre. Infatti alla morte di Alessandro Magno, i suoi generali si spartirono l'Impero, ma uno di loro, Cassandro, per assicurarsi il trono di Macedonia fece assassinare gli eredi diretti del re, compreso il figlio illegittimo Eracle. Ma è possibile che i ricchi seguaci di Alessandro avessero fatto costruire il maestoso tumulo funerario per almeno uno di loro. 
 "Si tratta di una tomba enorme, e si presume che sia stata costruita per una persona ricca e prestigiosa", commenta Hector Williams, archeologo della University of British Columbia di Vancouver. Perciò, se la tomba risultasse del tutto intatta e inviolata, e ci fossero chiari indizi sull'identità del proprietario, alcuni appassionati di storia potrebbero presto riscuotere le vincite delle loro scommesse.

 Fonte: www.nationalgeographic.it

Il volo degli storni


Il volo di uno stormo di storni, e in particolare la trasmissione delle informazioni tra i membri del gruppo che ne consentono i cambiamenti di direzione, ha molte somiglianze con il comportamento quantistico degli atomi che si osserva nella materia condensata in fenomeni critici, come per esempio il cambiamento di stato che permette la transizione dell'elio liquido allo stato di superfluido, in cui l'elio scorre praticamente senza attrito.
 È il risultato di uno studio pubblicato su “Nature Physics” a firma di Alessandro Attanasi e colleghi della Sapienza Università di Roma e dell'Istituto dei sistemi complessi del CNR di Roma.


In natura, molti animali vivono in società o in gruppi, e le decisioni su quali comportamenti collettivi debbano essere seguiti nelle varie situazioni è estremamente rilevante.
 Per esempio, nel caso in cui un gruppo sia minacciato da un predatore, è importante che durante la fuga venga mantenuta la coesione del gruppo. Questo significa che deve esserci un meccanismo efficace e affidabile non solo per decidere in che direzione fuggire, ma anche per fare in modo che l'informazione sui cambiamenti di direzione si propaghi molto rapidamente a tutti i membri del gruppo.
 Finora le ricerche non hanno chiarito in che modo gruppi di animali possano raggiungere un alto grado di affidabilità.
 Uno dei modelli studiati per chiarire questo aspetto è lo stormo di uccelli, in particolare di storni (Sturnus vulgaris).
 In quest'ultimo studio, Attanasi e colleghi hanno filmato, usando tre diverse videocamere, il volo di uno stormo composto da circa 400 storni. Dall'analisi delle riprese, i ricercatori hanno poi ricavato le traiettorie in tre dimensioni dei singoli uccelli in funzione del tempo.
 Innanzitutto, Attanasi e colleghi hanno scoperto che un ristretto numero di uccelli, tra loro vicini durante il volo in formazione, cambiano direzione per primi. L'informazione sulla direzione successivamente raggiunge tutti gli altri membri nell'arco di circa mezzo secondo. La distanza percorsa dall'informazione aumenta linearmente nel tempo: questo significa che la velocità dell'informazione attraverso lo stormo è pressoché costante e raggiunge il valore di 20-40 metri al secondo. Inoltre, la velocità di propagazione può variare in misura significativa tra uno stormo e un altro.
 Da un punto di vista teorico, lo stormo ha di solito dimensioni rilevanti e l'informazione deve attraversare un certo numero di passaggi intermedi.
 In queste condizioni, ci si aspetterebbe un certo grado di attenuazione, con una conseguente dispersione degli uccelli in posizione più periferica e una perdita di coesione dello stormo. Tutto questo però non si verifica: l'analisi delle riprese video ha mostrato che la propagazione dell'informazione avviene con una dissipazione trascurabile.
 La mancanza di dissipazione è la chiave per arrivare a una formalizzazione matematica del modo in cui avviene il trasporto dell'informazione nello stormo.
 In primo luogo, questa mancanza di dispersione consente di escludere che si tratti di un un trasporto di tipo diffusivo, paragonabile cioè alla dispersione di una goccia d'inchiostro un bicchiere d'acqua. Inoltre, permette anche di escludere che l'informazione si propaghi come un suono, per effetto di fluttuazioni della densità dello stormo che, come si è verificato, non hanno influenza sulla propagazione.
 Piuttosto, le fluttuazioni che si propagano durante un cambiamento di direzione riguardano l'orientamento nello spazio che ciascun membro del gruppo deve mantenere durante il volo, regolandosi rispetto agli uccelli vicini.

 Sviluppando questi dati con l'aiuto di considerazioni fisico-matematiche generali, Attanasi e colleghi hanno definito una serie di equazioni che descrivono egregiamente il comportamento degli storni. Si tratta di equazioni matematiche simili a quelle usate per descrivere le transizioni di fase, per esempio il passaggio dell'acqua liquida allo stato solido, o altri fenomeni critici squisitamente di natura quantistica, come quelli che interessano l'elio superfluido, che dipendono dalle interazioni tra l'orientazione degli spin degli atomi che costituiscono il materiale e che permettono all'elio in questo stato di avere di fatto viscosità nulla e quindi scorrere senza attrito.


Al di là dei tecnicismi matematici, i risultati gettano una luce sull'evoluzione di un comportamento collettivo adattativo di estrema importanza per la sopravvivenza di degli uccelli.

 Fonte: http://www.lescienze.it/

In un antico pigmento egiziano la chiave per le telecomunicazioni del futuro


L'ultima frontiera in fatto di telecomunicazioni potrebbe arrivare da un'antica tecnica pittorica, in voga migliaia di anni fa.

 Un pigmento blu acceso utilizzato nei manufatti egiziani 5 mila anni or sono sta fornendo alla scienza spunti per sviluppare nuove tecnologie per l'imaging diagnostico, telecomandi e inchiostri di sicurezza, come si legge in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the American Chemical Society.

Il blu egiziano, conosciuto come primo pigmento artificiale della storia dell'uomo, è ottenuto dal riscaldamento di silice, malachite, carbonato di calcio e carbonato di sodio.
 Era conosciuto anche da Greci e Romani e utilizzato per decorare tombe, statue e manufatti da tutte le civiltà mediterranee. Se ne trovano tracce, per esempio, sulla statua della dea Iride al Partenone e sulle decorazioni a tempera rinvenute sulla tomba dello scriba egiziano Nebamon a Tebe.

I ricercatori dell'American Chemical Society hanno scoperto che il silicato di rame e calcio del pigmento egiziano si può rompere in nanofogli così sottili che ne occorrerebbero migliaia per eguagliare lo spessore di un capello umano. 
Questi strati generano una radiazione infrarossa invisibile analoga alle caratteristiche del segnale che i dispositivi di controllo remoto, come i telecomandi per la TV o l'apertura dell'auto, usano per comunicare con gli apparecchi che comandano.

«Il silicato di calcio e rame ci sta indirizzando verso una nuova classe di nanomateriali particolarmente interessanti per le immagini biomediche basate sul vicino infrarosso, per i dispositivi infrarossi che emettono luce (come le piattaforme per le telecomunicazioni) e per gli inchiostri di sicurezza», si legge nel report dei ricercatori. Un esempio di come sia possibile ripensare un antico materiale sfruttandolo per moderne applicazioni. 

Elisabetta Intini

George, il pesce rosso operato al cervello


La storia ha dell’incredibile: un veterinario ha eseguito un delicatissimo intervento chirurgico su un… pesce rosso gravemente malato.

 E’ successo in Australia e George, il pesciolino, è finito sotto i ferri a causa di un tumore alla testa.
 Tristan Rich, il medico veterinario che ha eseguito l’intervento in una clinica di Melbourne ha impiegato 45 minuti per operare l’animale, del peso di soli 80 grammi. 
I suoi proprietari gli avevano chiesto il tutto per tutto e lui ha accettato la sfida. 
“Il pesce – ha detto il dottor Rich al Telegraph - aveva difficoltà a mangiare a causa di un grave tumore alla testa. Non solo, col passare del tempo aveva anche molte difficoltà a muoversi. A quel punto ho deciso di intervenire, altrimenti sarebbe stato spacciato. Ho aperto il cranio di George ed ho asportato la massa tumorale, poi ho riposto il pesce in una bacinella di acqua pulita ed ho sperato che tutto andasse liscio”.


Durante l’intervento il pesce è stato tirato fuori dal suo laghetto, ma attraverso un tubicino le sue branchie sono state bagnate in continuazione.
 Al pesce è stata effettuata un’anestesia generale e ciò è stato possibile immergendolo in una soluzione contenente acqua e anestetico. 
Lyon Orton, uno dei due proprietari del pesce, ha spiegato commosso: “Non riuscivo a vederlo soffrire. Io e mia moglie amiamo sederci accanto al laghetto dove vive e osservarlo mentre nuota”.
 Il pesce ha superato l’intervento chirurgico con successo.

Da :  http://www.fanpage.it

Aral, il lago scomparso


Cosa ci fanno delle navi arrugginite in pieno deserto? Forze paranormali? Alieni?
 No, solo uno dei più gravi disastri ambientali provocati dalla mano dell'uomo. Fino a qualche decennio fa in questa zona si estendeva il quarto lago del pianeta per superficie: il lago Aral, un lago salato di origine oceanica posto al confine tra l'Uzbekistan e il Kazakistan. 

Dal 1960 a oggi la sua superfcie si è ridotta del 75%, e dei 68.000 km quadrati originali oggi ne restano poco più del 10%. Il restante 90% è sabbia, tutto il resto dell'acqua si è prosciugato.
 Ma com'è possibile che un lago così grande da essere spesso chiamato “mare” sparisca in meno di soli 50 anni? Ai tempi della guerra fredda, per incrementare la produzione di cotone in una regione arida come l'Uzbekistan il regime sovietico attuò un progetto di deviazione dei due fiumi che si immettevano nel lago tramite l'uso di canali.
 L'acqua prelevata venne utilizzata per irrigare i campi delle neonate colture intensive delle aree circostanti. Senza i fiumi che lo alimentavano, il lago Aral si è via via prosciugato nel corso degli anni, lasciando il posto a un deserto di sabbia salata e tossica in cui sopravvivono solo gli scheletri arrugginiti delle navi che un tempo solcavano le sue acque.
 Per far posto alle piantagioni di cotone, infatti, vennero utilizzati enormi quantità di diserbanti che inquinarono irrimediabilmente il terreno circostante, tanto che ancora oggi le polveri inquinanti vengono sparpagliate ovunque dalle frequenti tempeste di sabbia, fino ai lontani ghiacciai dell'Himalaya.

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