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martedì 6 novembre 2018

Questo animale esiste davvero: non è un coniglio, né un ragno ma somiglia a entrambi!


Così buffo da sembrare finto, c’è chi dice che assomigli a un Pokemon chi a un coniglietto nero con le orecchie lunghe o addirittura a un cane lupo.

 Il web è già impazzito per lui: il suo nome scientifico è Metagryne bicolumnata ed è stato fotografato dallo scienziato naturale Andreas Kay nella foresta pluviale amazzonica dell'Ecuador lo scorso anno. 
 Non c’è nessuna manipolazione nell’immagine che vedere e se fate una facile ricerca su internet scoprirete che per quanto strano, questo animaletto esiste davvero e appartiene agli Opilionidi, un ordine di Aracnidi, ma in realtà non è un ragno(un altro ordine, Araneae), nonostante l’aspetto molto simile.


La loro caratteristica sono queste zampe lunghissime e la loro particolarità è che il loro corpo è ovale e sembra quasi staccato dalla parte inferiore. 

La natura ci regala sempre grandi emozioni, per questo lo scienziato Andreas Kay l’ha visto per la prima volta, non ha potuto non strabuzzare gli occhi.
 Minuscolo come vediamo in questa foto dove c’è un dito vicino, il coniglietto nero è proprio singolare.


"Contrariamente a quanto si crede, non ha ghiandole velenifere e la specie è assolutamente innocua. Questi animali sono in circolazione da almeno 400 milioni di anni e vivevano ancora prima dei dinosauri", spiega Ray. 

 Questa specie è stata scoperta nel 1959 dallo specialista di aracnidi tedesco Carl Friedrich Roewer e da tempo si studia la forma del suo corpo, ma ancora non si è arrivati a un’unica ipotesi.
 Secondo alcuni gli occhi gialli non sarebbero ‘quelli veri’ che invece starebbero più giù. 
 Forse le macchie dell'occhio e le protuberanze simili alle orecchie sono pensate per ingannare i predatori e fare sembrare l’animale un po’ più grande.

 Insomma di misteri ce ne sono tanti, quel che certo è che questo piccolo aracnide ci fa già tanta simpatia!


 Dominella Trunfio

Il Congresso degli Arguti, le statue parlanti di Roma


Tutto ebbe inizio nel XVI secolo, in una Roma rinascimentale dove il potere e la ricchezza dei cardinali aumentano a dismisura, senza contare dello scempio cui sono soggetti i vecchi edifici romani denudati dei loro marmi per andare ad arricchire le case dei curiali che dovevano dare bella mostra delle loro ricchezze.
 Il popolo romano deluso e disilluso utilizza le Statue Parlanti come arma ironica, soprattutto, e dissacratoria, contro il potere teocratico dei papi, il governo e i personaggi più in vista.

 La satira latina rivisse per bocca delle statue parlanti, alle quali si affiggevano le anonime denunce politiche e di costume, scritte in versi ed in latino, che presero il nome di pasquinate, dal più illustre di questi personaggi in pietra Pasquino.

 Le epigrafi in calce alle statue parlanti, antesignane della libertà di stampa, sono l’unico mezzo disponibile per un popolo che, ancora non si può considerare rivoluzionario in quanto impossibilitato o diremo timoroso ad agire, manifesta verbalmente in piazza, luogo pubblico per eccellenza, le angherie e le miserie a cui è sottoposto. 

Il più “loquace” tra tutte le Statue Parlanti di Roma è Pasquino, numerose raccolte di scritti ed iscrizioni ne hanno tramandato gli acuti epigrammi. 
Una delle più celebri “pasquinate” è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere al Bernini le parti bronzee del Pantheon per la realizzazione del baldacchino di S. Pietro (1633): quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.


Dal 1501 Pasquino si trova ad un angolo di palazzo Braschi, alle spalle di Piazza Navona, si tratta di un torso di figura maschile, la copia di un originale bronzeo risalente al III secolo a.c., facente parte di un antico gruppo statuario ellenistico, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo.
 Ma è così male conservato che dire con certezza chi rappresenti è impossibile, forse un re o un eroe dell’antica Grecia. 
Non si può dire con sicurezza quale sia l’origine del suo nome, forse il nome di un sarto, di un barbiere o semplicemente di un professore della zona.


Un interlocutore di Pasquino è Marforio poiché in alcune delle satire le statue dialogavano tra di loro. 

Anche in questo caso si tratta di una statua antica.
 La colossale statua barbuta distesa su un fianco, oggi in piazza del Campidoglio, un tempo era ai piedi del colle Capitolino, raffigura l’Oceano, il Tevere oppure il fiume Nera. 

Il marmo, risalente al I secolo a.C. fu ritrovato nel Foro Romano vicino ad una conca di granito nei pressi dell’Arco di Settimio Severo. Sulla conca vi era scritto “mare in foro”: dalla deformazione di questa iscrizione, per alcuni, deriverebbe il nome di Marforio. 
Per altri l’etimologia di questo nome deriverebbe dalla famiglia Marioli, che nel XIV secolo risiedeva nei pressi del Carcere Mamertino, oppure trae origine dal Foro di Marte (Mars Fori).


Tra le Statue Parlanti minori troviamo Madama Lucrezia, una giunonica figura, proveniente da un tempio dedicato a Iside, raffigurante forse una sacerdotessa di questo culto o forse la stessa Iside.
 Situata in un angolo di Piazza San Marco adiacente Piazza Venezia. 
Il nome gli deriva da una nobile dama, che visse nel XV secolo, molto conosciuta al suo tempo. 
Si era innamorata del re di Napoli, il quale era già sposato; per questo motivo Lucrezia venne a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì. L’anno seguente il re morì; l’ostilità del suo successore costrinse la dama a tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza. 


Altre figure che riuscirono a colpire l’immaginario popolare per il loro aspetto sono: Abate Luigi, Facchino e Babuino. 

 “FUI DELL’ANTICA ROMA UN CITTADINO/ ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA/ CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO/ NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA/ EBBI OFFESE, DISGRAZIE E SEPOLTURA/ MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN SICURA”.


Questo è il breve epitaffio, del Tomassetti, sul basamento che sorregge l’Abate Luigi, in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di Sant’Andrea della Valle. 

La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale – secondo la tradizione popolare – rassomigliava molto alla figura scolpita. 

 Ogni tanto la statua “perdeva la testa” ed infatti, nel 1966, rivolgendosi all’ignoto vandalo che, per l’ennesima volta, le aveva sottratto il capo, la statua così sentenziò (tramite cartelli che le venivano appesi): 
“O tu che m’arrubasti la capoccia vedi d’ariportalla immantinente sinnò, vôi véde? come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia”.


Parliamo quindi ora della Statua parlante del Facchino.

 Anche se è una piccola fontana che si conserva solo in parte, racchiude in sé curiose leggende.
 Rappresenta una figura maschile nell’atto di versare acqua da una botte; l’abito indossato dalla figura è il costume tipico della corporazione dei facchini, da cui il nome del personaggio. 

Si trova in Via Lata, sul fianco sinistro del palazzo De Carolis (oggi noto come palazzo del Banco di Roma). 
Risale alla seconda metà del XVI secolo, e secondo una tradizione popolare fu ispirata dalla figura di un acquarolo, colui che raccoglieva acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta, a modico prezzo. 
 Nessuno sa chi fosse l’autore della fontana, trattandosi di un’opera pregiata fu attribuita erroneamente a Michelangelo. 

Si dice che il facchino raffigurato fosse un tal Abbondio Rizio, un robusto e alto facchino che portava il vino nelle case della zona. Arricchitosi per un colpo di fortuna, l’uomo avrebbe voluto far costruire una fontana che lo raffigurasse nel momento del lavoro che egli aveva umilmente compiuto per tanti anni. 

 Un’altra leggenda narra invece che il personaggio scolpito fosse un oste della zona, che per guadagnare di più mescolava il vino che offriva ai suoi avventori con abbondante acqua. 
Quando morì vide le porte del Paradiso sbarrarsi al suo passo.
 San Pietro gli disse che la disonestà di cui si era macchiato in vita era un reato gravissimo che avrebbe potuto portarlo perfino all’Inferno.
 Il taverniere promise di espiare la sua colpa riversando gratuitamente tutta l’acqua che aveva venduto con la truffa.
 

Stando alla leggenda, dopo 400 anni egli deve ancora terminare di pagare il suo debito. 

Un altro protagonista del “congresso degli arguti” è la Statua Parlante del Babuino, situata a ridosso della facciata della Chiesa di Sant’Anastasio dei Greci in Via del Babuino. 

È un’antica statua di sileno adagiata su una vasca di marmo, entrambi di epoca romana.
 Data la bruttezza della statua, dovuta al ghigno del sileno, il popolo romano la chiamò il Babuino e tale epiteto divenne talmente celebre che determinò il mutamento del toponimo della strada da Via Paolina in Via del Babuino. 


 Le Statue Parlanti, quelle che un tempo erano portavoce del popolo romano, oggi hanno perso la parola e ridotte al silenzio osservano mute lo scorrere del tempo.
 Solo Pasquino si mantiene fedele alla 
tradizione: la sua base è sempre ricoperta di graffianti satire in versi rivolte a chi detiene il potere. 


Fonte: mitiemisteri.it
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