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venerdì 28 giugno 2013

Svizzera: Il Parco Scherrer

Monumenti d’epoche e culture diverse si trovano nel “Parco-Monumento Scherrer” a Morcote lungo la strada cantonale ca. 300 m dopo il paese, in direzione di Figino.
 In questo parco avete l’occasione unica di compiere un emozionante viaggio nel tempo e nello spazio, dove passato e presente, storia e natura si fondono armoniosamente.
 Questo giardino “paradisiaco” (come è stato definito dal famoso Aga Khan), sorge ai piedi del Monte Arbòstora, sulle rive del lago.
Fino a settant’anni fa esistevano su questi pendii ronchi vignati, castagneti e una vecchia dimora con la stalla in riva al lago. 
Nel 1930 Hermann Arthur Scherrer, ricco commerciante di tessuti e appassionato d’arte, acquistò la casa e un ettaro di terreno a monte. Dopo diversi anni di lavoro, pendii e terrazzamenti furono ricoperti da cipressi, camelie, canfore, eucalipti, cedri, araucarie, palme e boschetti di bambù, tutte piante esotiche ed orientali che Scherrer aveva ammirato durante i suoi viaggi di lavoro. Numerose piante sono ora etichettate con il loro nome scientifico.

Scherrer, ispirato dai paesaggi e dalle culture orientali, non si limitò a riprodurne l’affascinante vegetazione: il giardino doveva solo incorniciare i grandi capolavori della scultura e dell’architettura orientale. Infatti riprodusse, anno dopo anno, diversi templi, in scala ridotta del mondo mediterraneo e di paesi esotici.
 Il parco comprende due aree, con due stili predominanti; quello mediterraneo e quello asiatico.
 Il percorso attraversa dapprima i ripiani dei giardini mediterranei in stile rinascimentale e barocco, ricchi di statue; poi prosegue in boschetti di bambù nel paesaggio orientale, che sorprende per le sue costruzioni siamesi, arabe ed indiane, accompagnate dalla flora che caratterizza queste regioni. 
Lungo il percorso c’è la possibilità di sedersi all’ombra di pergole, e di godersi splendidi scorci panoramici sul lago.

All’entrata si notano diverse sculture: la fontana ornamentale veneziana accompagnata da un leone bizantino, posato su una colonna rinascimentale. Non lontano, due leoni di marmo di Carrara accolgono il visitatore ai lati della scalinata quasi invitandolo a camminare attraverso coloratissime azalee, camelie, profumati osmanthus e accanto a un grosso cedro del Libano. Anfore, leoni, ninfe e fauni appaiono ad ogni svolta del sentiero che conduce fino a un pergolato: le statue allegoriche delle quattro stagioni ed una panchina veneziana invitano a riprendere fiato. Si arriva davanti alla grandiosa fontana rinascimentale di marmo di Carrara vicina alle colonne di un belvedere.

Le statue di Venere, Ercole, Giunone e Giove vigilano fra gruppi di azalee. Volgendo lo sguardo verso monte, fra i vari ripiani ricchi di cipressi e magnolie, si scorge l’Eretteo, copia del secondo tempio dell’Acropoli ateniese, in scala molto ridotta in pietra di Vicenza e sorretto da sei magnifiche cariatidi. 
Per ottenere una copia fedele Scherrer scattò numerose fotografie che consegnò al suo scultore di Vicenza. La parte superiore del parco, rivela un giardino rinascimentale con un tempio del sole di matrice spagnola. Lo stile ricorda i famosi giardini dell’Alhambra a Granada ed è impreziosito da due fontane in stile barocco, in pietra naturale di Verona e contornate da basse siepi di bosso.

Le statue di Mercurio, dio del commercio, e di una filatrice, dominano il Parco dall’alto e simboleggiano le attività esercitate da Scherrer. Il cammino prosegue oltre un ponticello che separa idealmente la vegetazione mediterranea da quella fitta ed esotica del mondo orientale. 
Fiancheggiando canne di bambù ed aceri giapponesi si giunge alla casa del tè in stile siamese. Oltrepassata la statua di Budda e quella del serpente, ci si ritrova sulle rive del Nilo al tempo dei faraoni. Ecco il tempio egiziano di Nefertiti, vegliato da due divinità: la testa di leone di Sekhmet e la testa di falco di Horus, figlio di Osiride. L’interno del tempio è una copia fedele dell’originale, che si trova a Berlino e risale all’età di Amenofi, circa 1375 a.C..

C’è anche una copia del celebre busto della regina Nefertiti. Le pareti sono dipinte in antico stile egiziano. Una doppia parete con intercapedine impedisce all’umidità d’intaccare le pitture. Qui, nel silenzio, accanto alle divinità egizie, riposano anche le ceneri di Scherrer e di sua moglie.
 Usciti dal boschetto di bambù si può sostare tra le colonne e i capitelli che evocano il tempio di Delfi: seduti su una panca antica di cinque secoli, si apre una finestra panoramica sulle tranquille acque del lago.
 Ma Scherrer evoca altri viaggi lontani: fatti pochi passi “si giunge in Arabia”.

La scena è quella di un’oasi con palme, ghiaia e una casa araba, rimasta purtroppo incompiuta. Scendendo verso la palazzina s’incontrano sculture di schiavi nubiani immersi in una ricca vegetazione composta da esemplari di araucaria, lecci (Quercus ilex), profumati osmanthus e canfore, spinosi Poncirus trifoliata ed esotiche palme di San Pietro (Chamaerops humilis), Dracaena indivisa e yucche. Attraversato questo “paradiso botanico”, troviamo uno stagno con le ninfee e una tartaruga cinese ci augura una lunga vita. Su questo terrazzamento si situa il “giardino indiano” con la palazzina rinascimentale che richiama il Palazzo Salò di Brugine, vicino a Padova.

Nel giardino c’è una vasca sulla quale si affacciano quattro elefanti con la proboscide alzata, sovrastati da tre cobra pronti ad attaccarli e alla sommità domina la vacca sacra di Myosore. Altri elefanti indiani sono raffigurati nei rilievi della scala del terrazzo, mentre sul cornicione quattro leoni “sorvegliano il giardino”.All’interno, come nei palazzi indiani, le pareti hanno decorazioni Mughal e un recinto delimita lo spazio riservato alle donne. Il dipinto del soffitto indica la posizione esatta degli astri quando nacque Amalia Scherrer.

All’uscita del Parco attira lo sguardo una casa lombardo-ticinese del 1’300, con loggiato ad arcate; questa testimonia l’affetto di Hermann Scherrer per il Ticino. Ora questi locali offrono ristoro al visitatore al termine della visita.

Kyenge choc

La formula del giuramento:

''Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione''.

QUALCUNO HA AVVISATO LA SIGNORA CHE LA NAZIONE IN QUESTIONE ERA .............L'ITALIA?

una svista può succedere a tutti !!!!!!!





“Ringiovaniamo l’Italia rimpiazzando i vecchi con giovani clandestini”

Il piano della Kyenge: rimpiazzare i vecchi italiani con i giovani clandestini.
“La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”
“La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”.
Così ha detto ieri il ministro Kyenge a latere della solita conferenza sull’immigrazione e ha svelato dettagliatamente il suo piano che, molto presto, passerà al vaglio del governo.
“Il reato di ingresso clandestino e di soggiorno illegale dovrebbe essere presto abolito in sede di revisione del Testo Unico sull’immigrazione da parte dei ministeri dell’Interno e della Giustizia e dal Parlamento”.
Per il ministro, inoltre “il trattenimento delle persone da espellere nei Centri di Identificazione dovrebbe rappresentare solo l’estrema ratio e comunque- secondo lei- 18 mesi sono un periodo eccessivamente lungo”
“La questione immigrazione- ha concluso- rappresenta un nodo di estremo rilievo, un fenomeno che non può essere governato fra individualismi ed egoismi politici”.
Tradotto: l’Italia è da considerarsi un paese di vecchi e per ringiovanirla occorrono altri milioni di immigrati, che però con le leggi vigenti faticherebbero ad entrare.
Per la sostituzione rapida del vecchio col nuovo (il ringiovanimento) occorre aprire le frontiere a tutti.
Chi critica è un egoista razzista da mettere al bando.
Se è così, si chiama rimpiazzo demografico: lo ha usato Stalin,lo usano i cinesi in Tibet, ne abbiamo visto gli effetti in Ruanda. Adesso è il turno dell’Italia
red


Kyenge: “Capisco gli immigrati che si oppongono alle leggi italiane” 





Ennesima boutade del ministro dell’integrazione italiano che giustifica la rabbia degli immigrati:
“Intuisco la vostra rabbia di stare in bilico tra due mondi” Sempre più italiani rimangono perplessi dalle uscite del ministro italo-congolese Cecile Kyenge, la cui politica sembra, anzi é, esclusivamente orientata verso i diritti degli immigrati, dimenticandosi di qualsiasi loro dovere.
Dopo aver sostenuto la poligamia  la Kyenge adesso difende gli immigrati che protestano contro le leggi italiane! In particolar modo tutti quelli che ritengono che la loro naturalizzazione debba essere automatica e non tramite un processo che accerti la loro effettiva integrazione nel paese e la loro volontà di condurre una vita onesta in Italia.
A Perugia, il ministro Kyenge ha infatti inviato questo messaggio ai ragazzi che hanno ricevuto la cittadinanza onorarie ius soli: “Posso comprendere i vostri turbamenti, la fatica di far valere un’identità complessa, la difficoltà di stare in bilico tra più mondi, di fronteggiare una burocrazia non sempre amichevole.
Intuisco la rabbia che a volte vi prende per non essere considerati italiani, pur sentendovi tali”.
Che il ministro di un paese si ritrovi a giustificare gli stranieri che non intendono rispettare alcune leggi del paese che li sta ospitando è una cosa che non si era mai vista… fino ad ora!
MS 

Kyenge: “Darò una casa a tutti i rom!”. E agli italiani?
 

CECILE KYENGE - Continua il processo di dis-integrazione del ministro italo-congolese:
“Mi impegnerò per dare casa, cittadinanza e lavoro a tutti i rom”.
A un ritmo quasi giornaliero, italiani disperati senza più casa e lavoro vedono la loro unica via d’uscita nel suicidio.
Ma per il ministro italo-congolese Cecile Kyenge la priorità va agli stranieri. La ministra della dis-integrazione continua infatti nei suoi proclami pro-immigrazione, ignorando totalmente le esigente dei milioni di italiani che vivono drammaticamente sotto la soglia di povertà.
L’ultima trovata di Cecile Kyenge è stata quella di andare a Torino, una delle città italiane più colpite dalla crisi economica e promettere casa e lavoro per tutti… i rom. E, naturalmente, anche la cittadinanza. Tanto hanno dimostrato di sapersi integrare benissimo…
Oh, non scherziamo, sia chiaro che per gli italiani niente di tutto ciò!
Non si può mica accontentare tutti!
Ovviamente tacciando di razzismo su tutti gli italiani che, in questo particolare momento storico, possono avere qualche perplessità sulle proposte del ministro italo congolese:
“Io sono come i rom e gli attacchi che fanno a me in realtà sono rivolti a tutti voi immigrati”.
Integrazione e tolleranza?
MS

Kyenge insiste sulla poligamia: “Non rinnego che facilita i rapporti con la società”

CECILE KYENGE – Il ministro italo-congolese dell’integrazione ribatte alla Lega Nord:
“Sono nata in una famiglia poligamica, e non si rinnegano mai le proprie origini”.
Il ministro dell’integrazione italo-congolese Cecile Kyenge, ormai noto per voler integrare chiunque ma che nel mentre si rifiuta di stringere la mano ed evita il confronto con chiunque la pensi diversamente da lei, continua a far discutere.
Dopo le polemiche della Lega Nord, che poco hanno gradito le esternazioni del ministro Kyenge, la quale inneggiava alla poligamia in quanto
“Facilita i rapporti con l’altra parte della società, al di fuori della famiglia”, ai giornalisti che le hanno chiesto un chiarimento in merito la Kyenge si è limitata a dire:
“Sono nata in una famiglia poligamica, e non si rinnegano mai le proprie origini”.
Quindi conferma che le aberranti dichiarazioni dell’italo-congolese non erano solo una boutade, magari con una punta di provocazione: si tratta proprio del suo pensiero!
Con buona pace delle donne, difese proprio in tempi non sospetti dalla Boldrini, che evidentemente sono destinati ad avere meno diritti degli immigrati…
Se questo è il modello di integrazione a cui deve sottostare l’Italia, c’è evidentemente qualcosa di grave che non va…
MS

Le prime greggi nel Sahara cinque millenni prima di Cristo.


Il Sahara oggi è uno dei deserti più ostili del mondo. 
Eppure 10.000 anni fa i modelli paleoclimatici mostrano un ambiente con condizioni climatiche e ambientali molto più favorevoli alla vita, quelle che caratterizzarono il Periodo africano umido dell'Olocene. È per questo che non devono stupire i risultati di un recente studio pubblicato sulla rivista "Nature" che documentano la produzione di latticini nel Sahara nel quinto millennio a.C.
 Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori di un'ampia collaborazione internazionale di cui hanno fatto parte Stefano Biagetti e Savinio di Lernia del Dipartimento di scienze dell’antichità della Sapienza Università di Roma, e Silvia Bruni, dell'Università di Milano, si è basata sull'analisi molecolare e isotopica dei residui di cibo ritrovati nella regione. 
La metodica si era dimostrata efficace in passato nel determinare la cronologia dell'inizio della lavorazione del latte vaccino nella “Mezzaluna fertile”, che fu il teatro del passaggio in Medioriente da una società di cacciatori-raccoglitori a una di soggetti sempre più stanziali e dediti all'agricoltura.
 Nel caso del Sahara, già precedenti studi hanno documentato come l'allevamento di bovini, ovini e caprini sia iniziato ben prima della domesticazione delle piante. In particolare, nella prima parte dell'Olocene, le popolazioni di cacciatori, pescatori e raccoglitori, che occupavano l'Africa sahariana in modo essenzialmente sedentario, sono diventate di mandriani nomadi, in grado di adattarsi alle differenti condizioni e risorse ambientali e di sfruttarle a proprio vantaggio.

La presenza di allevamenti preistorici nella parte più settentrionale del continente Africano è documentata da una serie di graffiti e pitture rupestri ritrovate nel Sahara, che costituiscono probabilmente la più ampia concentrazione di arte preistorica del mondo, famosa per la sua capacità di rendere in modo vivido scene della vita quotidiana di quelle popolazioni.
 E proprio queste testimonianze pittoriche mostrano la presenza di bestiame e in particolare la mungitura delle vacche. D'altra parte lo studio dei reperti fossili ha ribadito la presenza nell'area di bovini, ovini e caprini addomesticati a partire dall'inizio del sesto millennio a.C. e la loro diffusione a partire dal quinto millennio a.C.
 Si tratta in ogni caso di reperti frammentari e in uno stato di conservazione non adatto a una ricostruzione completa e coerente di un modello di queste antiche civiltà. 
A colmare questa lacuna sperimentale sono intervenuti alcuni studi che hanno condotto misurazioni degli isotopi del carbonio sui residui di grassi animali preservati nei resti archeologici di vasellame. La ricerca ora pubblicata ha tentato per la prima volta di identificare l'inizio delle pratiche di lavorazione dei latticini nel Sahara centrale. È stata utilizzata una tecnica di spettrometria di massa-gascromoatografia (GC–MS), spettroscopia di massa isotopica-combustione-gascromatografia, su residui organici estratti da vasellame ritrovato nelle rocce del sito di Takarkori, nel Sahara libico. 
La datazione al quinto millennio a.C. è correlata con la più abbondante presenza di resti di ossa di bestiame, confermando per lo stesso periodo il pieno sfruttamento del bestiame per i suoi prodotti secondari.

Come si nutrivano i 10.000 costruttori della piramide


Una nuova ricerca ha ricostruito il sistema alimentare dei costruttori delle famose piramidi di Giza in Egitto, le cui “città” sono state scoperte proprio vicino alle piramidi.
 La città dei costruttori si trova circa 400 metri a sud della Sfinge, e venne utilizzata per la piramide del faraone Micerino, la terza e ultima piramide nella piana.
 Il luogo è conosciuto anche con il suo nome arabo, Heit el-Ghurab, ed è talvolta chiamato “la città perduta dei costruttori di piramidi”.

Finora, i ricercatori hanno scoperto un cimitero, una possibile area di macellazione e mucchi di ossa di animali. 
 Sulla base dei reperti ossei di animali, gli archeologi stimano che ogni giorno venivano mediamente macellate circa 2 tonnellate di carne bovina, ovina e caprina per alimentare i costruttori della piramide. Questa dieta ricca di carne, insieme alla disponibilità di cure mediche (gli scheletri di alcuni lavoratori mostrano ossa cicatrizzate), sarebbero state un richiamo ulteriore per lavorare alle piramidi. “Ci si prendeva cura delle persone, ed erano tutte ben nutrite quando erano lì a lavorare, così ci sarebbe stata un’attrattiva”, ha detto Richard Redding, direttore di ricerca presso l’Ancient Egypt Research Associates (AERA), un gruppo che studia il sito da circa 25 anni. “Probabilmente avevano una dieta migliore rispetto al loro villaggio”. 
 Alla città dei costruttori, probabilmente occupata per 35 anni, i ricercatori hanno identificato circa 25.000 ossa di pecore e capre, 8.000 di bovini e 1.000 di maiale.
Richard Redding (AERA Inc.) 

 Per lavorare alla piramide, i costruttori avrebbero avuto bisogno di almeno 45-50 grammi di proteine ​​al giorno, ipotizza Redding. Secondo una sua stima, metà di queste proteine sarebbe probabilmente venuta da pesce, fagioli, lenticchie e altre fonti non a base di carne, mentre l’altra metà sarebbe venuta da pecore, capre e bovini. Latte e formaggi non erano probabilmente consumati a causa di problemi di trasporto e della bassa resa di latte del bestiame in quel periodo.
 Combinando queste esigenze ed altre fonti proteiche con le ossa, Redding ha stimato in circa 11 bovini e 37 ovini o caprini il consumo giornaliero del sito, oltre ai rifornimenti di grano, birra e altri prodotti. 
Per mantenere certi livelli di allevamento, sarebbe stata necessaria un’area – comprendente terre e insediamenti – di circa 1.205 km², cioè il 5% del delta del Nilo. 
Gli allevatori sarebbero dovuti essere 3.650, e incluse le famiglie, 18.980, meno del 2% della popolazione egizia dell’epoca. 
 È inoltre emerso che i capisquadra, che alloggiavano in un’area chiamata “gallerie”, preferivano la carne bovina, considerata la più pregiata carne in Egitto. Non a caso, appare molto più spesso nelle scene tombali rispetto a pecore o capre, mentre i suini non compaiono mai.

I ricercatori ritengono che non tutti i lavoratori vivessero lì: altri erano accampati proprio accanto alle piramidi. 
“Pensiamo che, probabilmente, nella città dei costruttori vi abitasse una grande parte della forza lavoro, i lavoratori più qualificati, mentre c’erano accampamenti temporanei intorno alle piramidi dove venivano alloggiati i lavoratori temporanei”. 
 Gli studi futuri cercheranno i resti delle città operaie di Cheope e di Chefren, gli altri due faraoni che costruirono le piramidi di Giza. Una zona di discarica, indagata negli anni ’50, potrebbe contenerli; dei sigilli lì ritrovati portano i nomi dei governanti.
 “Quando Micerino arrivò, egli stabilì il suo regno, fece livellare tutta la zona e i detriti furono gettati in una grande discarica. Quella discarica dietro la collina potrebbe essere ciò che rimane dei siti di costruzione di Cheope e Chefren”, ha dichiarato Redding, che spera di iniziare nuovi scavi nel prossimo anno o due. 

LiveScience
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