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martedì 12 aprile 2016

Il deserto di Uluru illuminato a energia solare


Già al naturale, l'Ayers Rock, l'imponente massiccio nel deserto di Uluru, nell'outback australiano, è uno dei luoghi più suggestivi del mondo. 
Ma l'artista britannico Bruce Munro è riuscito nel difficile intento di renderlo ancora più "magico". Ha fatto sbocciare ai suoi piedi 49 mila metri quadrati di luci colorate, in un'installazione luminosa che funziona a energia solare, con il minimo impatto ambientale. L'installazione circolare, che ha un diametro di 250 m, comprende 50 mila steli con "bulbi" in vetro smerigliato che cambiano continuamente colore e che si accendono non appena, sul deserto, cala l'imbrunire.


I fiori artificiali di Field of Light, questo il nome dell'installazione, sono collegati da 380 km di cavi in fibra ottica a 144 proiettori solari, che funzionano da fonti di luce.
 Uno spettacolo tenue, silenzioso ma diffuso, non inquinante e sostenibile, perché sfrutta una fonte energetica - quella solare - abbondante nel deserto.


Bruce Munro ha concepito per la prima volta l'idea alla base dell'opera nel 1992, durante un viaggio nel deserto di Uluru.
 Quel luogo «sembrava irradiare energie e idee, insieme al calore» racconta l'artista. Ma la difficoltà logistica della realizzazione del progetto ha prolungato l'attesa: i Field of Light sono sorti nel frattempo in varie località (per esempio a Londra e in Cornovaglia), ma a Munro mancava ancora qualcosa. 
Voleva tornare nel luogo che aveva ispirato l'opera.
 Così ha avviato una campagna di fundraising online per portare il progetto in Australia, questa volta su larga scala.

 Realizzare questo sogno ha richiesto 2800 ore di progettazione dell'impianto in Inghilterra, più 3900 ore di lavoro per ricostruire l'installazione sul posto.
 Quaranta persone hanno lavorato per sei settimane, per "seminare" i singoli fiori. 
 Munro ha fatto recapitare ad Uluru 60 mila steli, 10 mila in più di quelli previsti dal progetto. Una misura precauzionale nel caso qualcuno di essi si fosse rotto durante il trasporto.
 Accortezze a parte, il trasferimento dell'opera sembra essere andato in modo perfettamente liscio. 
 Chi ha già avuto occasione di vederla, ha paragonato il suo aspetto a quello di un'estesa rete neurale, o a una nebulosa di polveri e gas planetari. Ad altri ricorda le luci delle città illuminate viste dall'alto, dal finestrino di un aereo.




Dato il valore di questo territorio per la comunità aborigena, Munro si è consultato a lungo con i rappresentanti delle popolazioni locali prima di intraprendere il progetto. 
Ha ricevuto il loro appoggio, e un nuovo nome per l'opera che suona come un sigillo di approvazione: Tili Wiru Tjuta Nyakutjaku, che in lingua Pitjantjatjara (la lingua parlata dagli aborigeni del deserto centrale australiano) significa "guardando molte, bellissime luci".


In ogni caso, Field of Light non si trova all'interno del parco nazionale di Uluru ma in un'area adiacente, di proprietà del Voyages Indiginous Tourism Australia.
 Rimarrà in questo luogo per un anno, fino al 31 marzo 2017, prima di essere smantellata.

 La luce del luogo - di cui l'artista si è innamorato 24 anni fa - gioca un ruolo determinante nella fruizione dell'opera. 
Come se 50 mila fiori aspettassero che il giorno finisca, prima di aprirsi. 
L'effetto è visibile anche all'alba, ma dà il meglio al crepuscolo. 

 Il biglietto d'ingresso costa circa 23 euro. 
L'artista ha scelto di lasciare l'opera in loco per un anno, per dare la possibilità a chi la visita di sperimentare tutta la gamma di condizioni offerte dalle stagioni australiane. 

Chi l'ha vista di persona assicura che le foto non rendono neanche lontanamente l'idea.

 Fonte: focus.it

Salina Turda: la miniera in disuso trasformata in parco divertimenti


Siamo a Turda, la seconda città più grande della Romania. 
Qui si trova un luogo davvero suggestivo, sia per la sua conformazione naturale e la sua posizione, che per le sue attrazioni. Parliamo di Salina Turda, nel dipartimento di Cluj, una vecchia miniera di sale sfruttata sino al 1932 quando venne utilizzata come rifugio antiaereo durante la Seconda guerra mondiale e per la conservazione di generi alimentari. 
Nel 1992, riaperta al pubblico, è stata trasformata in un parco divertimenti-museo che comprende, in realtà, tre miniere: la miniera Terezia che raggiunge 120 metri di profondità, la miniera Anton con i suoi 108 metri e la Rudolf, 42 metri di profondità. All’interno di Salina Turda sono state collocate una ruota panoramica, un campo da calcetto, un minigolf ed una pista da bowling ed è possibile noleggiare piccole imbarcazioni per lasciarsi trasportare da un’atmosfera surreale, creata da spettacolari laghi sotterranei e gallerie ricche di stalattiti.
 I più dinamici potranno giocare a ping pong mentre gli amanti degli spettacoli di certo non si perderanno quelli proposti nell’anfiteatro.










Durante le visite guidate, poi, vengono presentate anche le modalità di estrazione e trasporto del minerale, avvalendosi di argani a trazione animale, e di comunicazione vocale, grazie ad una fantastica eco 
In superficie, il lago salato creato dai depositi dei minerali di salgemma, attrezzato con servizi termali, solarium e ristorazione, propone in estate la possibilità di nuotare e rinfrescarsi.

Oltre che alla sua indescrivibile bellezza visiva, Salina Turda è un luogo assolutamente salutare. 
 Un mineralogista del luogo, infatti, Johann Fridwaldszky, in una delle sue opere pubblicate nel 1767 , scrisse che “la miniera di sale di Turda è degna di essere visitata”. 
Qui la temperatura è tra gli 11 e i 12° C, l’umidità media è del 80% e la velocità di movimento dell’aria è tra 0,02-0,7 m/sec. Tutti questi fattori, uniti all’assenza di batteri patogeni e alla moderata ionizzazione dell’aria, hanno un effetto benefico per l’apparato respiratorio. 

 Fonte: meteoweb.eu
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