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mercoledì 17 luglio 2019

L’Altopiano di Ennedi: remota e affascinante meta nel Ciad


Non ha spiagge meravigliose come il Kenia, non ha città imperiali come il Marocco, non ha parchi lussureggianti come il Sudafrica, ma ciò non significa che il Ciad, in Africa Centrale, non offra attrattive spettacolari, anzi. 

 Proprio là dove il Sahara ha ricoperto con le sue sabbie le regioni settentrionali del paese, ci sono delle imponente formazioni di arenaria, modellate nel corso dei millenni, meraviglie geologiche inserite nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 2016.


Il deserto non è una meta per tutti: bisogna amare i silenzi sconfinati, gli orizzonti infiniti e il misterioso fascino della solitudine.

 Arrivare all’altopiano di Ennedi significa spingersi verso una frontiera lontana da qualsiasi cosa chiamata “civiltà”, un luogo frequentato solo da un paio di tribù nomadi che ancora si aggirano tra le sabbie del Sahara e le piccole oasi, in cerca di pascoli per i loro cammelli, le capre e le pecore. 
Sono pastori, come lo erano quegli uomini del neolitico che hanno lasciato incisioni e pitture rupestri tra i 7000 e 3000 anni fa, nelle grotte che usavano come rifugio.




L’altopiano di Ennedi è quasi un baluardo naturale nel bel mezzo del Sahara, con le sue torri, i pilastri, gli archi e i ponti di arenaria, che occupano un territorio (40.000 chilometri quadrati) grande quasi quanto la Svizzera.




Queste straordinarie formazioni geologiche iniziarono a strutturarsi milioni di anni fa, durante la cosiddetta “era della vita antica” (tra i 550 e i 250 milioni di anni fa), quando l’oceano ancora ricopriva quello che oggi è il deserto del Sahara. 

 Modellato prima dall’acqua del mare e poi dal vento del deserto, l’altopiano di Ennedi è una straordinaria testimonianza di un mondo ormai scomparso, con il suo ecosistema che consente ancora la sopravvivenza di centinaia di specie animali e vegetali, compreso il raro coccodrillo del deserto.


E’ molto suggestiva l’ipotesi, non confermata da alcuna prova, che nelle aree più remote dell’altopiano possano ancora vivere il raro ghepardo sudanese, l’onice del Sahara (una specie di antilope considerata estinta dal 2000), e forse addirittura la tigre di Ennedi (un tipo di gatto dai denti a sciabola), conosciuta solo grazie alla descrizione dei nativi.


La vita delle tribù nomadi, così come di animali e piante, è possibile grazie all’acqua dolce delle gueltas (stagni del deserto), che dissetavano anche, migliaia di anni fa, gli animali dipinti nei petroglifi: coccodrilli, cammelli, cavalli, uccelli, leoni, rappresentati insieme a figure principalmente femminili.


Remoto, quasi irraggiungibile, ma straordinariamente affascinante: il massiccio di Ennedi, Riserva Naturale e Culturale, sito patrimonio dell’UNESCO, potrebbe e dovrebbe rappresentare una risorsa economica per uno dei paesi tra i più poveri al mondo. 


 Fonte: vanillamagazine
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