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mercoledì 18 dicembre 2019

In Etiopia gli archeologi scoprono la città perduta di un misterioso impero


Gli archeologi hanno riportato alla luce i resti di una città da un'antica e influente civiltà antica dell'Africa orientale che fa luce sulle origini del cristianesimo in Etiopia.

 L'insediamento sepolto, che contiene una delle chiese più antiche dell'Africa sub-sahariana, fu abitato per circa 1.400 anni prima di sparire negli altopiani polverosi dell'Etiopia settentrionale intorno al 650 d.C. 

Chiamato Beta Samati, faceva parte dell'Impero o del Regno di Aksum, ma prima della sua scoperta gli archeologi pensavano che l'area fosse stata abbandonata quando la classe dirigente dell'impero stabilì la sua capitale altrove.


 Il regno di Aksum ha dominato la regione tra l'80 a.C. e l'825 d.C. ed è stata una delle maggiori potenze del mondo antico - conquistando le regioni circostanti e commerciando con l'Impero romano, hanno detto i ricercatori. 

Il regno si convertì al cristianesimo nel 4 ° secolo. 
Fu solo nel 2009 che gli archeologi parlarono ai residenti locali nell'area vicino alla scoperta, i quali suggerirono ai ricercatori di indagare su una collina vicino al moderno villaggio di Edaga Rabu. Si è rivelato essere un tumulo alto 25 metri formato da rifiuti e detriti accumulati nel corso di generazioni di occupazione.

 "Faceva parte della tradizione orale locale.
 Sapevano che era un posto importante ma non sapevano perché", ha affermato Michael Harrower, professore associato di archeologia alla Johns Hopkins University e autore principale della ricerca.


La datazione al radiocarbonio suggerisce che le persone iniziarono a vivere nella città intorno al 750 a.C., e rimase occupata durante i tempi di Aksumite, catturando momenti chiave della storia etiope. Gli edifici e gli artefatti scoperti, che includono una basilica, un anello d'oro, monete, iscrizioni e ceramiche, hanno rivelato che la regione è rimasta importante durante i tempi di Aksumite e la città di Beta Samati è stata un fulcro centrale del commercio e del commercio, collegando la capitale Aksum con il Mar Rosso e oltre. Oggi, la città si trova vicino al confine dell'Etiopia con l'Eritrea.


"L'Impero di Aksum era una delle civiltà antiche più influenti al mondo, ma rimane una delle meno conosciute", ha detto Harrower. "Beta Samati abbraccia la conversione ufficiale di Aksum dal politeismo al cristianesimo e l'ascesa dell'Islam in Arabia", ha aggiunto. 
Gli archeologi hanno scoperto i resti di una grande basilica risalente al IV secolo.


Tali edifici sono stati i primi luoghi chiave del culto cristiano in Etiopia, secondo lo studio, e il sito di Beta Samati sembra essere uno dei primi nel regno di Aksumite, hanno detto i ricercatori - costruito poco dopo che il re Ezana convertì l'impero in cristianesimo durante metà del IV secolo d.C. 

"Questo è ciò che rende questa scoperta così importante", ha detto Aaron Butts, professore di lingue semitiche ed egiziane presso la Catholic University di Washington, DC, in una e-mail. 

"I dati archeologici combinati con la datazione al radiocarbonio suggeriscono che la basilica risale al quarto (o forse all'inizio del quinto) secolo, rendendola certamente tra le prime chiese conosciute nell'Africa sub-sahariana.
 Inoltre, data l'affidabilità dei dati archeologici combinati con la datazione al radio-carbonio, sembra essere la prima chiesa databile in modo sicuro nell'Africa subsahariana ", ha aggiunto Butts, che non è stato coinvolto nello scavo. 

 Le reliquie scoperte nel sito hanno mostrato influenze romane, pagane e cristiane, illustrando la "diversità culturale di questa civiltà enigmatica", ha detto lo studio. 
Includevano un anello d'oro in stile romano che presentava un'icona insolita - un simbolo di un toro e un ciondolo in pietra dolce recuperato dall'esterno della basilica con una croce e quella che sembra essere un'iscrizione nell'antica lingua etiope che recita "venerabile". 


 Fonte: edition.cnn.com

domenica 15 dicembre 2019

La leggenda di Montepertuso


 Secondo la leggenda, Positano fu fondata da Poseidone – dio dei mari – per amore della ninfa Pasitea ma, forse, non tutti conoscono la frazione di Montepertuso e il suo mito. 

 Montepertuso domina Positano e, oltre alla sua bellezza che rende la località campana ancora più affascinante, un racconto leggendario narra che la nascita del “pertuso” all’interno della montagna fu opera della Madonna: si dice, infatti, che a bucare la montagna sia stato proprio il dito indice della Vergine Maria.


Tanti anni fa, nella frazione attuale di Montepertuso a Positano, in grotte naturali scavate all’interno della montagna, vivevano alcuni abitanti giunti dall’Oriente.

 La leggenda narra che qui il Demonio, per dimostrare la propria forza alla Madonna, tentò di bucare la montagna con le proprie mani, ma non ci riuscì. 
La Madonna alzò la mano sfiorando la montagna, che si sgretolò all’istante, e il Diavolo precipitò giù dal monte cadendo sulle rocce sottostanti.
 Qui, secondo i fedeli, è visibile la sua orma impressa nella pietra.


Durante la notte gli abitanti furono svegliati da un forte temporale e, dopo essere usciti dal rifugio, videro una luce bianca con al centro una figura che si stagliava dal monte.
 Una giovane ragazza fu avvolta da quella luce e una voce con tono materno le disse: 
«Non aver più paura, il Demonio è stato maledetto ed i suoi sforzi contro questo monte sono finiti, perché distrutto è lo spirito maligno.
 Resti del suo corpo a forma di serpente si trovano all’altro versante della roccia viva. 
Vieni dunque con me e accompagnami sulla collina della selva Santa, ove ci fermeremo per sempre».

 Era la voce della Vergine Maria che, dopo aver sconfitto il Diavolo, volle rassicurare tutti gli abitanti di Montepertuso. 
Oggi, su quella collina sorge il tempio dedicato alla Vergine delle Grazie, proprio di fronte al monte con il foro che dà il nome alla frazione. 

 Fonte: siviaggia.it

giovedì 12 dicembre 2019

Sculture assire di 2700 anni fa scoperte da archeologi italiani nel Kurdistan iracheno


Nel cuore di un sito archeologico del Kurdistan iracheno sono emerse dieci spettacolari e imponenti sculture rupestri che rappresentano alcune divinità degli assiri e un sovrano, con buona probabilità re Sargon.

 I rilievi, scolpiti su grossi blocchi di roccia, sono lunghi ben cinque metri e alti due; in base alle analisi condotte dagli archeologi hanno un’età stimata di circa 2.700 anni (VIII-VII secolo avanti Cristo). Sono stati trovati associati al tratto di un canale largo quattro metri, che all’epoca si snodava per 7 chilometri nell’entroterra di Ninive, la capitale del regno.
 Dal canale centrale si irradiavano corsi d’acqua più piccoli per nutrire i fertili terreni agricoli e i campi della Mesopotamia del nord, una delle culle della civiltà.


I rilievi sono stati scoperti tra settembre e ottobre di quest’anno da un team di ricerca internazionale composto da scienziati italiani dell’Università di Udine e della Direzione delle Antichità di Duhok, città del Kurdistan a 20 chilometri dal sito archeologico di Faida, dove sono emersi i grandi monumenti. 
Gli archeologi dell’ateneo del Friuli Venezia Giulia, guidati dal professor Daniele Morandi Bonacossi, sono impegnati nell’area da diverso tempo in seno al progetto “Land of Nineveh Archaeological Project”, ma il loro non è stato un lavoro agevole. 
Il Kurdistan iracheno è stato infatti a lungo al centro di aspri conflitti; basti pensare alla presenza dell’autoproclamato Stato Islamico dal 2014 al 2017. 

La città di Mosul si trova a soli 50 chilometri di distanza dal sito di Faida, mentre il fronte della guerra è arrivato ad appena 25 chilometri.
 L’area, come spiegato dallo stesso Bonacossi, “è parte di uno scenario ancora post-bellico, fortemente minacciato dal vandalismo, scavi clandestini e dall’espansione del vicino villaggio e delle sue attività produttive che lo hanno già gravemente danneggiato”.

 La porzione superiore di alcuni dei bassorilievi era stata individuata tempo addietro, ma proprio a causa dei conflitti in corso e dell’instabilità geopolitica è stato impossibile portarli completamente alla luce sino ad oggi.


Come indicato, mostrano diversi dei assiri, associati alle figure animali e mitologiche che li accompagnano nell’iconografia: ci sono ad esempio Assur – la principale delle divinità assire – su un dragone e sua moglie Mullissu seduta su un piedistallo sostenuto da un leone; Sin, il dio della Luna (su un leone); Nabu, il dio della Sapienza (su un dragone); Shamash, il dio del Sole (su un cavallo); Ishtar, la dea dell’amore e della guerra su un altro leone e così via. Tutte le divinità sono rivolte verso il senso in cui scorreva l’acqua nel canale. 

Il sovrano degli assiri è presente alle estremità dei bassorilievi, al cospetto delle divinità. 

Come sottolineato dal professor Bonacossi, si tratta di reperti estremamente rari, tenendo presente che gli ultimi rilievi in Iraq furono scoperti circa due secoli fa dal Console francese a Mosul. 

Quando gli scavi saranno terminati verrà realizzato il “parco archeologico dei rilievi assiri di Faida”; i reperti saranno documentati con le tecnologie più moderne, restaurati laddove necessario e protetti da apposite infrastrutture.

 Fonte: scienze.fanpage.it

lunedì 9 dicembre 2019

In Abruzzo c’è un luogo più bello della Cappella degli Scrovegni


La chiamano la “Cappella Sistina d’Abruzzo”. 
Date le dimensioni, c’è chi la paragona alla Cappella degli Scrovegni a Padova. 

Pochi ne conoscono l’esistenza, eppure è di grandissima importanza, per diversi motivi. 
 Questa splendida chiesetta che domina l’altopiano di Navelli e che si nasconde tra i monti di Bominaco, un piccolissimo borgo che conta meno di cento abitanti, frazione di Caporciano, in provincia dell’Aquila, nasconde un vero e proprio tesoro. 


 Si tratta dell’Oratorio di San Pellegrino, con l’annessa Abbazia di Santa Maria Assunta. 
Sono ciò che resta di un complesso monastico medievale che comprendeva anche un castello, iniziato a costruire nel XII secolo, e una torre cilindrica, oggi ancora visibile.

 L’Oratorio offre un incredibile contrasto tra la struttura esterna piuttosto anonima e l’interno, caratterizzato da un’esplosione di colori data dagli affreschi che ancora conserva e che sono stati restaurati proprio di recente.
 Secondo alcune ipotesi sarebbe addirittura legata al passaggio, da questa parti, di Carlo Magno.
 Fu comunque rifatta dall’abate Teodino nel 1263.


Chi ha la fortuna di entrare in questo luogo resta letteralmente a bocca aperta. Le pareti e le volte sono completamente affrescate con episodi tratti dal Vangelo, l’infanzia di Cristo, la Passione, il Giudizio Finale e alcuni episodi della vita di San Pellegrino.

 Gli affreschi rappresentano uno dei più antichi calendari monastici, con le personificazioni dei mesi. 
A ogni mese sono dedicate due vignette in cui sono riportati il segno zodiacale, la corrispondente fase lunare, una figura allegorica che rappresenta il mese e i giorni contrassegnati dalle lettere dell’alfabeto (e non da numeri).


A separare la zona destinata ai pellegrini da quella dei monaci sono due transenne di marmo scolpite con l’immagine di un drago e di un grifone e l’iscrizione che ricorda Teodino e la data del 1263. Questi affreschi di scuola abruzzese risalenti al XIII secolo sono fra i più vasti e integri complessi pittorici dell’epoca.


A prendersi cura di questo sito di grande importanza storico-artistica sono alcuni custodi che, da decenni, guidano turisti e visitatori alla scoperta della “Cappella Sistina d’Abruzzo”. 

 Fonte: siviaggia.it

venerdì 6 dicembre 2019

Lettera dalla Mesopotamia: il primo Reclamo fu scritto 3750 anni fa


C’erano una volta i negozi sotto casa e i mercati rionali. 
Vien da pensare a bei tempi quelli, ormai lontani, quando il rapporto fra venditore e consumatore era diretto, gli eventuali reclami si facevano a voce, e tutto si risolveva presto e di persona, almeno nella maggior parte dei casi.
 In realtà, è ragionevole pensare che le lamentele dei clienti siano nate insieme al commercio stesso, ma è difficile immaginare un acquirente insoddisfatto che si prende la briga di incidere un’indignata lettera di reclamo su di una tavoletta d’argilla (che poi bisognava cuocere per “fissare” i segni), con l’indispensabile stilo e nella complicatissima scrittura cuneiforme, composta all’inizio da un migliaio di segni, poi ridotti con il tempo a solo poche centinaia.  
Probabilmente, la più antica lettera di reclamo che si conosca, risalente all’incirca al 1750 a.C, non fu composta personalmente dal mittente, ma piuttosto da uno scriba: in Mesopotamia, dove si svolse tutta la faccenda, la scrittura era appannaggio della sola casta degli scribi. 
Mestiere difficile e di grande responsabilità, che si tramandava da padre in figlio, e garantiva una invidiabile posizione sociale. 

Doveva essere arrabbiato, e parecchio, un certo signor Nanni, che visse nell’antica città di Ur, in Mesopotamia (oggi in Iraq).
 Aveva ordinato a un tale chiamato Ea-nasir una partita di lingotti di rame di “ottima qualità”, ma la merce si era rivelata invece scadente.
 Ea-nasir era, come si definirebbe oggi, un grossista: andava nel Golfo Persico per acquistare rame da rivendere in Mesopotamia.


In un’occasione si accordò con Nanni per vendergli dei lingotti del pregiato metallo, ma poi, chissà perché (era un imbroglione, o attraversava un momento di difficoltà? Non lo sapremo mai…), trattò male l’affare, tanto da indurre l’arrabbiato cliente a scrivere una lettera di reclamo, che suona più o meno così: 

 Dillo a Ea-nasir: Nanni invia il seguente messaggio: Quando sei venuto, mi hai detto quanto segue: “Darò a Gimil-Sin lingotti di rame di ottima qualità”. 
Poi sei partito ma non hai fatto quello che mi avevi promesso. 
Hai dato al mio incaricato (Sit-Sin) dei lingotti che non erano buoni e hai detto: “Se vuoi prenderli, prendili; se non vuoi prenderli, vattene!” 
 Per chi mi prendi, che tratti uno come me con tale disprezzo? Ho inviato dei messaggeri a ritirare la borsa con i miei soldi, ma mi hai trattato con disprezzo rimandandoli da me a mani vuote, più volte, e attraverso un territorio nemico. […] Prendi atto che (d’ora in poi) non accetterò rame che non sia di ottima […] ed eserciterò contro di te il mio diritto di rifiuto perché mi hai trattato con disprezzo.


 La traduzione di questa, e di molte altre tavolette commerciali e private, si deve a uno dei più importanti studiosi di scrittura cuneiforme e assirologia, A. Leo Oppenheim, che nel 1967 pubblicò Lettere dalla Mesopotamia. 


 Secondo lo storico Robert G. Hoyland, che sposta la data della contesa alla fine del 19° secolo a.C, Ea-nasir era un commerciante attivo nella non ancora identificata regione di Magan (forse nell’attuale Oman, o in Yemen, se non in Sudan o in Pakistan), ricca di rame e diorite: “Si presenta come un personaggio un po’ senza scrupoli, o forse caduto in un momento difficile della sua attività, perché ci sono un certo numero di lettere arrabbiate dai suoi clienti di Ur”. 


 La tavoletta, rinvenuta a Ur nel 1953, si trova oggi al British Museum. 


 Fonte: vanillamagazine.it

martedì 3 dicembre 2019

Due mummie di leone scoperte a Saqqara, in Egitto


Dall'Antico Egitto ci sono arrivate mummie di gatto, cane, ibis, persino di coccodrillo: mai però prima d'ora ci si era imbattuti nei resti completi di leoni preservati per l'Aldilà. 

Le prime due mummie di cuccioli di leone sono venute alla luce non lontano dalla necropoli di Saqqara, in Egitto, in una tomba piena di altri animali mummificati (soprattutto gatti e uccelli) e di statuette di forma felina. 

Il malloppo di animali considerati sacri, veri e finti, risalirebbe alla fine del Periodo Tolemaico, 2600 anni fa. I leoni mummificati non arrivavano al metro di lunghezza: morirono prima di aver raggiunto il pieno sviluppo.


Non sono i soli felini selvatici ritrovati nella tomba: tre altre mummie appartengono quasi certamente a leopardi, ghepardi, pantere o altri grossi predatori, non è ancora chiaro a quali.

 Accanto ai leoni "riposavano" altre 20 mummie di gatti domestici e decine di statuette in pietra, legno o bronzo, finemente dipinte e in certi casi intarsiate in oro.


A completare il bestiario, un grosso manufatto a forma di scarabeo, di quelli usati, nell'Antico Egitto, come sigilli, gioielli o amuleti. L'oggetto che è lungo una trentina di centimetri potrebbe essere il più grosso artefatto di questa forma mai ritrovato. 
Ma il particolare che ha reso possibile la datazione è una statua della dea Neith, patrona di Sais, una città sul Delta occidentale del Nilo che fu la capitale durante la ventiseiesima dinastia, 2600 anni fa.

 I ritrovamenti di mummie feline sono piuttosto comuni nell'area di Saqqara, dove si venerava la dea Bastet, in origine divinità leonina e poi, con il tempo, ammansita in dea protettrice dalle sembianze di gatto, madre del dio leone Mysis.

 Proprio a Saqqara, nel 2004, un team di archeologi francesi aveva individuato uno scheletro incompleto di leone, ma è la prima volta che questo animale si ritrova in forma mummificata.
 Dopo la morte, i felini venivano trattati con gli stessi onori riservati all'uomo, e offerti in forma di mummie a Bastet. 

In altri casi, gli animali votivi erano allevati apposta per la mummificazione, e venduti ai fedeli che volessero ingraziarsi una divinità. 

 Fonte: focus.it
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