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mercoledì 12 febbraio 2014

L’infibulazione nella storia e ai giorni nostri

Il termine “infibulazione” deriva dal latino “fibula” che significa spilla:
la pratica ha origine nell’antico Egitto, come testimoniano le scoperte archeologiche che hanno portato alla luce mummie egizie infibulate risalenti a oltre 4.000 anni: i reperti hanno inoltre attestato come l’infibulazione fosse particolarmente diffusa nella famiglia reale, infatti secondo le credenze allora in uso, tale obbligo di natura “reale”, rappresentava una forma per conservare la fertilità delle principesse ed assicurare la continuità della dinastia, oltre ad evitare gli spargimenti del prezioso “sangue reale”.
Esiste anche una ragione di natura religiosa che giustifica tale menomazione nel mondo egizio, secondo la tradizione sembra che gli Dei fossero do­tati di una natura bisessuale: natura ereditata poi dall’uomo, i segni di tale doppiez­za sarebbero il prepuzio nell’uomo e il clito­ride nella donna.
Solo eliminandoli, uo­mo e donna avrebbero potuto recuperare la lo­ro “vera natura”.
L’infibulazione è menzionata anche in un episodio della Tawarat (Pentateuco): quando i maghi si recarono dal Faraone per informarlo che una donna ebrea avrebbe partorito un figlio maschio e che nelle sue mani sarebbe finito il regno d’Egitto, il Faraone ordinò a tutte le Qablat (le donne preposte ad aiutare il parto) che operavano in Egitto di uccidere alla nascita ogni primogenito maschio.
Ma le Qablat fallirono e, quando il Faraone chiese il perché, esse risposero:“le donne ebree non sono come le donne egiziane che sono come gli animali, partoriscono prima che arrivi da loro la Qabla per aiutarle”.
L’interpretazione che ne trassero gli studiosi fu che le donne ebree, a differenza di quelle egizie, non fossero infibulate.
Perché le mutilazioni genitali femminili ai giorni nostri ?.
I motivi che portano a praticare ancora ai giorni nostri tali mutilazioni possono essere suddivise in cinque categorie principali. 1. Identità culturale:
in alcune società la mutilazione definisce l’appartenenza al gruppo sociale e la sua pratica viene mantenuta per salvaguardare l’identità culturale del gruppo stesso: basti pensare che presso alcune popolazioni la donna non mutilata automaticamente viene considerata “impura” e posta ai margini della società, in tale condizione è praticamente impossibilitata a trovare marito.
2. Identità sessuale:
la mutilazione viene ritenuta necessaria affinché una ragazza diventi una donna completa.
La rimozione del clitoride e delle donne somale piccole labbra (parte maschile) del corpo della donna, sono indispensabili per esaltarne la femminilità (soprattutto in termini di docilità ed obbedienza).
3. Controllo della sessualità:
in molte società esiste la convinzione che le mutilazioni riducano il desiderio sessuale della donna (anche presso gli antichi ro­mani si praticava l’escissione delle schiave per ragioni analoghe, ostacolandone la vita sessuale).
I fautori di tale pratica sostengono che la mutilazione riduca il rischio di rapporti al di fuori del matrimonio, in quanto , aggiungono, non sia possibile che una donna non mutilata possa mantenersi fedele per propria scelta: nella pratica, le mutilazioni sessuali riducono la sensibilità, ma non il desiderio che dipende dalla psiche.
4. Credenze sull’igiene, estetica e salute:
le ragioni igieniche si basano sul concetto che i genitali femminili esterni siano “sporchi”: in alcune culture si pensa che, se il clitoride non viene asportato, i genitali possano continuare a crescere fino ad arrivare a “pendere” tra le gambe.
Altri gruppi credono che il contatto del clitoride, ritenuto un organo aggressivo, sarebbe pericoloso per l’organo maschile e che se il clitoride toccasse il capo del neonato durante il parto, ne causerebbe la morte (Mali, Kenya, Sudan, Nigeria).
5. Religione:
la pratica delle mutilazioni genitali femminili è antecedente all’Islam e maggior parte dei mussulmani non la praticano.
Tuttavia nel corso dei secoli questa consuetudine ha acquisito una dimensione religiosa di matrice “islamica” in quanto le popolazioni africane, convertitesi all’Islam, hanno associato (per loro convenienza), l’importanza religiosa di nascondere e preservare il corpo della donna, solo per il proprio uomo che è contenuta nel messaggio Islamico, ricorrendo a queste pratiche.
Va aggiunto che il Corano non parla di queste mutilazioni; esistono solo alcuni hadith (detti attribuiti al Profeta) che ne fanno cenno; in un di essi si racconta come Maometto, vedendo praticare una escissione, abbia detto alla donna che la praticava: “quando incidi non esagerare, così facendo il suo viso sarà splendente e il marito sarà estasiato”.
Tipi di Mutilazioni genitali femminili Infibulazione, infibulazione “faraonica”.
Ri­guarda circa il 15% di tutte le mutila­zioni genitali in Africa ed è la forma più estrema: prevede il taglio del clitoride, delle piccole labbra e della porzione superiore delle grandi labbra che vengono poi fatte aderire e tenute assieme con una cauterizzazione così che, una volta cicatrizzate, ricoprano completamente l’apertura della vagina, a parte un piccolo orifizio che permetterà di far defluire l’urina e il sangue mestruale; per non ostruirne l’uscita durante il processo di guarigione viene inserita nella vagina una scheggia di legno e permettere così il passaggio dell’urina e del sangue mestruale.
A seconda dei diversi costumi, la ferita viene poi cucita con filo di seta, di crine o con spine d’acacia.
Per favorire la cicatrizzazione sulla ferita viene applicata una pasta a base di erbe, latte, uova, cenere e sterco, ed arse sotto la ragazza delle erbe aromatiche tradizionali o della linfa essiccata.
In seguito all’operazione, le gambe della ragazza vengono legate e lei viene immobilizzata per un periodo di circa 40 giorni finché la ferita della vulva non guarisce.
La validità dell’intervento si misura in maniera inversamente proporzionale alla larghezza del buco risultante: più è piccolo (può arrivare alla grandezza della testa di un fiammifero), più è riuscita bene l’operazione.
Nella maggior parte dei casi viene praticata sulle bambine dai 2 agli 8 anni.
La prima notte di nozze la donna viene deinfibulata per consentire la penetrazione, e reinfibulata dopo ogni parto per ripristinare la situazione prematrimoniale.
Circoincisione, clitoridectomia, “sunna (tradizione) in arabo”. Consiste nell’asportazione del cappuccio del clitoride, talvolta può limitarsi alla scrittura della punta del clitoride con la fuoriuscita di sette gocce simboliche di sangue.
Escissione, “tahara (purificazione)”. Questo tipo sta in mezzo fra le due precedenti: consiste nel taglio del clitoride e nell’asportazione totale o parziale delle piccole labbra; Il tipo di mutilazione, l’età delle vittime e le modalità dipendono da molti fattori tra cui il gruppo etnico di appartenenza, il Paese e la zona (rurale o urbana) in cui le ragazze vivono:
nel Tigrai la mutilazione viene praticata sette giorni dopo la nascita, in altre zone alla prima gravidanza,
in Nigeria sono le neonate a subire la mutilazione,
in Uganda le adolescenti,
in Somalia linfibulazione è eseguita continuamente dai 2 anni fino ai 60 anni.
Esiste anche una altro tipo che si chiama Infibulazione al-Kabr (tomba) è, in realtà, uguale a quella di tipo faraonico solo che viene fatta sulle donne anziane benestanti e “religiose” che lo fanno prima di andare al Hajj (il pellegrinaggio a Mecca), che significa, per loro, smettere di avere rapporti sessuali con il proprio marito e si dedicata interamente alla preghiera ed ai riti religiosi, lasciando i beni ed i piaceri terreni, allontanandosi dalla vita sessuale anche nella vita coniugale.
Effetti fisici
Le mutilazioni genitali, ed in particolare l’infibulazione, possono anche rivelarsi mortali; spesso si verificano in­fezioni ai genitali e alle aree circostanti, frequenti sono anche setticemia, shock emorragico, a lungo andare la ritenzione di urina sviluppa infezioni che possono interessare sia il tratto urinario i reni e la vagina.
Il ristagno del flusso mestruale può provocare infezioni a carico all’apparato riproduttivo che possono portare alla sterilità.
Possono esservi inoltre danni permanenti agli organi vicini, ascessi e tumori benigni ai nervi che innervavano la clitoride.
Può essere veicolo di trasmissione il virus dell’epa­tite o dell’HIV. Le mutilazioni vengono effettuate in casa, a gruppi di ragazze della stessa età o appartenenti alla stessa famiglia servendosi di coltelli, lame di rasoi, coperchi di lattine, forbici e pezzi di vetro.
Solo i più facoltosi optano per strutture sanitarie in cui la mutila­zione è operata da medici in anestesia locale o totale.
Quando le ragazze diverranno adulte il loro primo rapporto sessuale sarà molto doloroso e spesso si renderà necessario praticare un taglio alle grandi labbra prima del rapporto sessuale.
Lo stesso dicasi per il parto, altrimenti il bambino non potrebbe uscire.
Dopo il parto le donne sono spesso infibulate di nuovo (vedi quanto scritto sopra a proposito della Somalia). L’allargamento e il restringimento dell’apertura vaginale ad ogni parto crea aderenze dolorose e cicatrici estese a tutta l’area genitale.
Effetti psicologici
Gli effetti psicologici delle mutilazioni sono più difficili da studiare di quelli fisici anche se l’infibulazione provoca spesso la frigidità sessuale o comunque notevoli problemi di carattere psicologi­co, spesso irreparabili.
Tutte le testimonianze raccolte parlano di ansia, terrore, senso di umiliazione e di tradimento, che possono avere effetti a lungo termine.
Fatti normali co­me il ciclo mestruale si trasformano in un vero incubo.
I rapporti sessuali sono dolorosissimi e le gravidanze una tortura. Alcuni esperti sostengono che lo shock ed il trauma dell’operazione possono contribuire a rendere le donne “più calme” e “docili”: qualità molto apprezzate nelle società che praticano le mutilazioni genitali.
Dove si praticano
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono almeno 135.000.000 le ragazze e le bambine che hanno subito mutilazioni sessuali e ogni anno se ne aggiungono altri 2.000.000.
Sono praticate soprattutto in Africa: Somalia, Etiopia, Egitto, Eritrea, Mali, Guinea, Sierra Leone ed in alcuni paesi del Medio Oriente (Egitto, Yemen, Oman, Emirati Arabi).
Altri casi di mutilazioni sono segnalati in alcune parti dell’Asia: Indonesia, India, Malesia, alcune zone del Pakistan.
Nelle Americhe e in Europa - compresa l’Italia (all’interno delle comunità di immigrati). Anche i Falasha (ebrei etiopi) praticavano l’infibulazione, non si sa se la effettuino anche dopo l’emi­grazione in Israele.
La prati­ca è rimasta in uso anche tra alcuni con­vertiti al cristianesimo, sebbene i mis­sionari europei abbiano sempre cercato di scoraggiarla.
Non ci sono studi sistematici sulla diffusione delle mutilazioni genitali femminili.
I dati riportati sono stati raccolti dalla ricercatrice olandese Fran Hosken.
Somalia 98% 3.773. 000
Gibuti 98% 196.000
Etiopia ed Eritrea 90% 23.940.000
Sierra Leone 90% 1.935.000
Sudan (nord) 89% 9.220.400
Mali 75% 3.112.500
Burkina Faso 70% 3.290.000
Costa d'Avorio 60% 3.750.000
Gambia 60% 270.000
Liberia 60% 810.000
L’infibulazione in Italia:
nel nostro Paese vivono circa 41.000 donne infibulate o escisse e 5.000 bam­bine “a rischio” in quanto appartenenti a comunità dove vengono praticate tali mutilazioni.
Questi sono i dati emersi da uno studio dei dott. Aldo Morrone e Gennaro Franco, presentati nell’ambito del sesto incontro internazionale “Cultu­ra, Salute, Immigrazione” svoltosi a Ro­ma nel novembre1999.
Negli anni no­vanta sono arrivate in Italia molte don­ne da paesi in cui l’infibulazione è la norma.
Medici e ostetriche si trovano di fronte a una nuova realtà; molte donne chiedono al medico che le ha deinfibula­te per farle partorire, di essere richiuse, come impone la tradizione del loro pae­se d’origine.
In altri casi, ci si rivolge al­le strutture sanitarie per riparare i dan­ni dell’infibulazione (È il caso del­le bambine adottate in Italia da piccole ma che avevano già subito la mutilazione).

Raccolto e composto da Alberto/Hurricane

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