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giovedì 12 maggio 2016

Il tamandua è il nuovo animale da amare


Il tamandua è un animale tenerissimo dell’America centrale e meridionale. Parente – cugino per l’appunto – del formichiere gigante si nutre di formiche e vive per lo più sugli alberi.
 Sì perché, a causa degli artigli lunghissimi, gli è impossibile poggiare le zampe correttamente sul suolo, ma l’evoluzione ha pensato anche a lui, permettendogli una buona sopravvivenza sulle fresche fronde.








Ma questo non è il luogo né il momento per parlare delle abitudini del tamandua, questa è la sede per innamorarsi di questo animale dolcissimo e simpaticissimo. 
Il tamandua è talmente lento che gli è impossibile litigare persino coi suoi simili, con i quali riesce a malapena a toccarsi nei momenti di scontro.
 In caso, invece, di tensione con altri tipi di predatori e minacce, riesce a emanare una puzza quattro volte più forte di quella emanata dalle puzzole per difendersi. 

 Ma la minaccia più grande, al momento, per questi esserini dolci e docili sono proprio gli esseri umani, che non si accontentano di vederli su internet, ma li vogliono in casa come animali domestici, cosa che va contro la legge e la moralità. 
Parliamo di un animale che, come abbiamo detto, vive in natura e sugli alberi e si ciba di animaletti e insetti che trova nel suolo, per tutte queste ragioni non è assolutamente addomesticabile. 

Fonte: http://www.blogdilifestyle.it/

Grenada - La splendida isola creola immersa nel Mar dei Caraibi


Grenada, la splendida isola del Mar dei Caraibi, ancora poco conosciuta e non ancora presa d'assalto dal turismo di massa. 

Scoperta da Cristoforo Colombo nel 1498, circa un secolo più tardi si trovò contesa tra inglesi e francesi. Alla fine vinsero i primi, e l'isola attraversò un periodo di forte sviluppo. 
La piena indipendenza dal Regno Unito arrivò solo nel 1974. 

Questa terra è anche conosciuta come “l'isola delle spezie", per la sua produzione massiccia di zenzero, cannella, noce moscata e chiodi di garofano. 

L'interno di Grenada è montuoso e impervio, con vette di origine vulcanica e pendii ricoperti da fitte foreste pluviali, corsi d'acqua e splendide cascate. Ma è la costa il vero spettacolo dell'isola, con le sue baie e le spiagge quasi deserte, dove la vita scorre tranquilla e le giornate sono ancora scandite dai pigri ritmi locali.
 La gente, da queste parti, sa conquistare il visitatore con la sua ospitalità, l'allegria e la voglia di fare festa.


La capitale St. George's si trova sulla costa meridionale dell'isola e appare come una caratteristica cittadina caraibica, che si estende attorno al pittoresco porto di Carenage. 
Percorrendo le stradine tortuose che dal porto si inerpicano sulle colline circostanti, si possono ammirare le tipiche case creole dai tetti rossi e godere di un panorama mozzafiato.
 La cittadina è uno splendido mix di edifici color pastello, abitazioni mercantili, magazzini e caffè.
 Il tutto contornato dalle verdi colline e inserito in una vivace atmosfera che ha il suo apice nell'area del porto, dove si concentra la vita sociale di St. George's. 
A ovest dell'area portuale si incontra il Grenada National Museum, dove ammirare oggettistica preziosa, che va dal vasellame amerindo, agli splendidi alambicchi per la distillazione del rum, alla vasca di marmo appartenuta a Giuseppina Bonaparte. 
A dominare la città, una serie di maestosi forti costruiti dai primi dominatori francesi, come Fort George, datato 1705, Fort Frederick, ottimamente preservato e Fort Matthew, che fu bombardato dagli americani nel 1983.


Le splendide spiagge dell'isola si prestano bene a praticare diversi sport, tra cui lo snorkelling attraverso il quale si possono ammirare le numerose specie di pesci. 
L'entroterra offre invece ottime possibilità per gli appassionati di trekking, come inoltrarsi nella foresta di Grand Etang e raggiungere la cima del monte Qua Qua, dal quale godere di un panorama unico sui Caraibi sud orientali. 

 Laura Tirloni

mercoledì 11 maggio 2016

Panama: la valle degli alberi quadrati


Sembra incredibile ma la meravigliosa valle degli alberi quadrati esiste davvero.
Si trova a Panama ed è un luogo incantato che sembra tratto dalle fiabe. 

Nella località di Cerro Gaital, non lontano dall’Hotel Campestre, si trova un gruppo di alberi con il tronco quadrato.
 Il tronco di questi alberi è quadrato alla base e via via diventa tondo mentre si sviluppa verso l’alto, donando agli alberi la forma a cui siamo abituati.
 Le origini di questo fenomeno al momento sarebbero sconosciute. A giudicare dalle immagini, la base degli alberi non ha dei veri e propri angoli retti ma ricorda comunque la forma di un quadrato piuttosto che quella circolare a cui siamo soliti pensare quando vediamo o immaginiamo un albero.
 La forma particolare è legata a fenomeni misteriosi? 
Secondo alcune ipotesi, i tronchi degli alberi sono quadrati, o quasi quadrati, alla base per via delle caratteristiche dell’ambiente in cui vivono.
 Gli stessi alberi potrebbero crescere con il tronco tondo in altri ambienti? 
 Gli esperti dello Smithsonian Tropical Research Institute li descrivono come alberi inusuali i cui tronchi tendono ad assumere una forma quasi quadrata. 
Le sezioni del tronco presentano anelli proprio di questo tipo anziché i classici cerchi concentrici.


Secondo Lawrence Dew e Jean P. Boubli ci troviamo di fronte alla quinta specie di alberi più diffusa a Panama che porta il nome di Quararibea asterolepis. 
Questi alberi si trovano anche in Brasile, Costa Rica, Perù, Ecuador e Venezuela.

 Più che di un vero e proprio mistero si tratta dunque di una delle innumerevoli meraviglie che la natura ci offre e che possiamo ammirare, se non durante uno dei nostri viaggi, almeno in fotografia.



Marta Albè

La questione migranti che portò Roma al collasso


Il 9 agosto del 378 d.C., ad Adrianopoli, in Tracia - nella moderna provincia turca di Edirne - si consumava una delle peggiori sconfitte militari mai subite dai romani: il massacro di 30 mila soldati dell'impero, guidati da Flavio Giulio Valente, perpetrato dai Goti, al seguito del re guerriero Fritigerno. 
Secondo gli storici, quella disfatta segnò l'inizio della catena di eventi che avrebbe portato alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, nel 476.

 Ripercorrere oggi gli eventi che portarono alla battaglia di Adrianopoli è interessante: secondo una lettura dei fatti di allora pubblicata su Quartz, all'origine della strage ci sarebbe stata la cattiva gestione, da parte dei romani, di un'imponente ondata migratoria di Goti avvenuta due anni prima. 
Gli stessi Goti che si sarebbero trasformati nei carnefici delle legioni dell'Urbe. 

 Nel 376 d.C., racconta lo storico Ammiano Marcellino, i Goti furono costretti ad abbandonare i propri territori (nell'attuale Europa orientale) spinti dagli Unni, "la razza più feroce di ogni parallelo", che premeva da nord sui loro confini.
 Il loro arrivo, "come un turbine, dalle montagne, come se fossero saliti dai più segreti recessi della Terra per distruggere tutto quello che capitava a tiro", provocò un bagno di sangue tra i Goti che decisero - come fanno oggi i siriani - di fuggire.


I Goti, guidati da Fritigerno, chiesero allora ai Romani di potersi stabilire in Tracia, al di là del Danubio: una terra fertile con un fiume che li avrebbe protetti da un'invasione unna.
 Quell'area era governata dall'imperatore Valente, al quale i Goti promisero sottomissione a patto che avessero potuto vivere in pace, coltivando e servendo i romani come truppe ausiliarie. 
In segno di gratitudine, Fritigerno si convertì anche al cristianesimo. 

 Inizialmente le cose sembrarono funzionare: i Romani, nei confronti delle popolazioni sottomesse, esercitavano abitualmente una strategia inclusiva.
 Preferivano farne cittadini romani e assimilarne la cultura, per evitare future ribellioni. 
Decine di migliaia di Goti (forse oltre 200 mila) guadarono il Danubio di giorno e di notte, imbarcandosi su navi e scialuppe di fortuna; molti di essi, per il gran numero, annegarono, e furono trascinati via dalle correnti.

 In base agli accordi, i Goti arrivati in Tracia sarebbero stati coscritti nell'esercito romano e avrebbero ottenuto la cittadinanza. Ma gli ufficiali militari che dovevano garantire loro supporto e provviste - un'antica rete di supporto ai migranti - si rivelarono corrotti e approfittarono dei mezzi stanziati per i nuovi arrivati, vendendo le provvigioni al mercato nero.
 Ridotti alla fame, i Goti furono costretti a vendere i figli come schiavi e a comprare carne di cane dai romani. 

 Le ostilità tra le due popolazioni crebbero. Il risentimento covato dai Goti li portò dal desiderare di divenire romani al desiderio di annientare i romani.
Fu con questa rabbia covata a lungo che sterminarono gli eserciti di Valente. E la battaglia fu l’inizio della valanga che travolse l’Occidente. Tanto che molti storici assumono il 9 agosto 378 come data spartiacque tra l’antichità e il Medioevo.


 Fonte: focus.it

martedì 10 maggio 2016

Vigée Le Brun, donna, artista e imprenditrice


Di solito quando si ammira un ritratto di Maria Antonietta, difficilmente si pensa al nome di Elisabeth Louise Vigée Le Brun (1755-1842), una delle migliori pittrici francesi del XVIII secolo e tra le più importanti artiste della Storia.

 Vigée Le Brun fu catapultata alla fama quando, all'età di 23 anni, fu convocata a Versailles per dipingere il ritratto di Maria Antonietta (1755-1793), di pochi mesi più giovane di lei. 

 La ragione del suo fascino è evidente: l'artista immortala i suoi soggetti in un dinamismo sospeso, come se fossero proprio rivolti al pubblico, nell'intento di completare una frase in una lunga e candida conversazione.


Il suo ritratto del Controllore Generale delle finanze Charles Alexandre de Calonne, dipinto nel 1784, mostra il soggetto in un ambiente sontuoso con un'espressione leggermente divertita e rilassata. 
Le Brun sfoggia un virtuosismo tecnico nel raffigurare molti tessuti difficili da dipingere – dal ricco broccato cremisi al raso di seta, dal pizzo alla penna d'oca per scrivere sulla scrivania dorata di Calonne e, per finire, alle mani sensuali e plastiche, che non smentiscono la sua mancanza nella formazione tradizionale.

 Spesso i ritratti soffrono di una certa rigidità, come fossero delle maschere. È il risultato inevitabile del modello, che adotta giustamente una postura autorevole; questo è comprensibile, poiché in quel periodo la maggior parte dei ritratti venivano commissionati a scopo di propaganda e solo successivamente venivano lasciati ai posteri. Inoltre, se si considera che tale posizione doveva essere mantenuta per lunghi periodi di tempo, non fa che aumentare la sfida dell'artista nel catturare il vero carattere dei soggetti. 
 La sopportazione della noia non viene mai presa in considerazione come fattore che possa compromettere la riuscita dei ritratti delle Altezze reali, o meno reali. 
Vigée Le Brun questo lo sa bene: vuole che i suoi personaggi vivano con lei una bella esperienza, e nelle sue memorie scrive che i suoi committenti devono sentirsi comodi.
 Questo è evidente se si osservano i suoi soggetti, quasi sempre appoggiati a qualcosa.
 Inoltre Le Brun riesce a conferire vivacità ed espressività ai suoi soggetti, anche quando non sembrano tali. 
Ad esempio, la pittura della Contessa Varvara Nikolayevna Golovina, (circa 1797-1800) cattura la viva curiosità della contessa stessa, un aneddoto che l'artista ha scritto nelle sue memorie.


La Baetker ha spiegato che è un tempo in cui è «molto importante essere capaci di dialogare con i propri clienti e intrattenerli; così facendo, in cambio si ottiene un'immagine più bella.
 Si deve presumere che questo sia uno dei motivi per il quale è così dotata nel ritratto e i suoi modelli appaiono così vivaci».




Vigée Le Brun non ha ricevuto una formazione tradizionale nel disegno, come invece è consuetudine per un artista maschile francese tra la metà del XVII secolo e la metà del XIX.
 A quel tempo i pittori devono studiare i nudi maschili ma lei no, con conseguenti difficoltà in anatomia.
 Suo padre è un abile pastellista, il cui lavoro deve essere stato per lei una fonte d'ispirazione, anche se muore solo quando Vigée ha solo 12 anni. 
Tuttavia, essendo già adolescente, Vigée sostiene le finanze familiari con l'arte.
 Dall'analisi delle sue memorie, emerge un interesse per la musica e il teatro, ed è anche un'abile conversatrice; tutte qualità che le conferiscono un certo grado di accettazione negli ambienti altolocati. E a giudicare dai suoi autoritratti, Vigée è dotata di grazia e bellezza.




In mostra al Metropolitan di New York sono esporti almeno tre autoritratti (tra cui quella che dipinse nel 1790 a Roma) che divennero il suo biglietto da visita, dopo la fuga dalla Francia. 

Quando nel 1792 scoppia la rivoluzione nel Paese, il suo sodalizio con la famiglia reale diviene un peso e il suo 'Autoritratto durante un viaggio in costume' (1789-1790) mostra la sua tristezza dopo la fuga dalla Parigi rivoluzionaria nell'autunno del 1789. 
Costretta a divorziare dal marito e senza accompagnamento, Vigée Le Brun viaggia con la figlia di nove anni e una governante in carrozza pubblica, prima in Italia e poi in tutta Europa. 
 Vigée Le Brun lavora in Italia, Austria, Russia, Germania e Inghilterra, ottenendo all'estero una considerazione unica.
 Tra i suoi mecenati spiccano Caterina la Grande, il reggente di Polonia e anche una delle sorelle di Napoleone.

 Il suo successo al di fuori della Francia non è inferiore rispetto all'apice della sua carriera in Francia, e continua fino al 1820. Muore alla veneranda età di 87 anni. 

 Vigée Le Brun, grazie al suo intelletto acuto e alla passione per la pittura – che lei stessa afferma essere cresciuta con l'età – è riuscita a superare tutte le limitazioni legate alla sua condizione di donna, all'età e all'istruzione.
 È un'ambasciatrice dell'arte visiva, che fa scorgere rapide e vivide occhiate in un tempo che continua ad affascinare. 

 Fonte: http://epochtimes.it/

lunedì 9 maggio 2016

Ecco la mummia egiziana piena di tatuaggi


Altro che gli hipster di oggi.
 I tatuaggi appena scoperti su una mummia egiziana di sesso femminile sono stati eseguiti più di 3mila anni fa: lo ha appena spiegato, nel corso del meeting annuale della American Association of Physical Anthropologist, Anne Austin, bioarcheologa della Stanford University in California, la scienziata che per prima ha notato gli strani disegni sul corpo della donna.






Si tratta, come spiegano sul blog di Nature, dei primi tatuaggi (tra quelli rinvenuti su un corpo mummificato) che rappresentano oggetti reali, tra cui fiori di loto, mucche e scimmie. La maggior parte dei tatuaggi rinvenuti finora, invece, rappresentavano per lo più motivi di punti o linee.
 Il disegno che spicca di più, tra tutti, è quello che rappresenta i cosiddetti wadjet eyes, un paio di occhi che si ritiene siano simbolo di protezione contro il male e che sono tatuati su collo, spalle e schiena della mummia. 
“Da qualsiasi angolazione guardiate questa donna”, ha spiegato Austin, “potete vedere due occhi divini che vi osservano”.
 La scienziata ha notato i tatuaggi lavorando per il French Institute of Oriental Archaeology, mentre sottoponeva la mummia a scansioni con luce infrarossa.
 Per la precisione, la mummia ospita più di 30 tatuaggi, tutti di profondo significato religioso. 
Le mucche, per esempio, sono associate al culto della dea Hator, una delle più importanti dell’antico Egitto.
 Tra l’altro, la pratica non deve essere stata semplicissima: “L’applicazione dei tatuaggi”, conclude Austin, “ha richiesto di sicuro molto tempo ed è stata, in diverse parti del corpo, molto dolorosa”. 

 Fonte: wired.it

Spiaggia nera di Sandcut: a Vancouver un posto veramente suggestivo


Quando la natura si mette d’impegno, riesce a realizzare veramente dei capolavori. 
Purtroppo, però, spesso gli uomini non riescono ad apprezzare e godere a pieno di quelle che sono semplicemente delle opere d’arte naturali. Posti nei quali il fascino si mescola ad alcune particolarità caratteristiche di un determinato luogo. 

La spiaggia di Sandcut è certamente uno fra questi. Sita a Vancouver, in Canada, offre infatti un doppio spettacolo a chi si trova a visitare questo territorio dal grande charme: sabbia nera come la pece, accompagnata a una cascata che dalle scogliere circostanti si getta direttamente nell’oceano. 
Un’atmosfera veramente particolare in un paesaggio quasi sovrannaturale. 

La spiaggia nera di Sandcut non è molto frequentata, anche in considerazione del fatto che i vicini Stati Uniti offrono dei luoghi di villeggiatura molto gettonati e che spesso vengono presi d’assalto dai turisti, però, a quanti decidono di visitarla si presenta veramente un piccolo grande capolavoro.




 Trovare una spiaggia nera è già di per sé raro, ma se poi a questo si abbina la cascata che cade a strapiombo direttamente nell’oceano, ecco trasformata una rarità in una meraviglia da ammirare, preservare e custodire.
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