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mercoledì 26 febbraio 2014

Il rivelatore di terremoti di Zhang Heng

Il patrimonio di osservazioni sui fenomeni naturali che ereditiamo dall’antichità è considerato dalla scienza moderna, almeno in settori come l’astronomia e le scienze della terra, di grande interesse.
 L’opera di questi “astronomi senza telescopio” è ritenuta preziosa non solo perché di grande accuratezza ma, soprattutto, perché testimonia di eventi sporadici come le supernovae e copre tempi molto lunghi, fornendoci informazioni su fenomeni lenti non rilevabili dai dati ricavati dall’uso sistematico del telescopio che hanno al più quattrocento anni. 

L’orbita della cometa di Halley, la variabilità delle macchie solari e la rotazione della Terra sono solo alcuni esempi in cui l’analisi delle antiche misure di babilonesi, arabi e cinesi ha dato un contributo importante alla comprensione dei fenomeni coinvolti.
 Un altro settore di studi in cui risultano utili le antiche registrazioni e che, purtroppo, in questo periodo è di grande attualità, è quello relativo ai terremoti.

 Il Giappone, per la sua posizione all'interno della cosiddetta Cintura di Fuoco del Pacifico, un’area estesa per circa 40.000 Km tutto intorno all'oceano Pacifico e caratterizzata dal triste primato di ospitare circa il 90% dei terremoti mondiali, convive da sempre con questi fenomeni sconvolgenti. Ma è la Cina a subire i terremoti più disastrosi, pur essendo distante dalla zona in cui ha sede il fenomeno della subduzione, cioè dello scivolamento delle placche l’una sotto l’altra, che è alla base dei terremoti disastrosi di questi giorni.
 Secondo l’USGS (United States Geological Survey), un’agenzia scientifica governativa che ha lo scopo di studiare il territorio degli Stati Uniti ma che gestisce anche il National Earthquake Information Center, organismo che fornisce informazioni circa la posizione e la magnitudo dei terremoti di tutto il mondo, tra i primi dieci terremoti del XX secolo e di questo scorcio di XXI in base al numero di vittime dichiarate (e di solito le stime sono sempre per difetto) cinque sono avvenuti in Cina e, tra questi, quello che ha colpito la città industriale di Tangshan il 28 luglio del 1976 provocando 255.000 morti.
 Non è strano, quindi, che oggi la più estesa e completa serie di registrazioni di terremoti sia dovuta proprio agli studiosi cinesi. 
Dai loro minuziosi resoconti apprendiamo che uno degli eventi sismici più catastrofici di tutti i tempi fu quello del 2 febbraio 1556 che coinvolse soprattutto le regioni confinanti dello Shansi, dello Shensi e dell’Honan, nel nord della Cina, e che provocò più di ottocentomila vittime. 

 In una terra da sempre martoriata da eventi tanto distruttivi possiamo immaginare l’interesse che suscitò la messa a punto di un hou fêng ti tung i ovvero (per quei pochi che non conoscono il cinese) di una “banderuola segnavento per terremoti”, qualcosa di simile a un moderno sismografo.
 Una realizzazione della quale non è rimasta che una dettagliata descrizione e il nome del suo inventore, il matematico, astronomo e geografo Zhang Heng. 
 Astronomo reale della dinastia Han per molti anni, Zhang Heng è noto per aver tracciato una delle prime mappe stellari, per la spiegazione corretta del fenomeno delle eclissi lunari e per l’uso di buone approssimazioni di π nella sua opera di astronomia Ling xián. Fu anche letterato e artista, tanto da essere considerato uno dei sei maggiori pittori del tempo.
 Ma sicuramente la fama la deve allo strumento perfezionato nel 132 d.C. che poté sicuramente mettere alla prova in occasione dei terremoti che colpirono la capitale nel 133, nel 135 e, soprattutto, nel grave sisma del 138 di epicentro lontano dalla sede imperiale ma utile per verificare la sensibilità dello strumento in questi casi.



Come tutti gli oggetti che appartengono alla cultura cinese anche il rivelatore di terremoti di Zhang Heng aveva caratteristiche decorative piuttosto appariscenti. 
Com’è possibile leggere nella cronaca cinese Hou Han Shu lo strumento era costituito da «un recipiente di fine bronzo fuso, simile a una giara da vino […] la superficie esterna era ornata con antichi caratteri da sigillo e con disegni di montagne, tartarughe uccelli e animali. […] Fuori dal recipiente stavano otto teste di drago, le bocche serrate su una sfera bronzea, mentre attorno alla base erano assisi otto rospi con le bocche aperte».


Il meccanismo di funzionamento, all’interno del vaso, era costituito da un pendolo collegato a otto bracci mobili ognuno connesso, a sua volta, a una manovella atta a comandare il movimento della bocca di un drago e dotata di una funzione di bloccaggio.
 Ricevuta una scossa, l’oscillazione del pendolo metteva in azione uno degli otto bracci che consentiva alla manovella di far aprire la bocca del drago che così lasciava cadere la sfera nella bocca del rospo sottostante.
 Il meccanismo di bloccaggio impediva qualunque altro movimento successivo. 
Avvertiti dal suono acuto provocato dalla caduta della sfera, gli addetti allo strumento potevano stabilire immediatamente la direzione e il verso della scossa e, con considerazioni aggiuntive relative alla durata dei tremiti preliminari, alcuni studiosi moderni suggeriscono che probabilmente si poteva pervenire a una stima della distanza del sisma, anche se la descrizione che troviamo nel Hou Han Shu è piuttosto confusa su questo fatto.

 I tentativi di ricostruzione di questo antico strumento hanno messo in luce alcune difficoltà interpretative dei testi originali che lo descrivono. 
 Il geofisico giapponese Imamura Akitsune, ad esempio, ritiene che il pendolo interno non fosse sospeso, come sostenuto da altri, ma fosse un pendolo invertito, ritenendo che nel primo modo il meccanismo d’immobilizzazione dello strumento non sarebbe stato in grado di impedire ulteriori movimenti dovuti alle onde trasversali. Nel modello da lui proposto sopra la massa pendolare è collocato un perno che, in caso di scossa, andrebbe a incastrarsi in una delle otto fessure di una piastra soprastante.
 È uno strumento, quello di Imamura, che pur nella maggiore semplicità e affidabilità della misura, non tiene conto della precisa menzione del movimento delle teste di drago che nella sua versione è assente.

 In ogni caso lo strumento di Zhang Heng, che qualcuno preferisce considerare più un sismoscopio che un vero e proprio sismografo, a causa della limitata capacità di registrazione delle scosse (data l’impossibilità di misurarne intensità e durata), venne all’epoca considerato molto importante.
 Esso è citato non soltanto nelle biografie di Zhang Heng ma anche nel capitolo degli Annali che registrano i principali accadimenti durante il regno dell’imperatore Shun, dove si legge che uno strumento di questo tipo venne installato nell’Ufficio per l’astronomia e il calendario e che il suo autore era proprio il Thai Shih Ling (astronomo reale)
.

Tale successo ufficiale lo possiamo spiegare, oltre che con il prestigio di cui Zhang Heng godeva, anche con le necessità informative di un governo centralizzato, in un paese bersagliato da frequenti eventi sismici di notevole portata.

 Si legge, infatti, nelle cronache Hou Han Shu che «una volta uno dei draghi lasciò cadere una sfera benché non si fosse avvertita nessuna scossa percettibile. Tutti gli studiosi della capitale rimasero stupefatti […] Ma qualche giorno dopo giunse un messaggero che recava notizie di un terremoto nel Lung-Hsi». 
Uno strumento potente, quindi, utilissimo per aumentare l’efficacia del governo dell’impero. 
Avere in anticipo la notizia di un terremoto in una provincia lontana avrebbe facilitato i funzionari nell’organizzazione dei soccorsi dando loro il tempo di prendere tutte le misure atte a far fronte ai disordini che ne potevano derivare. La seconda un’esigenza decisamente prioritaria.

Fonte:  http://giovanniboaga.blogspot.it/

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