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mercoledì 7 novembre 2012

L'ultima spedizione di Robert Scott

La sua nave, la Terra Nova, lasciò il Tamigi il 1° giugno 1910 e si diresse a Wellington nella Nuova Zelanda. La Terra Nova si. imbatté nelle consuete difficoltà e superò con fatica la barriera del pack. Scott aveva scelto come punto di partenza lo stretto di McMurdo e procedette con tutta calma. Un anno intiero fu speso in ricerche scientifiche, esplorazioni, viaggi di addestramento e altre, attività fisiche e intellettuali. Una eletta compagnia dei piú valorosi giovani e di uomini alquanto anziani si intrattenne in un tipico cameratismo e con un inesauribile humor britannico; Scott ne ha lasciato un quadro indimenticabile, che insieme è di un gran valore letterario, un'opera magistrale nel vero senso della parola. Il libro di Scott riflette fin da principio la sua grandezza d'animo, che pone l'autore al di sopra della maggior parte degli uomini; e sotto questo aspetto egli ebbe la fortuna di trovare degli uguali. Anche gli altri membri della spedizione si presentano attraverso la descrizione del capo pieni di movimento e di verità; e si finisce per amarli tutti indistintamente. Un gran numero di spedizioni di grande e piccola portata venne eseguito prima che Scott si decidesse ad arrischiare l'ultimo gran passo e a partire per il Polo. Come suoi compagni di viaggio egli designò i seguenti: il capitano di cavalleria Oates, dei Dragoni irlandesi; il luogotenente Bowers, della Regia Marina, che portava il soprannome di « Birdie », uomo di ottimismo invincibile, il piú sventato burlone; poi il dottor Wilson e l'ufficiale di coperta Evans. Ma prima ancora che il capitano Scott partisse per la spedizione al Polo, i suoi uomini furono raggiunti dal primo colpo del destino. La Terra Nova aveva fatto un viaggio di esplorazione al confine dei ghiacci e vi aveva scoperto il campo di un'altra spedizione. Concorrente alla gloria di scopritore del Polo era Amundsen, un rivale pericoloso. Immediatamente tutto cambiò aspetto : non si trattava piú di raggiungere soltanto il Polo : gli Inglesi dovevano essere i primi. Era una questione di orgoglio nazionale. La Gran Bretagna aveva fatto piú di qualsiasi altra nazione per l'esplorazione del piú desolato e pericoloso paese del mondo, e doveva aver l'onore di salutare i suoi figli come vincitori del Polo Sud, che si trovava in terreno inglese. Immediatamente il gesto di Shackleton, che aveva innalzato la bandiera dell'Impero su quella terra, assunse un significato simbolico quasi minaccioso: bisognava vincere a tutti i costi...

Il 1° novembre 1911 avvenne la partenza, ma la marcia cominciò male. Seguendo l'esempio di Shackleton, Scott si era provvisto di ponies della Manciuria come animali da tiro per le slitte. Nelle piú svariate escursioni si comportarono bene, ma ora le loro forze si dimostrarono insufficienti. Il tempo fu straordinariamente cattivo anche per quel paese « abbandonato da Dio »; le tempeste di neve infuriavano quasi senza fine in temperature spaventosamente basse, arrestando la marcia dei cinque compagni. Se Shackleton si era trovato male, Scott fu ancora piú sfortunato; se i calcoli di tempo di Shackleton erano Stati abbattuti per difficoltà incontrate nel procedere, il computo di Scott, fatto tenendo conto delle cattive esperienze fatte da Shackleton, si trovò che concordava ancora meno. La marcia si prolungava, l'angoscia mortale di giungere troppo tardi li spingeva anche esauriti in avanti. Riuscí loro di rialzarsi sempre di nuovo con energia sovrumana e Bowers nemmeno qui si perdette di spirito; ma la continua tensione spirituale implicava uno sciupio di forze, che infine doveva portare alla rovina.

Lentamente procedevano, camminavano e strisciavano, si arrampicavano e scivolavano, inciampavano e cadevano, sempre piú vicini al Polo: ancora pochi giorni di viaggio e lo avrebbero raggiunto... Essi stringevano i denti, un'energia brutale e una preghiera inespressa li pervadevano. Il Signore dei Cieli non permetta agli altri di trovarsi colà... Piú di una volta furono sul punto di impazzire; sempre li circondava la grigia ed infinita solitudine della neve, su cui scorreva con ululato desolato e monotono la tempesta nemica, sempre di contro a loro nei volti feriti, la cui pelle cadeva in brandelli, e il freddo atroce diventava fuoco d'inferno... Nessun lamento, no certo, qualche parola soltanto, una fuggevole osservazione fatta con quella freddezza britannica che sa nascondere tanto bene l'intima commozione. Due giorni ancora... ora la speranza aumentava; il ghiaccio era infine diventato migliore ed essi procedettero relativamente veloci... Vinceranno? Forse fra poco la bandiera inglese sventolerà sul punto piú meridionale della Terra! Un giorno ancora di marcia; il piú difficile di tutti, sebbene si discendesse; di nuovo anche qui la tempesta, che cancellò presto le tracce della marcia dei Norvegesi; ancora pochi chilometri e sarebbero giunti alla mèta. Il luogotenente Bowers si mise la mano sugli occhi. Che cosa era avvenuto? Una bandiera nera che sventolava su un pattino di slitta. E allora tutto era finito... Erano battuti, e l'Inghilterra era privata dell'onore della scoperta. Ma avevano fatto tutto quello che stava nelle loro possibilità; questa era l'unica consolazione. Si trovavano davanti ad un accampamento del vincitore della gara : tracce di sci e di cani, solchi di slitte...

Sul Polo Sud trovarono eretta una tenda. Amundsen era stato molto accorto e aveva persino lasciato una lettera per Scott con una relazione del suo viaggio. I Norvegesi avevano determinato esattamente la posizione del Polo e avevano indicato il suo punto con un pattino di slitta infisso nella neve. Scott mise nella tenda un documento che dava notizia del suo viaggio e di quello dei suoi compagni; issò la bandiera inglese e quindi ripiegò per il ritorno.

Questo ritorno fu un martirio che piú spaventoso non è stato forse mai imposto, ma certo mai è stato piú eroicamente sopportato. Le condizioni del tempo e del terreno si fecero cattive e sempre peggiori; e per soprappiú la scarsezza dei viveri in conseguenza del troppo, tempo impiegato. Il 17 gennaio erano stati al Polo; ora incalzavano í giorni, le ore, dovendosi infatti coprire 1500 chilometri per raggiungere l'accampamento.. Le loro forze erano 9uasi esaurite, e tuttavia non si poteva far altro che diminuire le razioni e prolungare íl tempo di marcia. Peggio di tutti stava Evans; una ferita alla gamba gli ren deva difficile il procedere, ma, cosa ancora peggiore, il suo spirito si ottenebrava... Ad una ventina di chilometri da un deposito di viveri, quando il tempo perfido faceva discendere la molle e ondeggiante m_ ve e non si poteva quasi piú procedere nel soffice tappeto, il destino vibrò il suo colpo. Evans era rimasto sempre piú indietro..., malato mortalmente, esaurito, sfinito... Gli altri, notato il suo ritardo, si precipitarono, per quanto era loro possibile, al suo soccorso, e trovarono un folle, che si era semi strappato il vestito e si trascinava ginocchioni nella neve, ansimando. Lo rialzarono, -ma un colpo apoplettico lo respinse privo di coscienza dalle braccia che lo sorreggevano. Nella notte mori. Avanti... Tempesta, -freddo; si raggiunse un deposito, e almeno si ebbe qualcosa da mangiare. Ma la tempesta ricominciò, dal Nord, ora, 42 gradi di freddo, e un uragano... Nella tenda Oates fece sapere agli altri, calmo e obbiettivo, che anche per lui era finita, ma che non voleva minimamente ostacolare il cammino dei suoi compagni e che desiderava esser lasciato nel suo sacco per dormire... Gli altri vollero portarlo con loro, senza perdere troppe parole... Ma egli barcollò, cadde... Aveva ragione. Non ne poteva piú... Dormi un poco, poi si riscosse, e si strascicò all'uscita della tenda. Sarebbe uscito un momento, disse indifferentemente. Come? Oh, no, gli altri non dovevano trattenerlo... Scomparve nella tempesta e nella neve. Gli altri si guardarono. Lo capirono fin troppo bene e rispettarono la sua decisione. Per Oates il pensiero di dare un peso agli amici era insopportabile. Cosi, valoroso fra i valorosi, se ne andò con un amichevole sorriso di commiato, muto, verso la morte bianca. Avanti... Sempre lo stesso : la tempesta soffiava contro di loro e li ostacolava... Dovevano sostare sempre piú spesso, si sciupava sempre piú un tempo prezioso, faceva sempre piú freddo, 'le forze li tradivano sempre più di frequente. Sapevano d'aver perso la partita e insieme la vita. Non lo dicevano, no, perché non si dice nella di quello che agli altri, ai compagni, può riuscire forse sgradito... Procedevano barcollando ma senza nessuna speranza, muti, eroici... Poi fini il combustibile e non fu piú possibile di prepararsi qualcosa di caldo... La fine giunse quando non vi furono viveri che per due giorni e non vi era più possibilità di raggiungere il prossimo deposito. Restarono nella loro tenda, nei loro sacchi per dormire, parlarono ancora un poco, le ultime ore con voci sommesse, e tacquero a poco a poco, chinarono it capo e si addormentarono per sempre..." Per primo Bowers, l'allegro Bowers, poi Wilson; Scott sopravvisse agli altri estinti alcune ore, continuando il suo diario, finché, rimasto indomito anche se battuto dal destino, fece per la prima volta sera quella vecchia frase : scrisse finché la morte gli strappò la penna dalle mani. Quando vide 'che l'ultimo istante era prossimo, aperse il sacco per dormire e cinse col braccio Wilson che riposava accanto a lui.
L'ultima frase del suo diario raccomanda la consorte alla nazione « Per amor di Dio abbiate cura -di mia moglie »... La chiarezza del pensiero non lo abbandonò nemmeno in questo supremo istante in cui la vita si spegneva; cancellò accuratamente la parola « moglie » e ve ne sostituì : vedova »... La logica del morente era dì una glaciale chiarezza, in tutto simile alla località di quella morte di un eroismo mistico... Due distaccamenti della spedizione cercarono gli scomparsi, ma dovettero ritornare senza aver trovato nulla. Solo nell'estate seguente, quasi nove mesi piú tardi, si riuscì a raggiungere la tenda degli estinti. Il diario di Scott si trovava in una tasca sotto la testa del morto; sul suo volto una espressione di grande pace. I cadaveri furono seppelliti, ma l'ultimo diario, reliquia della nazione inglese, si trova nel British Museum di Londra: e si trovano sempre uomini a capo scoperto davanti alle parole che il piú umano e il piú sovrumano di tutti gli eroi dell'esplorazione polare indirizzava alla sua patria. 


 Tomba di Scott, Wilson e Bowers

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