web

mercoledì 5 ottobre 2016

Sorprendente scoperta archeologica a Petra


Un giardino monumentale irrigato artificialmente e un’enorme piscina realizzati 2000 anni fa per celebrare la grandezza dei regnanti. 
È la sorprendente scoperta degli archeologi al lavoro nel sito di Petra, città situata nella parte sud occidentale della Giordania e antica capitale dei Nabatei.
 Questa popolazione, originaria della penisola arabica, poi divenuta sedentaria, era organizzata in una solida monarchia, che ebbe un ruolo fondamentale per il commercio carovaniero dall’Arabia all’Egitto e ai porti della Siria. 
 Tale scoperta è anche prova della grande capacità degli abitanti di Petra di gestire in modo ingegnoso ed esemplare il consumo di una risorsa tanto preziosa quanto scarsa in una città situata nel cuore del deserto: l’acqua. 
Grazie a un sistema idraulico avanzato, infatti, gli abitanti della città riuscirono non solo ad assicurarsi un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, a prescindere dalla stagione, ma anche a irrigare artificialmente il sontuoso giardino monumentale, attraversato da sentieri costeggiati da alberi, viti, palme e piante erbacee, e situato accanto a una piscina a cielo aperto larga 44 metri, alimentata da un acquedotto. 
 “La piscina rappresenta il capolinea di un acquedotto che trasportava acqua da una delle sorgenti, ‘Ein Brak, situata sulle colline al di fuori di Petra”, spiega al quotidiano israeliano Haaretz, Leigh-Ann Bedal, docente di Antropologia al Penn State Behrend College. “L’architettura monumentale della piscina e il giardino verdeggiante celebravano visivamente il successo dei Nabatei nel fornire acqua alla città”.
 La piscina monumentale fu realizzata intorno I secolo a.C., ma già dal secolo precedente la costruzione di piscine era iniziata a diventare di tendenza.


Fotografia di Leigh-Ann Bedal 

 A Petra cadono dai 100 ai 150 millimetri di pioggia all’anno. 
Gli ingegneri nabatei avevano messo a punto complessi sistemi di irrigazione che raccoglievano l’acqua piovana e la conservavano in centinaia di cisterne sotterranee, assicurando così agli abitanti una fornitura continua di acqua potabile. 
Il complesso sistema di canali, tubazioni in ceramica, cisterne sotterranee e serbatoi che servivano a filtrare l’acqua, consentì alla popolazione di Petra di coltivare, produrre vino e olio d’oliva e costruire un sontuoso giardino monumentale con una piscina a cielo aperto in mezzo al deserto. 
Senza l’implementazione di tecniche per incanalare, purificare, pressurizzare e immagazzinare l’acqua, Petra non sarebbe potuta esistere.

 Petra si trovava all’incrocio di due importanti vie commerciali: una collegava il Mar Rosso a Damasco, l’altra il Golfo Persico a Gaza, sulle sponde del Mediterraneo. 
Le carovane cariche di spezie partivano dal Golfo Persico e giungevano a Petra dopo aver attraversato, per settimane, il deserto arabico.
 Arrivare finalmente nella capitale dei Nabatei significava avere da mangiare, un tetto sotto cui ripararsi e, soprattutto, potersi dissetare. Ma tutto ha un prezzo: lo storico romano Plinio racconta, nel XII Libro della Storia Naturale, che gli abitanti di Petra, oltre a pagare per il vitto e l’alloggio, dovevano elargire doni a guardie, sacerdoti e servi del re.

 Gli abitanti di Petra erano anche dei grandi costruttori: i Natabei scolpivano le proprie case, le tombe e i templi nella roccia.
 Era proprio una città di pietra, come suggerisce anche il nome, che significa “massa di roccia”.
 Il monumento forse più rappresentativo della città è El Khasneh Al Faroun, in arabo “Il tesoro”, monumento imponente scolpito in un’enorme parete rocciosa.
 Il nome deriva da una leggenda diffusa fra i Beduini nel IX secolo, che credevano che l’urna posta alla sommità del monumento contenesse il tesoro di un faraone.


All’interno dell’edificio c’è una piccola stanza, probabilmente utilizzata come tomba reale. 

Petra fu conquistata dai romani nel 106 quando, dopo la morte del re Rabbel II, il regno fu annesso all’impero per ordine di Traiano. Da quel momento, la sua importanza commerciale iniziò a scemare, fino a scomparire del tutto. 

 Fonte: www.nationalgeographic.it

martedì 4 ottobre 2016

Il calendario gregoriano e i 10 giorni persi


Il 4 ottobre 1582 la gente si coricò la sera di giovedì 4 ottobre e si risvegliò… venerdì 15 ottobre.
 Di colpo vennero cancellati 10 giorni.
 Persi non letteralmente, ma saltati con l'introduzione del calendario gregoriano, voluto da Papa Gregorio XIII, per aggiustare il calendario giuliano (promulgato da Giulio Cesare nel 46 a. C.) che nel corso dei secoli aveva accumulato un ritardo di 10 giorni sull’anno solare.
 Dato che un anno effettivo dura 365 giorni + 5 ore e 48 minuti, nei secoli questo scarto aveva fatto cadere l’equinozio primaverile l’11 marzo, con un anticipo di 10 giorni.
 Per andare in pari fu presa questa misura drastica.


I contadini pensavano che fosse un imbroglio dei signori per infinocchiare la povera gente.
 Accettarono il cambiamento quando i preti li convinsero che i santi avrebbero fatto miracoli secondo le date del nuovo calendario.
 Il calendario gregoriano è molto simile a quello giuliano (365 giorni all'anno con un anno bisestile ogni 4) che aveva sostituito. Ma per raffinare la durata media dell’anno, nel calendario gregoriano furono soppressi i bisestili degli anni centenari non multipli di 400 (il 2000 è stato bisestile, ma il 2100, il 2200 e il 2300 no).
 La riforma venne promulgata a febbraio del 1582 con la bolla Inter gravissimas dopo un lavoro di 4 anni del medico Luigi Lilio e dell'astronomo Cristoforo Clavio.


Tutti i calendari sono nati per misurare il tempo in base ai fenomeni astronomici che hanno cicli periodici: l’alternanza dei giorno e della notte, le fasi della Luna (il mese) e il susseguirsi delle stagioni (l’anno). Ma hanno un problema: non sono precisi (un anno solare dura esattamente 365 giorni + 5 ore e 48 minuti) e con il passare del tempo devono essere aggiustati. 

Nel 46 a. C. Cesare rimise in pari le date rispetto alle stagioni (l’equinozio primaverile cadeva all’inizio dell’inverno).
 Nacque il calendario giuliano (365 giorni con un anno bisestile ogni 4 anni). Ma per sistemare le date si stabilì che il 46 a. C. avesse 445 giorni.

 Anche il calendario gregoriano, non è preciso: lascia ancora sussistere un errore di circa 6 giorni ogni 10.000 anni. Ma è pur sempre il più preciso tra tutti quelli che abbiamo avuto.
 Oggi il calendario gregoriano è diffuso quasi ovunque, ma la sua accoglienza - soprattutto nei Paesi non cattolici - fu molto lenta. Spagna, Portogallo e Italia l'adottarono subito. Germania e Olanda nel 1700, l'Inghilterra soltanto nel 1752 e la Cina nel 1912.

 Oggi soltanto Etiopia, Nepal, Iran e Afghanistan hanno un calendario diverso; altri Paesi come India, Bangladesh, Israele, Pakistan e Burna accostano un calendario locale a quello gregoriano. 

L'Arabia Saudita (culla del wahabismo, l'interpretazione più rigorosa dell'Islam sunnita) ha deciso di abbandonare il tradizionale calendario musulmano Hijri, basato sui mesi lunari, ed in vigore fin dalla fondazione del regno nel 1932. 
Il 1 ottobre 2016 è passata al calendario gregoriano (solare) solo per quanto riguarda il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, che perderanno così 11 giorni di paga.

 Il calendario lunare Hijri si basa su 12 mesi di volta in volta di 29 o 30 giorni e dura al massimo 354 giorni.

 Storicamente la differenza tra calendario gregoriano e giuliano è visibile soprattutto nella “rivoluzione d’ottobre” del 1917, che nel calendario gregoriano avvenne in realtà a novembre. 
La Rivoluzione d’ottobre ebbe inizio, in effetti, la sera del 6 novembre 1917. Però, all’epoca, in Russia era ancora in vigore il calendario giuliano per il quale tale data corrispondeva al 24 ottobre.
 Il calendario giuliano fu infine abbandonato in Russia soltanto nel 1940.

 La Chiesa ortodossa ha sempre rifiutato il calendario gregoriano, opera di un papa cattolico, e tuttora segue quello giuliano. 
Questa discrepanza è visibile nelle feste religiose come il Natale, che nella Chiesa ortodossa è festeggiato il 7 gennaio, 13 giorni dopo il Natale cattolico.
 A tanto, infatti, è arrivato lo sfasamento tra i due calendari.


Per opporsi al calendario “papale”, nel 1793 i rivoluzionari francesi crearono un nuovo calendario nel quale i mesi si chiamavano Vendemmiaio, Nevoso, Pratile… 
Il calendario rivoluzionario durò fino al 1805, quando venne abolito da Napoleone. 

In Italia, con l'avvento del Fascismo venne introdotto l'effimero calendario fascista. 
Tutto rimase uguale, ma gli anni venivano contati anche a partire dal 28 ottobre 1928, data della Marcia su Roma.


Poiché non esiste nell’orbita terrestre nessun particolare punto che permetta di stabilire esattamente l’inizio e la fine di un anno, la scelta di una data precisa è in fondo arbitraria ed è mutata più e più volte. 
Anticamente l’inizio del nuovo anno veniva festeggiato in occasione dell’equinozio di primavera.
 In seguito mancò a lungo una data accettata da tutti: qualcuno faceva incominciare l’anno nuovo dal primo gennaio, qualcuno da Natale o da Pasqua.
 Naturalmente questo creava problemi.
 Soltanto nel 1564 l’allora tredicenne Carlo IX, re di Francia, rese obbligatoria la data del primo gennaio come primo giorno dell’anno.
 Questa scelta venne via via accettata anche dagli altri Paesi. 
Per esempio, in Gran Bretagna si continuò quindi a festeggiare l’inizio dell’anno il 25 marzo fino al 1751, lo stesso anno in cui venne accettato il calendario gregoriano.

 Da : focus.it

lunedì 3 ottobre 2016

Jal Mahal, l'affascinante palazzo che esce dall'acqua


Jal Mahal, conosciuto come anche come Palazzo dell’acqua è un suggestivo edificio in marmo che si trova nelle acque di un lago artificiale nella città rosa di Jaipur, nello stato del Rajasthan in India.
 Le sue origini sono avvolte da un velo di mistero, ma è risaputo che sia stato costruito dal Maharaja Madho Singh intorno al 18esimo secolo e che il figlio poi lo abbia fatto ampliare con l’aggiunta di un cortile.
 Per due secoli, Jal Mahal è stato vittima di abbandono e solo all’inizio del 2000 è stato ristrutturato e riportato al suo splendore.


La struttura è parecchio singolare: non ci sono stanze adibite ad alloggi, ma solo un ampia terrazza giardino dove il Maharaja amava passeggiare.




Il Palazzo dell’acqua è in realtà composto da cinque piani, ma solo il piano superiore è ben visibile tutto l’anno; quando l’acqua è più bassa è possibile scorgere anche i rimanenti. 
Anche lo stile architettonico è un mix di culture tra il Rajput tipicamente indù e il Mughal, fortemente influenzato da caratteristiche islamiche e persiane.


All’interno, i lunghi corridoi e le grandi camere sono decorati con dipinti ed incorniciati da torri semi ottagonali ed eleganti cupole. Una delle bellezze da ammirare è sicuramente il padiglione rettangolare in stile bengalese chiamato Chhatri.

 Il lago artificiale Man Sagar è stato costruito nel 1610 dall’allora governatore di Amer, Raja Man Sing in risposta a una carestia e carenza d’acqua che stava affiggendo lo Stato.
 Per molti anni, è stato fonte di sostentamento e habitat naturale di numerose e rare specie di uccelli.


Nel secolo scorso, il lago era diventato una discarica per le acque reflue e solo di recente, nel 2004 una società privata si è occupata della bonifica con l’intento però di trasformare il Jal Mahal in un resort lussuoso. 
Attualmente il Palazzo dell’acqua non è aperto al pubblico, ma si può ammirare in tutto il suo splendore durante un giro in barca.

 Dominella Trunfio

venerdì 30 settembre 2016

Termina la missione della sonda Rosetta


Rosetta addio, oggi alle 12:40 circa il D-Day della storica missione dell’Esa che ha portato per la prima volta una sonda su una cometa. Dopo quasi 12 anni di missione, Rosetta ci riserva di un finale straordinario, con una discesa controllata sulla superficie della cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko, calcolato nella zona di Ma’at.
 E questa avventura unica parla molto anche italiano.
 La sonda Rosetta, grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), è infatti frutto anche della capacità industriale e accademica del nostro Paese. 
Il colosso aerospaziale Leonardo ha gestito la progettazione e la realizzazione degli strumenti scientifici sviluppati con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, Università Parthenope di Napoli, Politecnico di Milano e l’Università di Padova-Cisas.
 Intanto per gli scienziati dell’Esa non è semplice prevedere come si evolveranno gli ultimi minuti di vita della sonda, quindi sono tutti col fiato sospeso.


E’ ormai è iniziato il conto alla rovescia per la conferma della fine della missione, prevista dalla sala di controllo principale dell’Esa alle 1320 circa ora italiana. 
A guidare Rosetta nel suo viaggio conclusivo sulla cometa è Andrea Accomazzo, Capo della divisione Missioni Interplanetarie dell’Esa. 
Rosetta è ‘lanciata’ verso la sua cometa 67/P intorno alla quale è in orbita da due anni, cioè dal 6 agosto 2014, quando ha raggiunto l’obiettivo della missione dopo un viaggio lungo dodici anni.

 La missione di Rosetta è iniziata il 2 marzo 2004 e da quel giorno la sonda ha compiuto una lunga strada attraverso il sistema solare. Circa tre mesi dopo il suo arrivo intorno alla cometa 67/P, la sonda ha rilasciato il lander Philae approdato sul corpo celeste il 12 novembre 2014. 
“Dopo due anni con la cometa, inviando informazioni di una ricchezza scientifica senza precedenti durante il suo massimo avvicinamento al Sole, Rosetta e la cometa si stanno ora dirigendo di nuovo oltre l’orbita di Giove” spiegano gli scienziati dell’Esa. Viaggiando “sempre più lontano dal Sole come non mai prima, ed affrontando una significativa riduzione dell’energia solare, che è necessaria affinché sia operativa, il destino di Rosetta è fissato: seguirà Philae sulla superficie della cometa” aggiungono.

 In questi anni di lavoro nello spazio, Rosetta ha fornito “molti indizi importanti per gli scienziati, indizi – rileva l’Esa – da mettere insieme per risolvere le questioni chiave in materia di origine ed evoluzione della cometa, il suo posto nel sistema solare primordiale ed il possibile ruolo delle comete nel trasportare ingredienti considerati cruciali per la comparsa della vita sulla Terra, tra cui acqua e materiali organici“.

 Rosetta sta continuando a raccogliere importanti dati scientifici durante la complessa manovra, iniziata ieri e gestita nella sala di controllo principale dell’Esa a Darmstadt, in Germania, dal team Esoc (European Space Operations Centre), supportato da personale di Telespazio Vega Deutschland, società controllata da Leonardo-Finmeccanica coinvolta nel programma Rosetta dalla fine degli anni ’90, quando Esoc iniziò la pianificazione della missione. Queste ultime ore di discesa della sonda verso la sua cometa, “danno a Rosetta un’occasione unica per fare molte misurazioni, compreso analizzare gas e polvere il più vicino alla superficie della cometa che sia mai stato possibile finora, e scattando immagini ad alta risoluzione del nucleo della cometa, compresi i pozzi aperti della regione di Ma’at dove è previsto avvenga il suo impatto controllato con la cometa” assicura l’Esa. 
Questi dati, evidenzia l’Agenzia Spaziale Europea, “dovrebbero essere trasmessi durante la discesa e fino al momento dell’impatto finale, dopo il quale le comunicazioni con la navicella non saranno più possibili“. 
E per Rosetta sarà ‘game over’. 

 Fonte:www.meteoweb.eu

Il "Drago d'argento" del fiume fiume Qiantang


Anche quest'anno il "Drago d'argento", un fenomeno naturale che interessa il fiume Qiantang, nella regione cinese di Zhejiang, non ha deluso le aspettative. 
Il corso d'acqua è infatti interessato da gigantesche onde "di ritorno" che si formano, complice la marea, alla foce del fiume e assumono dimensioni impressionanti . 
Il fenomeno è noto da centinaia di anni e si verifica a partire dal diciottesimo giorno dell'ottavo mese lunare cinese.
 Dura circa una settimana e attrae ogni anno oltre 100 mila turisti. Ma che cosa accade, di preciso? 
 Questa onda anomala chiamata, in gergo scientifico, mascheretto (mascaret, in francese), è dovuta alla resistenza opposta dalla corrente del fiume alla grande massa d'acqua proveniente dal mare che, spinta dalla marea, prova a risalirne il corso.
 Quando il fronte d'onda marina raggiunge l'estuario, l'acqua si incanala nel fiume e lo percorre "al contrario", creando turbolenze capaci di generare tsunami alti diversi metri.


Il fenomeno non riguarda soltanto il fiume Qiantang ma anche altri importanti corsi d'acqua come il Rio delle Amazzoni, il Severn (in Gran Bretagna) o il Brahmaputra, che sfocia nel Golfo del Bengala (Oceano Indiano). 
 Nel Qiantang però assume dimensioni importanti, con onde che possono toccare diversi metri di altezza e i 40 km orari di velocità. Nel 2016 si è finora parlato di onde alte un paio di metri.
 Nel video qui sotto girato qualche giorno fa, potete vedere il mascheretto avanzare e crescere improvvisamente mentre raggiunge gli argini, cogliendo la folla di sorpresa.

 

Il fenomeno è particolarmente frequente durante la Festa di metà autunno dell'anno cinese, quando la Luna è piena e l'attrazione gravitazionale che esercita sulla Terra è massima. 
Questa forza, e la forza centrifuga del sistema Terra-Luna fanno sì che le maree siano particolarmente intense. 
 In questo periodo e per circa una settimana, la città cinese di Haining, dove il fenomeno è particolarmente evidente, viene presa d'assalto da curiosi, fotografi e surfisti che provano ad assistere allo spettacolo (e talvolta a cavalcare l'onda). 
 Quest'ultima attività è naturalmente molto pericolosa ed è capitato in passato che qualcuno sia morto annegato. 
Quest'anno fortunatamente non sembrano esserci stati incidenti di rilievo.


Da lontano, l'onda in avvicinamento somiglia a una falce di Luna color argento. 
Quando si infrange sulla riva, sembra una marea nera come la pece. I locali la chiamano infatti Silver (o Black) Dragon, dragone d'argento (o nero). 

 La caratteristica che rende l'onda così magnetica e spettacolare è proprio la sua imprevedibilità, una capacità di trasformazione che spesso, in passato, è stata sottovalutata dalle autorità. 
Nel 1993, quasi 60 persone persero la vita mentre assistevano all'arrivo del mascheretto.

 La forma triangolare della baia di Hangzhou, dove l'onda si forma, contribuisce a incanalare l'acqua, rendendo il fronte così energico e turbolento. 
Talvolta l'onda forma un "muro" inclinato facilmente surfabile. Altre volte si disintegra in una schiuma turbolenta e alta come un palazzo di due piani.
 A complicare le cose c'è il fatto che il fiume è trafficato di barche, moli, strutture in cemento. 
Tutte barriere che rendono i tentativi di domare l'onda vicini a una corsa ad ostacoli.
 Oggi l'impresa è riservata a pochi, intrepidi stuntman sprezzanti del pericolo. 
In passato, si racconta che alcuni provassero a surfarla senza tavola, nuotandole appresso.

 Fonte: focus.it

mercoledì 28 settembre 2016

Il segreto dei pasti "light" delle balene


I più grandi animali marini si nutrono di creature spesso più piccole di una graffetta: come fanno a sostentarsi? 
Un nuovo studio dell'università di Stanford (California) pubblicato su Current Biology offre uno spaccato più che mai dettagliato sulle abitudini di pasto delle balenottere.

 I sensori di pressione, gli accelerometri e i registratori di suoni sono usati nello studio dei cetacei da almeno 15 anni. 
Questi strumenti tracciano i movimenti delle balene in tre dimensioni, ma non sempre sono affidabili nel cogliere i dettagli. Un gruppo di biologi della Hopkins Marine Station ha unito ai comuni sensori di movimento alcune telecamere "a dorso di balena", in modo da avere una visione in soggettiva dei pasti. 
Con questi strumenti sono state taggate balene di Sudafrica, Patagonia e coste est ed ovest degli Stati Uniti.
 Si è così scoperto che particolari adattamenti anatomici permettono alle balenottere di ingurgitare in pochi secondi un volume d'acqua e di prede superiore a quello del loro stesso corpo. 
Per una balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) ciò si traduce nell'ingestione di una quantità d'acqua pari a quella di una piscina o di un tipico scuolabus.


Ma le fauci devono aprirsi al momento giusto, perché la mole di materiale che entra rallenta notevolmente gli animali, provocando, insieme alla fatica per l'immersione anche a 300 metri di profondità, un enorme dispendio energetico.
 Così le balene che si nutrono di krill aprono la bocca quando si trovano alla velocità massima (che per la balenottera azzurra è di 4 metri al secondo) e la richiudono una volta tornate a velocità normale.
 Quelle che mangiano piccoli pesci, come la megattera (Megaptera novaeangliae), cambiano il timing e sprecano più energie per compensare la velocità di fuga dei pesci.
 Ma spesso i loro pasti sono anche più appaganti e calorici. 

 Lo studio servirà a perfezionare le strategie di conservazione di questi animali, minacciati dalla scomparsa delle loro fonti di cibo primarie. 

Fonte: focus.it

Storia della lavorazione del vetro di Murano


Sembra che le origini del vetro di Murano siano antichissime, alcuni scavi archeologici fanno risalire i primi reperti al settimo secolo a.C.
 L’arte vetraia si è però sviluppata molto più tardi.
 Se consideriamo il primo documento scritto che relaziona riguardo una donazione di artefatti di vetro, risale al 982.
 Fu grazie a tale ritrovamento che si è deciso che da lì doveva partire la storia di questa particolare attività economica, importantissima per lo sviluppo di Venezia, ed è proprio in base a questa specifica data che si sono celebrati nel 1982, i mille anni della presenza dell’arte del vetro di Murano.
 Proprio a Murano infatti si erano sviluppate le fornaci, che pian piano, dal XII secolo circa, si erano conformate in una vera è propria attività manifatturiera. 
All’inizio le botteghe erano tutte concentrate lungo il Rio dei Vetrai, dove ancora oggi si possono visitare i laboratori più antichi, e se alcune fornaci erano presenti anche nel centro storico di Venezia, per evitare eventuali incendi, ci fu una legge speciale della Repubblica a trasferire tutta la attività del vetro e dei suoi laboratori sull’isola.






Le tecniche di lavorazione, molte delle quali si utilizzano ancora oggi, si svilupparono nella seconda metà del XIII secolo, 
Venezia fu privilegiata rispetto ad altre località europee che si dedicavano a questa forma di artigianato poiché vantava stretti rapporti commerciali con il vicino oriente e sembra proprio che Fenici, Siriani ed Egiziani, già da molto prima conoscevano la lavorazione di questo pregiato materiale, così che i Veneziani hanno avuto l’opportunità di apprendere le tecniche antiche da loro utilizzate per poi sintetizzarle con le loro proprie conoscenze.
 Nei due secoli successivi le tecniche hanno subito una veloce evoluzione, che hanno permesso di ottenere un particolare vetro lavorato di incredibile purezza. 
Sembra che sia stato proprio questo il giusto mix, tra tradizione ed evoluzione, a conferire alla produzione vetraia muranese quella particolarità che tutto il mondo ammira ancora oggi, come gli apprezzatissimi lampadari di Murano.


Questo incredibile successo che si consolidò in Europa nel sedicesimo secolo, grazie alle tecniche sempre più affinate ed allo sviluppo della materia prima che permise di perfezionare ed impreziosire gli artefatti dei maestri muranesi, si espanse anche oltre oceano.
 I vetrai veneziani sono infatti arrivati sino in Virginia, in vari documenti della Virginia Company of London si fa riferimento alla presenza di italiani, citati come “Itallyans” che, riconosciuti maestri specializzati nella produzione di vetri soffiati, erano stati chiamati per aprire e dirigere una fornace in loco. 
Sembra che il progetto non abbia potuto svilupparsi, forse per difficoltà tecnica di svolgere quest’arte tanto pregiata, forse per le epidemie ed anche per le rappresaglie degli indiani che al tempo erano molto frequenti.






Attualmente le tecniche di lavorazione del vetro di Murano si sono perfezionate a tal punto da dover riconoscere ai vetrai muranesi il titolo di veri artisti contemporanei, proprio per essersi dedicati a seguire con il proprio artigianato le correnti più importanti dell’arte contemporanea, senza per questo non avvalorare nei loro artefatti la millenaria tradizione che fa ancora oggi del vetro di Murano un materiale unico ed inimitabile, ma soprattutto molto pregiato.


 Fonte: gizzeta.it

lunedì 26 settembre 2016

Ceci neri : una rarità tutta pugliese


I ceci neri sono una varietà del Cicer arietinum e sono prodotti nella zona della Murgia Barese.
 La Murgia è un altopiano carsico collocato nella Puglia centrale; la parte che si trova in provincia di Bari viene definita dalle persone del posto “Murgia carsica” e si colloca a sud est di Bari.
 Questo territorio, comprendente comuni come Acquaviva delle Fonti, Cassano delle Murge e Sant'eramo in Colle, un tempo era ricco di allevamenti e di coltivazioni: vigneti, mandorleti e oliveti, che ben crescevano grazie ad un terreno roccioso e spesso privo di acqua. 
 Oltre a queste colture destinate al commercio, i contadini piantavano, per il loro sostentamento, legumi e cipolle, che erano alla base della loro alimentazione e che vendevano nei mercati locali: ceci e lenticchie soprattutto e, tra questi legumi, il cece nero della Murgia carsica che rischiò seriamente l'estinzione, soppiantato da colture più redditizie per il commercio, quali viti e olivi.
 La scomparsa fu scongiurata grazie all'intervento della Camera di Commercio di Bari e della Cia (confederazione italiana agricoltori) che, con il loro sostegno alla Fondazione Slow Food, permisero di riunire in un Presidio sei agricoltori locali che hanno rimesso a coltura il Cece Nero, permettendo così a questa varietà locale di continuare ad esistere.
 I Presidi Slow Food sono molto preziosi perché sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. 

 Il cece nero si raccoglie ad agosto ed essiccato, è reperibile tutto l'anno. 
L' aspetto è diverso dal cece comune: ha una forma a chicco di mais, molto più piccola, con la buccia rugosa e irregolare e l’apice a forma di uncino.


E' molto gustoso e saporito, quasi non necessita di sale, dal sapore vagamente erbaceo. 
Ha una buccia consistente, che richiede un tempo di ammollo di 12 ore e una cottura di circa due ore. 
 La cucina locale lo propone in zuppa, con un soffritto abbondante di cipolle o come primo piatto con tagliolini, pomodoro e un filo d’olio. I ceci neri, come i comuni ceci, sono composti per il 10% d’acqua, per il 19% da proteine e il 17% da fibre alimentari.


Hanno un ottimo potere energetico, grazie all'elevato contenuto glucidico e, un elevato contenuto proteico, pari al 21%. 
Ricchissimi di fibre, aiutano la regolarità intestinale e diventano un alimento saziante, ideale per chi vuole tenere sotto controllo il peso. 
Inoltre i ceci neri sono ricchi di vitamine: B, C, K ed E. 
Sono un’ottima fonte di minerali come il potassio, il calcio, il fosforo e il magnesio e sono molto più ricchi di ferro, a differenza della versione comune, tanto che in passato erano molto consigliati alle donne in gravidanza 

 Fonte: greenme.it
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...