lunedì 3 novembre 2014
Biancheria intima e lingerie: la storia nei secoli
Usciresti senza slip? Andresti in ufficio senza reggiseno?
Anche se sei un uomo, non è difficile immaginare che senza questi due indumenti la maggior parte delle donne si sentirebbe, come minimo, a disagio.
Eppure ne è passata di acqua sotto i ponti prima di arrivare alla lingerie comoda e senza cuciture, ai completini sexy, ai push-up con le spalline trasparenti che non attirano l’attenzione fuori dal vestito, e chi più ne ha più ne metta.
Ciò che le donne hanno indossato sotto gli abiti nel corso dei secoli è affascinante perché racconta l'evoluzione culturale, del rapporto tra i generi e della sessualità nel mondo occidentale.
Sembra proprio che la biancheria intima sia nata nell’antico Egitto, quando le donne nobili cominciarono a fare uso di una tunica a diretto contatto con la pelle sotto quella esterna, come una sorta di sottoveste.
Gli antichi romani e i greci, meno pudici dei loro successori, non indossavano nulla sotto le tuniche e questo valeva sia per le donne, sia per gli uomini.
In alcuni casi, per fare attività fisica e come costume da bagno, si accontentavano della subligatula (da subligare, cioè legare sotto) e una fasciatura pettorale, come quelle che vedete nella foto di uno dei mosaici della Villa Romana del Casale a Piazza Armerina (EN) che è la prima testimonianza artistica di biancheria "intima".
Quello che accadde sotto i vestiti durante il Medioevo è ancora da definire, anche perché i tessuti si degradano fino a scomparire nel corso dei secoli e non vi sono scritti dell'epoca che parlino dettagliatamente di biancheria intima.
Proprio quest'anno, però, gli archeologi dell'università di Innsbruck hanno fatto una scoperta interessante al castello austriaco di Lengberg.
Nel corso degli scavi hanno trovato quello che potrebbe essere un reggiseno del XV secolo, incredibilmente simile a un esemplare degli anni Cinquanta (nella foto).
È comunque in questa epoca che nasce il termine "mutanda", che deriva dal latino medievale mutare, ovvero "ciò che si deve cambiare" (per fortuna!).
Pare che Caterina de'Medici, moglie di re Enrico II di Francia, introdusse l'uso di mutande strette e attillate per nascondere le parti intime durante le passeggiate a cavallo.
Ben presto le mutande, chiamate poi "braghesse", divennero uno strumento di seduzione: erano confezionate con tessuti d'oro e d'argento, ornate da ricami e pietre preziose.
Indossarle divenne, quindi, un segno di eccessiva frivolezza e libertà di costumi.
La chiesa le osteggiava reputandole un capo osceno e libidinoso. Le prostitute ne fecero un simbolo del loro mestiere e per questo motivo scomparvero tra le aristocratiche.
Si stima che all'inizio del '700 le portassero solo 3 nobildonne su 100.
Negli anni successivi, tuttavia, tornarono a diffondersi fino a entrare nel guardaroba della gente comune.
Durante il Rinascimento comparvero le prime giarrettiere, i corsetti e le famose crinoline, le gabbie da infilare sotto la gonna.
Proprio grazie alle crinoline tornarono definitivamente nell'uso comune anche le mutande, per evitare che qualche ventata o movimento brusco potessero lasciare intravvedere le parti intime.
Il corsetto, in particolare, sarà protagonista del guardaroba femminile per almeno 400 anni, diventando strumento di tortura e seduzione, causa di malformazioni e addirittura di decessi.
Si trattava di un'alta fascia rinforzata con stecche di balena che stringeva la vita e alzava il seno.
Nell'immagine, un manifesto inglese del 1891, due donne indossano un corsetto dotato di una batteria elettrica, che, secondo i produttori, doveva rendere elegante chi lo indossava, oltre a essere un toccasana per il sistema respiratorio e avere il potere di guarire reumatismi e indigestioni.
La forma a clessidra fu esaltata nell'800 dai bustini, che conferivano la tipica vita da vespa.
Nella foto, una donna americana indossa un bustino, nel 1899.
Nei primi del Novecento l'intimo femminile cominciò a diventare più sopportabile, se non addirittura comodo.
La nascita del reggiseno, gioia di ogni donna, risale al 1889, grazie a Hermine Cadolle, bustaia di Parigi.
Il brevetto però arrivò soltanto nel 1914, quando una facoltosa signora newyorkese acquistò un costoso vestito da sera, ma una volta indossato si accorse che il vestito leggerissimo metteva in evidenza il contorno del corsetto.
Con l’aiuto della sua cameriera costruì allora un reggiseno composto da due fazzoletti, un po’ di nastro e una cordicella.
Anche le calze erano un must nei primi del Novecento.
Durante la Seconda Guerra Mondiale le donne disegnavano una riga sul polpaccio per far credere di indossarle.
Dopo il 1955 questo trucco non funzionò più perché scomparve la cucitura.
Il collant arrivò poco dopo, nel 1959, negli Stati Uniti.
Ed ecco che la biancheria intima è completamente sdoganata, se non ostentata.
Chi non ricorda Marilyn immortalata nel 1954 dai fotografi mentre attraversava una grata della metropolitana newyorkese che le solleva il vestito? Poco importa se il marito, Joe DiMaggio, non apprezzasse le attenzioni ricevute dai paparazzi.
Ed eccoci arrivati a oggi, tra i cartelloni pubblicitari e le vetrine dei negozi di lingerie supersexy.
E pensare che tempo fa un mutandone intravisto sotto la gonna poteva fare "sballare" i passanti!
SARA ZAPPONI
Aereo in volo sopra all'arcobaleno: la foto è una (mezza) bufala
Da alcuni giorni rimbalza su Twitter una foto che sembra sfidare le leggi della Fisica: Melissa Rensen, una signora canadese di 51 anni, in viaggio dall'Ontario verso l'Honduras, ha realizzato alcuni scatti dal finestrino dell'aereo, per immortalare una curiosa formazione nuvolosa visibile sopra al Mar dei Caraibi.
Solo più tardi la donna si è accorta che quello che stava sorvolando aveva tutta l'aria di essere un arcobaleno. E la serie di foto è stata rapidamente diffusa e comprata dalle agenzie fotografiche: è infatti estremamente difficile osservare un arcobaleno dall'alto.
Difficile?
Diciamo pure impossibile, secondo le leggi della Fisica.
Gli arcobaleni si formano quando i raggi del Sole colpiscono le minuscole goccioline d'acqua sospese in atmosfera.
Affinché questo fenomeno atmosferico abbia luogo, e la rifrazione avvenga correttamente, i raggi solari devono colpire le gocce d'acqua con un'inclinazione di circa 42 gradi.
Non è quindi possibile che Melissa abbia osservato prima un arcobaleno di fronte a sé (come quello della foto in alto) e poi lo stesso fenomeno ottico sotto al suo velivolo, perché nel frattempo la donna si è spostata, e l'angolo di incidenza è cambiato: l'arcobaleno avrebbe dovuto al limite dissolversi e riformarsi in un altro punto.
Senza contare che un arcobaleno non è un oggetto fisico che si possa in qualche modo sorvolare: è un'illusione ottica, che si forma secondo angolazioni diverse da quelle che riportano le foto della Rensen.
E allora, da cosa dipendono quei colori?
Si tratta di un fotoritocco?
No. L'alone arcobaleno visibile negli scatti non è altro che un prodotto della biorifrangenza, una proprietà ottica posseduta dalla plastica dei finestrini dell'aereo, che consiste nella scomposizione di un raggio di luce in due diversi raggi, i cui colori interferiscono dando luogo a bande colorate.
Un filtro polarizzante della fotocamera può aiutare a fotografare meglio l'effetto.
Anche la superficie oceanica si comporta come un filtro polarizzante, facendo oscillare i raggi di luce riflessi dall'acqua. Tutti questi fattori potrebbero aver contribuito a creare il falso arcobaleno.
Da: http://www.focus.it/
Botticelle, nuovo incidente: cavallo si accascia a terra a Roma
Un incidente quando si ripete non è più un incidente.
E' la regola.
Un altro cavallo delle botticelle è stramazzato sull'asfalto a Roma, sotto la sede del Governo in Via del Corso. L'animale è ancora vivo e si attendono aggiornamenti sulle sue condizioni, ma è l'ennesima, intollerabile tragedia.
Passeggiare per le strade di Roma su una carrozza trainata dai cavalli, infatti, purtroppo è ancora possibile.
Una tradizione che di romantico ha ben poco se si pensa alle condizioni in cui quegli animali sono costretti a lavorare.
Cavalli costretti ore e ore nel traffico convulso di una città come Roma, a respirare i gas di scarico delle auto, a stare fermi guardando il nulla in attesa di qualche umano idiota che vuole fare il giro in carrozza, senza mangiare e bere secondo i ritmi voluti dalla natura, senza fare nulla di quello che dovrebbe appartenere alla vita di un cavallo.
"Come si può parlare di "benessere" quando ogni giorno nelle piazze del centro di Roma si può assistere allo spettacolo impietoso di cavalli ridotti a macchine, che dovrebbero far stringere il cuore di ogni persona sensibile? L'unica dimostrazione nei fatti che vogliamo, pretendiamo, è che Roma chiuda il servizio a trazione ippica", commenta Nadia Zurlo, responsabile settore equidi della Lav.
Qualche giorno fa è stato fatto un piccolissimo passo avanti. Un blitz del Corpo forestale dello Stato alle stalle abusive delle Botticelle Romane dell'ex Mattatoio di Roma ha portato al sequestro giudiziario delle stalle abusivamente occupate da anni a Testaccio e di due cavalli, con violazioni varie riscontrate anche per la detenzione di farmaci.
"Alla luce di questi fatti, dopo anni di denunce e manifestazioni, chiediamo al Sindaco Ignazio Marino e al Campidoglio di revocare le licenze alle botticelle. C'è un solo posto che si addice alle carrozze: il passato.
Il Sindaco Marino revochi subito le licenze ai vetturini e le trasformi in servizi compatibili con il rispetto delle leggi, degli animali e della Capitale", tuona l'associazione animalista.
Roberta Ragni
Le Amazzoni. Solo leggenda ?
I loro nomi mitici sono stati resi eterni dai grandi narratori del mondo antico, primi tra tutti Omero ed Erodoto, che annotarono le gesta di Pentesilea, di Ippolita, di Antiope o di Derinoe: le Amazzoni, le feroci guerriere che cavalcavano e combattevano come gli uomini, indossavano i pantaloni e il cui nome recava in sé la loro più incredibile peculiarità, quella mutilazione del seno che era necessaria per usare al meglio l'arco.
Eroine che vissero e morirono nella fantasia mitologica degli antichi greci, non meno dello stesso Achille che uccise la regina Pentesilea durante una delle battaglie che contrapposero gli Achei ai troiani del Re Priamo (e tutto per il ratto della bella Elena…)
Eppure la tentazione di cercare qualche relitto storico all'interno della leggenda è sempre dietro l'angolo: questa volta ci è "cascata" una ricercatrice della californiana University of Stanford.
Adrienne Mayor, nel suo libro The Amazons: Lives and Legends of Warrior Women Across the Ancient World, indaga in quello che, secondo la sua opinione, sarebbe il concreto fondamento del mito delle Amazzoni; e lo fa guardando ai popoli nomadi che furono confinanti degli antichi greci a partire dall'VIII secolo con l'espansione verso il mar Nero, i quali costituirono un modello di confronto con il "diverso", il barbaro parlante una lingua incomprensibile.
Ad essi venne attribuito il nome di Sciti; questi popoli di origine asiatica, in effetti, furono "muti" non avendoci lasciato testimonianze scritte della loro storia ragion per cui ci è possibile conoscerli soltanto attraverso la mediazione degli ellenici, di Erodoto in particolar modo.
Eccezionali cavalieri, maestri nell'allevamento equino, e impareggiabili arcieri, gli Sciti sono protagonisti di diversi resoconti etnografici dell'età antica: partendo da questi, la dottoressa Mayer ha cercato dei paralleli nelle attuali popolazioni nomadi o seminomadi delle steppe.
Il suo studio, però, ha previsto anche una particolare attenzione all'archeologia e, nello specifico, ai corpi mummificati e agli scheletri rinvenuti negli anni nel vasto territorio che fu dimora degli Sciti (e conservati per lo più al museo dell'Hermitage di San Pietroburgo): tra questi, alcuni appartennero a donne che furono sepolte assieme al proprio cavallo e alle proprie armi, i cui corpi recano ancora le ferite ricevute probabilmente durante una battaglia.
Un dettaglio estremamente affascinante è stato svelato grazie alle telecamere a infrarossi utilizzate da alcuni ricercatori le quali hanno consentito di individuare alcuni tatuaggi, ritraenti cervi e disegni geometrici che «sembrerebbero riprendere i modelli dipinti sulle figure delle Amazzoni nei vasi degli antichi greci».
Inoltre, la studiosa ha raccolto e verificato una serie di storie, decisamente meno note dell'Iliade di Omero o delle Storie di Eorodoto, che mostrano come il tema della donna guerriera avesse affascinato anche altre culture, partendo dall'Asia Minore ed irraggiandosi verso la Persia, l'Armenia, l'area del Caucaso, la Persia e giungendo fino all'Asia Centrale e addirittura alla Cina. Insomma, secondo la Mayor delle vere donne guerriere esistettero e furono contemporanee dei greci dell'età arcaica.
Presumibilmente tali figure erano anche destinatarie di grandi onori presso le popolazioni di cui facevano parte, il che potrebbe essere dedotto dal fatto che, nelle narrazioni, difficilmente a tali battagliere donne a cavallo è riservato lo stesso amaro destino di Pentesilea uccisa da Achille.
Esse vestivano come gli uomini, indossando i caratteristici pantaloni degli Sciti che erano funzionali alle loro abitudini che prevedevano lunghe permanenze a cavallo, e probabilmente dei maschi avevano anche un'altra celebre usanza, ossia il consumo di canapa, secondo quanto ci è riferito dallo stesso Erodoto a proposito del popolo nomade.
Essendo parte di una società molto diversa da quella ellenica che prevedeva diverse dinamiche tra generi, non appare neanche tanto strano che combattessero accanto ai propri uomini.
E quel seno sacrificato?
Secondo la dottoressa Mayor, probabilmente, l'etimologia del nome "Amazzoni" andrebbe cercata non nel greco (dal quale, quindi, la privazione del seno) bensì in qualche lingua caucasica: «Il dettaglio più famoso utilizzato per descrivere le Amazzoni è sbagliato. L'origine del "singolo seno" e le controversie attorno a questa falsa nozione sono talmente complesse ed affascinanti che il petto delle Amazzoni meriterebbe proprio un capitolo a parte».
Fonte: http://scienze.fanpage.it
venerdì 31 ottobre 2014
Filippine: il ristorante ai piedi delle cascate
Le cascate sono uno dei più straordinari spettacoli della natura, ma osservarle da vicino non è sempre possibile.
Si tratta infatti di un'occasione molto rara, oltre che non priva di pericoli, tanto che, quando possibile, le visite alle cascate sono parte di viaggi organizzati con tanto di guide.
Ecco però un'eccezione.
Si tratta di Villa Escudero. Un vero e proprio ristorante in riva alle cascate. Il Villa Escudero Resort si trova nelle Filippine, per la precisione nella località di San Pablo.
Il ristorante offre ai propri ospiti un'esperienza davvero unica. Pranzare o cenare al ristorante di Villa Escudero significa provare l'emozione di una lunga pausa proprio accanto ad una cascata.
Gli ospiti possono osservare le cascate da vicino e ascoltare il loro suono caratteristico, senza temere pericoli.
Il ristorante si trova ai piedi delle Labasin Falls.
Sulla riva delle cascate gli ospiti possono degustare le pietanze della cucina locale, sedendosi a tavoli di bambù realizzati a mano agli artigiani filippini, mentre l'acqua scorre direttamente al di sotto dei loro piedi.
I più coraggiosi possono avvicinarsi direttamente all'acqua che scorre dall'alto, per godere di un massaggio benefico o di una breve doccia naturale prima di dedicarsi al pranzo.
Per sedersi ai tavoli non si indossano scarpe o pantaloni lunghi. Anzi, sarebbe bene portare con sédirettamente il costume da bagno.
Il terreno occupato dal resort è parte di un antico insediamento, circondato da montagne e palme da cocco.
Dopo che gli ospiti si sono rifocillati e rinfrescati sulle rive della cascata, sono pronti per dedicarsi alle attività turistiche disponibili nella zona, dal rafting al birdwatching, oppure possono avventurarsi nei villaggi vicini, alla scoperta delle tradizioni locali.
Cani Panda: l'ultima insana mania della Cina
Il chow chow panda non esiste.
È solo un cane tinto per assomigliare al mammifero in via di estinzione, emblema nazionale della Cina.
Eppure il fatto che si tratti di un "trucco" non demoralizza le migliaia di acquirenti, che impazziscono ugualmente per i "cani-panda".
Lo racconta il proprietario di un negozio per animali domestici di Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, Hsin Ch'en, che ha raccontato di non riuscire a tenere il passo con la domanda di cani Chow chow tinti come i panda.
"Ho perfezionato la tecnica e ora si sta diffondendo in tutto il paese, racconta.
Con un po' di cura e colore è facile trasformare un chow in un cane panda, in circa due ore.
Il trattamento rimarrà per circa sei settimane, poi i proprietari dovranno tornare per alcuni ritocchi".
Un make-up, assicura il negoziante, senza sostanze chimiche né maltrattamenti (ci fidiamo?) è piuttosto costoso, anche se agli acquirenti "non dispiace pagare un extra, a loro piace il fatto che la gente si giri per strada e possano dire ai loro amici: "Ho un cane panda"', continua Chen.
Prima di dire "che carini", fermatevi a riflettere sulla necessità di applicare questa non meglio definita tecnica solo per il nostro gusto estetico. Anche perchè i Chow Chow son stupendi di loro.
Il nostro consiglio?
Lasciate perdere trattamenti di colorazione delle pellicce degli animali: se siete alla ricerca di un compagno a quattro zampe e sicuri di assumervi questa responsabilità, date un'occhiata nei nostri canili e troverete esemplari stupendi anche senza trucco.
Roberta Ragni
Samhain, la vera storia di Halloween
Forse non tutti sanno che la festa di Halloween non nasce in America ma ha origini antichissime rintracciabili in Irlanda, quando la verde Erin era dominata dai Celti.
Halloween corrisponde infatti a Samhain, il capodanno celtico.
Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti, che, spinti dalla terribile carestia dell’800, si diressero numerosi nella nuova terra.
Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che significa Santo: la vigilia di tutti i Santi, quindi.
I Celti erano prevalentemente un popolo di pastori, a differenza di altre culture europee, come quelle del bacino del Mediterraneo. I ritmi della loro vita erano, dunque, scanditi dai tempi che l’allevamento del bestiame imponeva, tempi diversi da quelli dei campi.
Alla fine della stagione estiva, i pastori riportavano a valle le loro greggi, per prepararsi all’arrivo dell’inverno e all’inizio del nuovo anno.
Per i Celti, infatti, l’anno nuovo non cominciava il 1° gennaio come per noi oggi, bensì il 1° novembre, quando terminava ufficialmente la stagione calda ed iniziava la stagione delle tenebre e del freddo, il tempo in cui ci si chiudeva in casa per molti mesi, riparandosi dal freddo, costruendo utensili e trascorrendo le serate a raccontare storie e leggende.
Il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti, lo Samhain (pronunciato sow-in, dove sow fa rima con cow), che deriverebbe dal gaelico samhuinn e significa “summer’s end”, fine dell’estate. In Irlanda la festa era nota come Samhein, o La Samon, la festa del Sole, ma il concetto è lo stesso.
In quel periodo dell’anno i frutti dei campi (che pur non essendo la principale attività dei celti, venivano comunque coltivati) erano assicurati, il bestiame era stato ben nutrito dell’aria fresca e dei pascoli dei monti e le scorte per l’inverno erano state preparate.
La comunità, quindi, poteva riposarsi e ringraziare gli Dei per la loro generosità.
Ciò avveniva tramite lo Samhain, che, inoltre, serviva ad esorcizzare l’arrivo dell’inverno e dei suoi pericoli, unendo e rafforzando la comunità grazie ad un rito di passaggio che propiziasse la benevolenza delle divinità.
L’importanza che la popolazione celta attribuiva a Samhain risiede nella loro concezione del tempo, visto come un cerchio suddiviso in cicli: il termine di ogni ciclo era considerato molto importante e carico di magia.
L’avvento del Cristianesimo non ha del tutto cancellato queste festività, ma in molti casi si è sovrapposto ad esse conferendo loro contenuti e significati diversi da quelli originari.
La morte era il tema principale della festa, in sintonia con ciò che stava avvenendo in natura: durante la stagione invernale la vita sembra tacere, mentre in realtà si rinnova sottoterra, dove tradizionalmente, tra l’altro, riposano i morti.
Da qui è comprensibile l’accostamento dello Samhain al culto dei morti.
I Celti credevano che alla vigilia di ogni nuovo anno, cioè il 31 ottobre, Samhain chiamasse a sé tutti gli spiriti dei morti, che vivevano in una landa di eterna giovinezza e felicità chiamata Tir nan Oge, e che le forze degli spiriti potessero unirsi al mondo dei viventi, provocando in questo modo il dissolvimento temporaneo delle leggi del tempo e dello spazio e facendo sì che l’aldilà si fondesse con il mondo dei vivi e permettendo agli spiriti erranti di vagare indisturbati sulla Terra.
Samhain era, dunque, una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno.
Durante la notte del 31 ottobre si tenevano dei raduni nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell’accensione del Fuoco Sacro e venivano effettuati sacrifici animali.
Vestiti con maschere grottesche, i Celti tornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro.
Dopo questi riti i Celti festeggiavano per 3 giorni, mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti.
In Irlanda si diffuse l’usanza di accendere torce e fiaccole fuori dagli usci e di lasciare cibo e latte per le anime dei defunti che avrebbero reso visita ai propri familiari, affinché potessero rifocillarsi e decidessero di non fare scherzi ai viventi.
L’avvento del Cristianesimo
Attraverso le conquiste romane, Cristiani e Celti vennero a contatto.
L’evangelizzazione delle Isole Britanniche portò con sé un nuovo concetto della vita, molto distante da quello celtico e durante tale periodo la Chiesa tentò di sradicare i culti pagani, ma non sempre vi riuscì.
Halloween non fu completamente cancellata, ma fu in qualche modo cristianizzata, tramite l’istituzione del giorno di Ognissanti il 1° Novembre e, in seguito, della commemorazione dei defunti il 2 Novembre.
Fu Odilone di Cluny, nel 998 d.C., a dare l’avvio a quella che sarebbe stata una nuova e longeva tradizione delle società occidentali. Allora egli diede disposizione affinché i monasteri dipendenti dall’abbazia celebrassero il rito dei defunti a partire dal vespro del 1° Novembre. Il giorno seguente era invece disposto che fosse commemorato con un’Eucarestia offerta al Signore, pro requie omnium defunctorum.
Un’usanza che si diffuse ben presto in tutta l’Europa cristiana, per giungere a Roma più tardi.
La Festa di Ognissanti, infatti, fu celebrata per la prima volta a Roma il 13 Maggio del 609 d.C., in occasione della consacrazione del Pantheon alla Vergine Maria.
Successivamente, Papa Gregorio III stabilì che la Festa di Ognissanti fosse celebrata non più il 13 Maggio, bensì il 1° Novembre, come avveniva già da tempo in Francia.
Fu circa nel IX secolo d.C. che la Festa di Ognissanti venne ufficialmente istituzionalizzata e quindi estesa a tutta la Chiesa, per opera di Papa Gregorio IV.
Fanno eccezione i cristiani Ortodossi, che coerentemente con le prime celebrazioni, ancora oggi festeggiano Ognissanti in primavera, la Domenica successiva alla Pentecoste.
L’influenza del culto di Samhain non fu, tuttavia, sradicata e per questo motivo la Chiesa aggiunse, nel X secolo, una nuova festa: il 2 Novembre, Giorno dei Morti, dedicato alla memoria delle anime degli scomparsi.
Dall’Irlanda agli Stati Uniti
Verso la metà del XIX secolo, l’Irlanda fu investita da una terribile carestia, ancor oggi ricordata con grande partecipazione dagli irlandesi.
In quel periodo per sfuggire alla povertà, molte persone decisero di abbandonare l’isola e di tentar fortuna negli Stati Uniti, dove crearono, come molte altre nazionalità, una forte comunità. All’interno di essa venivano mantenute vive le tradizioni ed i costumi della loro patria, e tra di essi il 31 Ottobre veniva celebrato Halloween.
Ben presto, questa usanza si diffuse in tutto il popolo americano, diventando quasi una festa nazionale.
Più recentemente, gli Stati Uniti grazie al cinema ed alla televisione hanno esportato in tutto il mondo i festeggiamenti di Halloween, contagiando anche quella parte dell’Europa che ne era rimasta estranea.
In moltissimi film e telefilm spesso appaiono la famosa zucca ed i bambini mascherati che bussano alle porte. E molti, infine, sono i libri ed i racconti horror che prendono Halloween come sfondo o come spunto delle loro trame.
Negli Stati Uniti Halloween ha perso i suoi significati religiosi e rituali, ed è diventata un’occasione per divertirsi e organizzare costosi e allegri festeggiamenti. Pare che ogni anno gli Americani spendano due milioni e mezzo di dollari in costumi, addobbi e feste per il 31 ottobre!
http://www.irlandando.it/
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