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giovedì 13 febbraio 2014

Giappone: ritrovata da un italiano la flotta di Kublai Khan


Lo scorso agosto una missione di ricerca italo-nipponica ha individuato dei reperti di antiche navi cinesi nelle acque che bagnano l’isola di Takashima, situata nella regione giapponese del Kyushu. 
 Dopo due anni di ricerche la spedizione condotta dall’archeologo Daniele Petrella, presidente dell’Iriae (International research institute for archaeology and etnology), dal docente di Archeologia subacquea Hayashida Kenzo e con la partecipazione della Soprintendenza del mare della Regione Sicilia diretta da Sebastiano Tusa, ha ritrovato i resti appartenenti alla flotta dell’imperatore Kublai Khan, nipote di Gengis Khan e fondatore della dinastia Yuan. 

 L’imperatore della Cina cercò di conquistare il Paese del Sol Levante a più riprese ma fallì al primo tentativo nel 1274, successivamente nel 1281 ne pianificò un secondo, un attacco “a tenaglia”, fece salpare una flotta dal porto di Quanzhou, nella Cina meridionale, e l’altra da Happo, in Corea. 
Le due flotte si sarebbero dovute incontrare sull’isola di Iki e da lì iniziare l’attacco nella baia di Hakata. 
La flotta cinese arrivò con sei mesi di ritardo facendo così slittare l’attacco nel mese di agosto, il periodo dei tifoni, l’errore strategico decretò la sconfitta dell’imperatore.


Le antiche cronache, infatti, narrano del tifone che il 15 agosto del 1281 che scaraventò sugli scogli dell’isola di Takashima il contingente cinese composto da 140 mila uomini e 4.400 navi, i giapponesi chiamarono questo fenomeno che salvò la loro isola, Kamikaze (“vento divino”). 
 Fino ai ritrovamenti della scorsa estate questa storia veniva considerata una leggenda.
 La scoperta però ha confermato gli antichi racconti, infatti, le ricerche hanno portato alla luce dopo più di 700 anni i resti del fasciame delle navi cinesi, i mortai usati per la preparazione a bordo di medicamenti e cibo, ancore in legno e pietra, elmetti, armature. Il ritrovamento più interessante è il teppo, bomba da lancio composta da un involucro in ceramica, riempito di polvere da sparo e schegge di ferro che si pensava fossero state inventate nel XV secolo in Europa.


Proprio grazie alle recenti scoperte italiane il sito di Takashima è stato riconosciuto come primo parco archeologico sommerso del Giappone. 
Nel frattempo i responsabili della spedizione hanno annunciato che la missione non è ancora finita, “C’è ancora tanto da scoprire nei fondali nipponici e c’è sempre più professionalità tutta italiana da mostrare al mondo” assicura l’archeologo Daniele Petrella. 

 Guido Bruno

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