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lunedì 25 marzo 2013

....VOCI DI DONNA



FIGURA FEMMINILE NELL'ARTE
Osserviamo come si è sviluppato l’appassionante viaggio 
estetico del corpo femminile.
Nonostante sia ipotizzabile una società che, secoli fa, vedesse in 
primo piano, o almeno su un piano di perfetta parità, la figura 
della donna, per buona parte della storia dell’umanità ha comandato il genere maschile. L’ipotesi di una società in cui 
aveva la preminenza la figura femminile, e presumibile dai resti di 
innumerevoli ritrovamenti archeologici che mostrano la frequenza 
con cui veniva rappresentato il corpo femminile. E al di là della 
valenza magica, simbolica o apotropaica che tali statue potevano 
avere, appare chiaro che si ricreano le immagini di chi ha una 
certa forma di potere, o gode di una stima straordinaria e 
possiede un aura che le garantisce grande ammirazione.
Notevoli vestigia di tale rispetto per il genere femminile si sono 
trascinate anche nelle due grandi culture di cui siamo tutti figli, la greca e la latina, che hanno poi animato una parte 
considerevole della storia dell’arte mondiale. Il mediterraneo è 
infatti la culla dalla quale è nata l’idea stessa dell’arte, e noi 
italiani sembriamo aver dimenticato di esserne stati per secoli la 
nutrice.
Ma il Mediterraneo è intessuto della cultura religiosa del 
cristianesimo. E la chiesa, che ha consentito la creazione e la cura 
di tante opere d’arte, quella chiesa che rivede per fortuna lungo 
gli anni tutti gli integralismi, durante il medioevo fece diventare 
la donna, per via di un maschilismo nemmeno tanto nascosto 
nell’ambito religioso, un essere inferiore, quasi senza anima. Per 
chi ha una certa sensibilità, senza voler arrivare alle critiche 
delle gerarchie ecclesiastiche, come fa il teologo Vito Mancuso, 
esaltando la verità originaria del messaggio cristiano, basti 
sapere che il nudo femminile si è cominciato a poterlo guardare 
senza vergognarsene perché si è ammantato dello scudo protettivo 
dell’arte.
L’artista ha elevato tutto il guardabile, perché guarda il mondo 
con l’innocenza di un bambino. Per i pittori e gli scultori il corpo 
della donna rimane essenzialmente segno, cioè espressione pura 
della forma, anche se è innegabile il permanere di una forza 
espressiva che si apparenta con la forza creatrice insita da 
sempre nel corpo della donna, che infatti ha rappresentato in tutte 
le culture antiche l’idea della vita. Nell’animo dell’artista sembra 
essere rimasto il segno profondo di questo archetipo della donna 
come fonte di vita e attraverso i suoi occhi è riuscito a cogliere 
sempre le tante sfaccettature che fanno parte del suo poliedrico 
mondo e la rendono così affascinante. Donna come madre, e 
madonna, come divinità e come ballerina, amante e musa 
ispiratrice, e poi etera, strega e lasciva fanciulla.Un 
caleidoscopio delle umane emozioni, nella cui figura si rispecchia 
la ricerca dell’ideale di bellezza e di bontà di ogni artista, con 
quella potenza in più donata dalla sua bellezza agli occhi 
dell’artista che è stato per lungo tempo l’occhio di un uomo, e 
quindi un occhio lambito dall’eros. Per averne un’idea è 
sufficiente pensare al perché della nudità di alcune donne in un 
atmosfera irreale a volte, in cui gli uomini sono tutti vestiti.
Nel 1863 fu esposto a Parigi Le déjeuner sur l’herbe di Manet, 
provocando scandalo e disgusto, dimenticando che il tema biblico di “Susanna e i vecchioni” aveva già riempito la storia dell’arte. 
D’altronde non poteva non aver visto al Louvre il “concerto 
campestre” di Tiziano. Emile Zolà lo difese adducendo il valore 
della pura forma pittorica come se fosse un delitto che la ricerca 
del bello indugiasse su una certa carnalità, indubbiamente 
suscitata dal corpo di una donna. Chi ha un concetto del corpo 
sublime, libero da ogni gravame di tipo trascendente, e lo guarda 
attraverso un rispetto di tutte le sue funzioni naturali, e 
soprattutto come espressione della bellezza del creatore 
attraverso la natura, non può che trovare bello il corpo di una 
donna, così come la mano di un bambino o viso corrugato di un 
anziano.
I più sopraffini potrebbero riconoscerci la grandezza del concetto di physis espresso dai greci, ma anche il soffio di Dio non si curò di donare vestiti ad Eva; siamo stati noi umani, come quelli che 
istruirono il ”Brachettone” di Michelangelo a realizzare le foglie 
di fico con cui coprire tutto ciò che la pudicizia di menti malate 
riteneva non dovesse essere visto.

Il Buonarroti in uno dei suoi capolavori, la cappella Sistina di
sicuro non coprì nulla di questo suo amore per il corpo umano, al 
punto che parecchi esegeti e interpreti sono arrivati a intravedere 
nella presenza di alcuni uomini abbracciati, in due che addirittura 
si baciano, una sua presunta omosessualità. E questa deviazione 
esegetica ancora persiste nei nostri atteggiamenti sociali.
Non a tutti i visitatori e storici dell’arte salta subito all’occhio 
però una presenza, che dovrebbe far riflettere tutti sul ruolo della donna nel mondo dell’arte e non solo. Sulla destra della creazione 
di Adamo il cui centro è la plasticità di quelle mani che sembrano 
essere diventate il simbolo della cappella Sistina, c’è una schiera 
di angeli che sorregge il creatore.
Ma in mezzo a loro, proprio alle spalle del creatore, si trova una 
figura di donna dal seno acerbo. Un viso angelico e austero che nasconde la verità mal celata della forza della polarità della 
donna, che nella genesi ebraica è palesata dai nomi di Dio al 
plurale o al femminile. Mentre i profeti ed i religiosi a seguire 
sembrano aver voluto coprire l’energia del pianeta donna e la 
potenza evocativa dell’eros.
Poco più in là un altro artista, il poeta Salvatore Quasimodo, 
legge con candore e senza svenimenti nella cappella sistina quel “ 
… pudore di sensazioni ed esperienze, l’abisso che non bisogna
corrompere”.

Oggi pare stia cambiando l’occhio di chi guarda. Stanno
aumentando le donne dell’arte, e il loro punto di vista offrirà di 
certo un panorama diverso, sempre che ci riescano. Un panorama 
che, visto dalla loro angolazione offrirà di sicuro qualche spunto 
di riflessione.












SERIE DI OGGETTI REALIZZATI IN VETRO FUSIONE
GRAFFITI VETRO ARTE



IL RUOLO DELLA DONNA NEL CORSO DEI SECOLI




Dai tempi più remoti fino ad oggi, la donna ha assunto ruoli molto diversi, il suo status variava da civiltà a civiltà anche nel medesimo periodo storico. L’icona femminile è presente tra i primi oggetti di culto creati dall’uomo, incarna la prima forma di divinità, capace di generare la vita e dare nutrimento. Rapidamente diviene punto di riferimento in quelle statuette volumetriche raffiguranti la dea madre, tanto diffuse dal neolitico e tali da costituire quasi un comune denominatore tra le civiltà del Mediterraneo.

Al ruolo centrale della donna nella società matriarcale si va sostituendo la maternità che, sotto certi aspetti, riveste la donna di una grande responsabilità sociale, le viene associata la funzione procreatrice, sino a trattarla con pena se non anche con malcelato disprezzo quando essa non aveva marito né prole. La storia è costellata di episodi di donne ripudiate quando non concedevano eredi allo sposo, fatto che la dice lunga sulla responsabilità che pesava su di lei, senza che mai fosse messa in dubbio la fecondità maschile.

Un esempio universalmente noto di donna forte e devota allo stesso tempo è in Omero. Penelope tesse e disfa la tela continuamente per sottrarsi all’imposizione del matrimonio con un altro uomo. Essa è evidentemente una figura ideale che riunisce quelle virtù femminili e, in questo, lei è molto diversa dalla regina dei Feaci, Arete. E’ a quest' ultima, e non al re Antinoo, che Ulisse stesso deve chiedere ospitalità e aiuto, sintomo di una ben maggiore rilevanza presso i Feaci del ruolo della regina rispetto a quello del re.
Ma si inizia nella preistoria. Restituire oggi un volto alla donna in quell’età non è semplice, tuttavia, alla luce delle conoscenze acquisite, è evidente che le donne svolgevano compiti non dissimili da quelli degli uomini. Si ritiene prendessero parte alla caccia praticando una vita nomade insieme alle comunità cui appartenevano, spostandosi nei territori secondo i ritmi stagionali scanditi dalla natura e dagli astri. Innumerevoli sono le raffigurazioni femminili nelle incisioni rupestri, come anche le piccole veneri preistoriche giunte a noi scolpite su pietra, divinità volumetriche definite steatopigie dagli studiosi.

L’evoluzione che guidò l’uomo verso l'agricoltura spinse le comunità verso vere e proprie forme insediative stabili, accentuando la differenziazione uomo donna. La procreatrice diviene fulcro della comunità e, nel progressivo adattamento ad una vita sedentaria, si specializza sempre più in attività artigianali come la tessitura, la trasformazione del cibo e la produzione ceramica. Con l’introduzione della lavorazione dei metalli lo sviluppo tecnologico eleva a potenza l'importanza del ruolo maschile ridimensionando ulteriormente il ruolo della donna, semplice nutrice, portatrice del seme che genera la vita. Così, ridotta a strumento, vede padri o mariti impossessarsi di lei come di una proprietà, finendo relegata, salvo poche eccezioni, in una sfera marginale della società antica.

La condizione della donna in età storica muta secondo una costante legata alla comunità cui essa appartiene: il riconoscimento giuridico come persona. Questa conquista è riservata soltanto alle donne di elevato rango sociale. I più antichi codici curavano principalmente degli aspetti pratici inerenti le figure di sacerdotessa, madre e moglie, mostrando squilibri a vantaggio degli analoghi ruoli maschili. In Mesopotamia, avuto riguardo per la diversità tra le diverse città stato, i vari periodi storici conoscono progressivi cambiamenti ed è oggi possibile affermare che in quelle regioni non vi fosse la parità tra i due sessi. Anche oggi, vari paesi del Mediterraneo, non meno che in altre parti del mondo, la donna vive spesso in un clima di subordinazione, tanto per la posizione delle istituzioni quanto nel sentire popolare. Essa è fatta oggetto di più gravi responsabilità e colpe, a dispetto delle attenuanti concesse all’uomo e, talvolta sono severissimi giudizi cui, anche innocente, viene sottoposta.

La "signora della casa" dell’antico Egitto accudiva alle faccende domestiche e, in quell’aristocrazia, le era concesso di condividere insieme ai figli, in una misura limitata, la vita pubblica con il marito. Mentre, per i casi di sterilità e adulterio, era previsto il divorzio con l’obbligo per il marito di corrispondere gli “alimenti” nella misura di un terzo rispetto alla quota definita dall'accordo nuziale. Al marito, era concesso di risposarsi, mentre lei otteneva la parità soltanto alla morte, nel trattamento funebre.
Quanto all'Egitto, è bene ricordare una illustre eccezione, la regina Hatshepsut, rappresentante della XVIII Dinastia (1479-1457 a.C. circa) che veniva eloquentemente raffigurata, per sua stessa volontà, in panni maschili e barba posticcia proprio perché alla donna non era concesso divenire faraone, sebbene essa stessa potesse divenire sposa favorita del sovrano-dio e in virtù di ciò essere rappresentata con lui nelle immagini pubbliche, fatto molto significativo.
In epoca greca arcaica e classica, prima dei cambiamenti intervenuti nel periodo ellenistico, il ruolo della donna, in una società dall’impronta alquanto maschilista, era marginale ed il matrimonio era volto a suggellare le alleanze tra famiglie. Esisteva il gineceo un’abitazione riservata alle sole donne, ed esse erano escluse da ogni attività pubblica eccetto le ricorrenze religiose.

Si praticava la prostituzione, una funzione talmente importante da essere istituzionalizzata con Solone e considerata sacra presso i Fenici. Questi ultimi, nei loro templi dedicati alla divinità protettrice dei naviganti, riservavano alle donne la redditizia attività. All’onore di poter servire la divinità, con il proprio corpo, si aggiungevano le cospicue entrate per le casse del tempio. Nella Roma arcaica poi, era riservato al pater familias perfino il diritto di vita e di morte su moglie e figli e, per quanto si vada avanti nella storia di questa grande civiltà, raramente la donna ebbe posizioni fondamentali che non fossero quelle solite di madre, moglie e figlia. Un esempio virtuoso passato alla storia è quello di Cornelia, la madre dei Gracchi. In epoca romana imperiale è invece tristemente famosa la figura di Agrippina, madre di Nerone, nota per le sue macchinazioni e la sete di potere, desiderosa di regnare in vece del figlio rendendolo un fantoccio nelle sue mani. Ma questo atteggiamento e questa sua bramosia vennero stroncati dallo stesso Nerone, che, come si sa, ne commissionò l'assassinio.

Ancora tanti altri esempi potrebbero essere fatti anche per epoche più recenti, ma non ci si soffermerà ad elencarli tutti. Ciò che vale la pena di sottolineare è proprio la valenza plurima e talora contraddittoria, del ruolo della donna che, per lo più succube della supremazia maschile in tutti i campi, era considerata alla stregua di un oggetto idonea solo ad esser moglie o a dare figli e, emergendo, talvolta con prepotenza e forza, nel bene e nel male.

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