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lunedì 12 novembre 2012

Il mistero di Tunguska

Prima un grande squarcio nel cielo e un'enorme palla di fuoco che sovrasta la foresta, poi uno straordinario calore e una fragorosa esplosione, come se migliaia di cannoni sparassero all’unisono le loro palle di piombo. È così che un testimone oculare, Semen Semenov, descrisse quanto accadde alle 7:15 del mattino del 30 giugno 1908 vicino al fiume Podkamennaya Tunguska, in piena taiga siberiana. L' Evento di Tunguska è oggi tanto famoso da comparire anche sui libri di scuola (almeno quelli russi). Eppure, dopo più di cento anni, ancora non è chiaro cosa avvenne per davvero. La spiegazione più accreditata è che quel giorno un corpo celeste - una cometa o un meteorite - che viaggiava in direzione della Terra a una decina di chilometri al secondo, sia esploso a circa 8 mila metri dalla superficie del nostro pianeta. L'esplosione rilasciò un'energia pari a circa 10 megatoni di Tnt (mille volte la bomba di Hiroshima) e un'onda d'urto che distrusse 2.200 chilometri quadrati di foresta abbattendo oltre 60 milioni di alberi. Il boato venne udito a centinaia di chilometri di distanza, in Europa la notte restò luminosa per diversi giorni: secondo alcune testimonianze, in Inghilterra si poteva leggere il giornale a mezzanotte senza bisogno di lampadine.
Tuttavia, un po' per la posizione isolata, un po' per gli sconvolgimenti politici che animavano la Russia in quegli anni, la devastazione della foresta, abitata per lo più dalla popolazione nomade degli Evenki, non venne scoperta fino al 1927. Quell'anno una spedizione dell' Accademia sovietica delle scienze coordinata dal mineralogista Leonid Alekseyevich Kulik arrivò sul luogo e, ammutolita dal desolante spettacolo della taiga distrutta, scattò fotografie, raccolse campioni e cercò indizi utili a capire cosa fosse successo. Per decine di anni Kulik esaminò il territorio alla ricerca di tracce di un eventuale impatto, ma senza successo. Organizzò anche una ricognizione aerea, che tuttavia non riportò niente di anomalo. L'assenza di certezze ha lasciato spazio nel corso degli anni al fiorire delle più svariate teorie: si è parlato di mini buchi neri, di esperimenti di creazione di antimateria sfuggiti al controllo in chissà quale laboratorio sotterraneo, di basi aliene (persino due puntate della famosa serie di X-files sono state dedicate al mistero di Tunguska). Tutte ipotesi senza fondamento. Tranne una: quella dell'esplosione di un corpo celeste, l'unica presa in seria considerazione dagli scienziati e oggetto di centinaia di studi. Per molti anni il responsabile di tanta devastazione è stato identificato in un meteorite, ma ultimamente ha acquistato credito anche l’idea che sia trattato di una cometa.
Nel 2009, infatti, alcuni ricercatori hanno mostrato che le notti lucenti dovute alle nubi di vapor acqueo rilasciate nella mesosfera durante le partenze degli Space Shuttle erano paragonabili a quelle osservate dopo l'esplosione. Anche le nubi di allora, insomma, potrebbero essere state provocate da grandi quantità di vapore acqueo negli strati alti dell'atmosfera, come quello rilasciato da una cometa durante la sua caduta. A confermare la teoria di un corpo celeste sono anche gli studi di un gruppo di ricerca del Dipartimento di fisica dell'Università di Bologna che da vent'anni – il primo studio risale al 1991 ed è pubblicato su Astronomy and Astrophysics - organizza spedizioni per raccogliere dati e campioni e studiare l'evento sul luogo. Sforzi che hanno dato risultati importanti: gli studiosi dell'ateneo emiliano avrebbero identificato nel lago Cheko, a circa otto chilometri dall'epicentro, il luogo dell'impatto con uno dei mini frammenti del corpo celeste generatisi dopo l’esplosione.

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