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giovedì 14 gennaio 2021

La spettacolare storia di Mont-Saint-Michel, un’isola medievale al largo della Francia

Al largo della costa della Normandia si trova Mont-Saint-Michel , un sito magico che risale al Medioevo. 

Avvolta in un pittoresco villaggio e sormontata da una torre altissima, quest’isola di marea sembra essere stata strappata dalle pagine di un libro di fiabe.

Anche se può sembrare un castello tra le nuvole, la storia di Mont-Saint-Michel non è così fiabesca come si potrebbe pensare.

 Iniziando come un luogo di potere nel 6 ° secolo, l’isola alla fine si è evoluta in una roccaforte strategica, il sito di un’abbazia e persino una prigione dell’epoca della rivoluzione. 

Se abbinato al suo aspetto da fiaba, questa affascinante storia ha reso Mont-Saint-Michel una delle destinazioni più famose della Francia e punti di riferimento amati.


Classificata come isola di marea rocciosa, Mont-Saint-Michel è collegata alla terraferma da un terrapieno completamente sommerso durante l’alta marea e scoperto durante la bassa marea.

 A causa di questo fenomeno, il sito unico nel suo genere alla fine avrebbe avuto un grande significato strategico.

Prima del suo ruolo militare, l’isola aveva uno scopo diverso.

 Fondata come Mont-Tombe da un eremita irlandese nel V secolo, servì da centro della cultura gallo-romana per circa 300 anni. Ciò finì nel 7 ° secolo, tuttavia, quando fu conquistata dai Franchi , fu trasformata in un luogo di pellegrinaggio.


Secondo la leggenda, nel 708 CE, Aubert di Avranches – il vescovo di un comune in Normandia – fu contattato dall’arcangelo Michele.

 In questa visione, Michele, il “capo della milizia celeste”, ha detto ad Aubert di costruire un santuario nel suo nome in cima a Mont-Tombe. Nel 709 CE, Aubert ha esaudito il desiderio dell’angelo, costruendo e consacrando una piccola chiesa sull’isola.

Nei prossimi secoli, questa chiesa subirà una serie di cambiamenti.

 Nel 966 CE, fu ridisegnata in stile preromanico, un’estetica che mescolava elementi mediterranei e germanici. 

Il secolo successivo fu nuovamente ricostruita. Questa volta adottò un’estetica romanica caratterizzata da archi poco profondi, soffitti a volta e piccole finestre.

Nel 13 ° secolo, un incendio derivante da un assedio dei Bretoni incendiò gran parte dell’abbazia. Fu poi ricostruita un’ultima volta, ora con elementi di architettura gotica . 

La chiesa è stata ampliata e intensificata, culminando nella sagoma altissima della Merveille che ha incantato i visitatori per secoli. “Il Mont-Saint-Michel appare come una cosa sublime”, ha detto lo scrittore francese Victor Hugo nel XIX secolo, “una meravigliosa piramide”.


Oltre all’abbazia, Mont-Saint-Michele è stata sede di un fiorente villaggio per oltre 1.000 anni. 

Mentre il Mont-Saint-Michele era stato fortificato fin dall’antichità, il muro eretto durante la Guerra dei Cent’Anni si dimostrò il suo metodo di protezione più efficace. 

Affiancato da numerose torri difensive, il muro avvolgente è riuscito a difendere l’isola dagli attacchi inglesi per quasi 30 anni.

All’epoca in cui la Riforma era in corso nell’Europa del XVI secolo, l’isola aveva perso sia il suo significato militare che religioso. 

L’abbazia chiuse nel 1791, appena due anni dopo l’inizio della rivoluzione francese


A quel tempo, l’abbazia fu trasformata in una prigione per tenere preti e altre persone che si opponevano alla neo-nata Prima Repubblica . 

A causa del suo ruolo di centro di detenzione durante la Rivoluzione, Mont-Saint-Michel divenne noto come “Bastiglia del Mare” – un riferimento alla prigione parigina che fu presa d’assalto e, successivamente, scatenò il movimento.

Mont-Saint-Michel ha continuato a tenere prigionieri fino al 1863, quando influenti figure francesi come Victor Hugo hanno fatto una campagna per la sua chiusura.

 Una volta chiuso, i suoi 650 prigionieri furono trasferiti in altre località e l’abbazia fu affittata da un vescovo. 

Nel 1922, i monaci tornarono sul monte, rendendolo di nuovo un luogo di pellegrinaggio religioso.

Nel 1874, poco prima di un importante progetto di restauro, l’abbazia fu dichiarata monumento storico. Allo stesso modo, nel 1979, è stato considerato patrimonio mondiale dell’UNESCO. 

Fonte: girosulmondo.altervista.org/

 

giovedì 7 gennaio 2021

Il permafrost della Siberia regala un fossile di rinoceronte di 20.000 anni fa perfettamente conservato

Circa 20.000 anni fa, un giovane rinoceronte lanoso iniziò la sua giornata come di consueto nella regione ghiacciata che oggi corrisponde alla Siberia settentrionale.
 Mentre era alla ricerca di cibo, probabilmente qualcosa andò storto per il giovane animale, che annegò nel fiume Tirekhtyakh. 
Favorite dallo scioglimento del permafrost a causa della tendenza in aumento delle temperature, vengono scoperte creature estinte, come questo rinoceronte, che fanno luce su ere preistoriche sconosciute. 
Il permafrost è uno strato di suolo permanentemente ghiacciato e che si trova in tale stato da un lungo periodo di tempo, a volte diverse migliaia di anni.


L’antica carcassa è stata scoperta da un contadino locale in Yakuzia (Siberia), nell’agosto 2020, circa 15.000 anni dopo il periodo in cui si ritiene che i rinoceronti lanosi si siano estinti.
 Il fossile è stato trovato con una pellicciazoccoli e organi interni completamente intatti, che forniscono agli scienziati un pezzo del puzzle fondamentale su anatomia, comportamenti e vita di queste creature.
 I paleontologi hanno avuto una cura estrema per preservare la struttura del rinoceronte durante gli scavi, arrivando ad avere l’80% dell’esemplare intatto 

Il giovane rinoceronte aveva tra i 3 e i 4 anni e viveva separatamente dalla madre quando è morto, molto probabilmente per annegamento”, afferma il paleontologo Valery Plotnikov, dell’Accademia Russa delle Scienze. 

Plotnikov aggiunge che non è ancora noto il genere del rinoceronte e che è necessaria l’analisi al radiocarbonio per confermare l’intervallo di tempo generale in cui il rinoceronte probabilmente ha vissuto. Accanto alla carcassa del rinoceronte, c’era il corno del giovane animale, una scoperta eccezionale per la velocità con cui solitamente si decompone la cartilagine, secondo Plotnikov.

 I segni sul corno, inoltre, fanno nuova luce su come la specie lo usasse per il cibo.

La creatura recentemente trovata non è il primo rinoceronte lanoso scoperto nell’area, poiché un altro esemplare preservato nel ghiaccio è stato scoperto nel 2015.

 Quel rinoceronte, chiamato Sasha, è stato il primo piccolo di rinoceronte lanoso mai scoperto e si crede che abbia vagato per l’area circa 34.000 anni fa. 

Come il rinoceronte recentemente scoperto, Sasha è stato trovato con una pelliccia completamente intatta e anche in questo caso, si ritiene sia annegato. Tuttavia, la differenza con l’ultima scoperta è che il pelo di Sasha era biondo ramato e che alla carcassa mancava il corno.

Temperature storicamente alte nell’area normalmente ghiacciata hanno svelato fossili perfettamente conservati che erano stati sepolti sotto migliaia di anni di ghiaccio. 

La scorsa estate, poco prima che venissero trovati i resti, nelle città intorno al Circolo Artico sono state registrate temperature record. “Le temperature sono salite di 10°C sopra la media lo scorso mese in Siberia, sede di gran parte del permafrost della Terra, con il mondo che ha sperimentato il suo maggio più caldo mai registrato”, secondo la rete di monitoraggio del clima dell’Unione Europea.

 Nei prossimi anni, lo strato di ghiaccio, che sta lentamente ritirandosi, sicuramente svelerà ancora altri pezzi del puzzle, per completare il mosaico dei nostri antenati e delle generazioni di vita precedentemente nascoste.

 Fonte: meteoweb

martedì 5 gennaio 2021

Gradara: il Borgo che fu lo sfondo dell’amore fra Paolo e Francesca


 Basta citare solo tre (tra molte) delle importanti famiglie che la dominarono, per comprendere quanta storia, e quante storie, si potrebbero raccontare intorno a Gradara: Malatesta, Sforza, Della Rovere.

E’ lì Gradara, abbarbicata su una collina proprio là dove finisce l’Appennino e già si respira aria di mare, placida e accogliente, in un territorio oggi al confine tra Romagna e Marche, che nel corso dei secoli ha visto aspre battaglie e lotte sanguinose, per quella sua posizione strategica che faceva gola a tutti quelli (varie famiglie nobili e anche lo Stato Pontificio) che volevano dominare la regione storica del Montefeltro.

Oggi come oggi, Gradara fa parte dell’associazione I Borghi più belli d’Italia, nata per valorizzare i tanti piccoli paesi che rischiano di morire per il progressivo spopolamento.


Un rischio che non corre Gradara: è forse proprio la sua bellezza che lo rende tanto appetibile come luogo in cui scegliere di vivere. Nonostante sia un comune fra quelli con meno di 10.000 abitanti, che grazie al sito “Censimenti Permanenti“, il progetto di ISTAT che consente di consultare in tempo reale tutte le statistiche aggiornate con i dati più recenti, sappiamo che sono quelli che si sono spopolati di più durante gli ultimi anni, la sua popolazione è da diversi decenni in crescita, e oggi ha toccato il più alto picco di sempre con oltre 4.700 abitanti circa.


Per parlare del grande fascino di Gradara non si può che partire dalla suo Castello, un borgo medioevale protetto dalla Rocca e da due cinta di mura che si sviluppano per 800 metri. 

Costruito all’incirca nel 1150 dalla famiglia De Griffo, il Castello di Gradara passa presto nelle mani dei Malatesta, signori di Rimini, Cesena e Pesaro. Sono proprio loro a fortificare il borgo con due cinte murarie, che sembrano però insufficienti a contrastare l’assedio posto da Francesco Sforza nel 1446.




Un po’ di ragione l’aveva lo Sforza, vista la consistente cifra (20.000 fiorini d’oro) pagata a Galeazzo Malatesta, conosciuto come “l’inetto”, che si era venduto i suoi domini pesaresi.

Peccato che Sigismondo Malatesta, grandissimo condottiero e patrono delle arti, non ci pensi neanche a cedere Gradara, e per soprammercato non vuole nemmeno restituire la cifra sborsata da Francesco Sforza.

 In quell’occasione ha la meglio il Malatesta, grazie a un tempo inclemente per gli assedianti ed anche all’arrivo di rinforzi.

Nel 1463 però Sigismondo è costretto a cedere all’assedio di Federico da Montefeltro, in missione per conto del Papa, che poi la affida in vicaria alla famiglia Sforza di Pesaro.


La travagliata storia di Gradara non finisce lì, perché poi se la contendono, sempre per la sua posizione cruciale al confine tra diverse dominii, altre importanti famiglie: i Della Rovere, i Borgia, i Medici.

 Alla fine, nel 1641, ad avere la meglio è lo Stato Pontificio, che nel corso dei secoli trascurerà quel luogo così conteso, fino a farlo cadere in rovina.

Nel 1920 è un privato, Umberto Zanvettori, che acquista la Rocca e si preoccupa dei restauri, per poi venderla, nel 1928, allo Stato italiano.

Visitare Gradara significa dunque attraversare secoli di storia, immaginare aspre battaglie e lunghi assedi, vedere con gli occhi della mente soldati combattere dalle mura merlate, assalti al ponte levatoio, truppe radunate nel cortile e dame che vivono contrastati amori nel castello.

Perché forse, più che per tutte le vicende militari, Gradara è famosa per la tragica storia d’amore tra Paolo e Francesca, narrata da Dante Alighieri nel V canto dell’Inferno della Divina Commedia.


Paolo e Francesca, che grazie a Dante sono diventati il simbolo dell’amore eterno che perdura oltre la morte, sono due personaggi storici: Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, vissuti alla fine del 1200.

Sono gli anni turbolenti nei quali potenti famiglie lottano per governare le loro città. 

A Ravenna c’è Guido Minore da Polenta, che riesce a cacciare i rivali Traversari grazie all’aiuto dei Malatesta di Rimini. 

Per cementare l’alleanza, Guido fa sposare la figlia Francesca con Giovanni Malatesta (detto Gianciotto), brutto, zoppo e, pare, di animo crudele.

 Per non rischiare un eventuale rifiuto da parte della ragazza, le due famiglie organizzano un matrimonio per procura: non si presenta alle nozze Gianciotto, ma il fratello Paolo, bello e gentile.

 Non è ben chiaro se Francesca sia stata ingannata o se in realtà sapesse che Paolo non era lo sposo, ma comunque sia, si ritrova come marito Giovanni.

 Mentre il consorte vive a Pesaro, la giovane sposa rimane a Gradara con i due figli, che nel frattempo sono nati. 

Nel castello però spesso arriva il bel Paolo, e i due cognati si ritrovano innamorati, complice la lettura della storia di Lancillotto e Ginevra. 

Un giorno li sorprende Gianciotto, che vendica il tradimento subito trafiggendo tutti e due con la sua spada.

Dante è talmente commosso da questa storia d’amore, tanto peccaminosa quanto sventurata, da metterli sì all’Inferno, ma abbracciati per sempre (un privilegio concesso solo a loro) a volare leggeri nella “bufera infernal”.

Fonte: vanillamagazine

domenica 3 gennaio 2021

Archeologo di 38 anni riesce a decifrare finalmente l’Elamita Lineare, la misteriosa scrittura di 4000 anni fa


 Un archeologo francese di 38 anni, Francois Desset, è riuscito a decifrare l’Elamita Lineare, una scrittura di 4000 anni fa, da tempo sfida di molti esperti.

 L’Elamita Lineare è un sistema di scrittura usato nelle regioni meridionali dell’attuale Iran negli ultimi secoli del III millennio a.C. ed era stata scoperta per la prima volta nel 1901 da archeologi francesi nel sito di Susa, città citata dalla Bibbia.

Chiamata così da Elam, nome convenzionale riferito a una civiltà sviluppatasi dal III al I millennio a.C. nell’area corrispondente all’attuale Iran occidentale, è nota soltanto per le sue monumentali iscrizioni e venne usata contemporaneamente alla elamita cuneiforme e probabilmente nella lingua elamica.


Desset ha studiato un nuovo corpus di testi Elamiti Lineari incisi su una serie di vasi d’argento conservati a Londra.

 Nel 2018, in particolare, l’archeologo ha identificato le sequenze di segni che indicano i nomi di due sovrani dell’Iran sud-occidentale al potere intorno al 1950 a.C., Ebarti e Šilhaha, nonché i nomi di un’importante divinità invocata negli stessi testi, Napiriša (cioè ‘Il Gran Dio’).


La metodologia usata è molto simile a quella che ha portato alla decodificazione dei geroglifici egiziani e, seguendo la prima traccia, nel 2020 l’archeologo è riuscito nell’impresa di decifrare le circa 40 iscrizioni attualmente disponibili.


Oggi dunque sappiamo che l’Elamita Lineare è una scrittura puramente fonetica (al contrario di quella cuneiforme) e che è composta da un centinaio di segni che registrano i suoni vocalici e consonantici.

 È dunque la più antica scrittura fonetica del mondo.

La decifrazione dell’Elamita Lineare, grazie alle 40 iscrizioni ora leggibili, sta permettendo di scrivere o riscrivere intere pagine della storia del Vicino Oriente Antico del tardo III millennio a.C.

Fonte:  greenme.it

 

martedì 29 dicembre 2020

Pompei incanta di nuovo il mondo: scoperto un Termopolio straordinariamente intatto nella Regio V


 Non si stanca veramente mai di incantare il mondo lo scavo archeologico forse più famoso, quello di Pompei, antica città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. A seguito di lavori iniziati già nel 2019, riemerge ora in tutto il suo splendore il Termopolio della Regio V, una sorta di bar/ristorante dell’epoca, completo di decorazioni e utensili.

Come spiega Pompeii Sites, la struttura commerciale era stata studiata solo in parte nel 2019, durante gli interventi del Grande Progetto Pompei volti a stabilizzare e consolidare i fronti di scavo storici. Solo ora di scopre però il Termopolio praticamente intatto.

E dunque, vista l’eccezionalità delle decorazioni, si è deciso di ampliare il progetto e completare lo scavo del intera area, con l’obiettivo di ripristinare l’assetto completo del “ristorante”, che si trova nello spiazzo tra Vicolo delle Nozze d’Argento e Vicolo dei Balconi.


Alcune decorazioni erano state già ritrovate, tra le quali quella di una Nereide che cavalca un cavalluccio marino in ambiente marinaro sul fronte e un’illustrazione che probabilmente apparteneva al negozio stesso, come una sorta di marchio di fabbrica.

Ma ora anche l’ultima sezione del bancone ha rivelato altre squisite scene di natura morta, con raffigurazioni di animali che qui venivano probabilmente macellati e venduti. Frammenti ossei appartenenti agli stessi animali sono stati rinvenuti anche all’interno di contenitori incassati nel bancone, che contenevano derrate alimentari destinate alla vendita, come nel caso delle due anatre domestiche capovolte, pronte per essere cucinate e mangiate, un gallo e un cane al guinzaglio, probabilmente un vero e proprio Cave Canem, ‘Attenti al cane’.


“Oltre ad essere un altro spaccato della vita quotidiana di Pompei, le possibilità di studio di questo Termopolio sono eccezionali, perché per la prima volta un’area di questo tipo è stata scavata nella sua interezza, ed è stato possibile effettuare tutte le analisi che la tecnologia odierna permette – spiega Massimo Osanna, Direttore Generale ad Interim del Parco Archeologico di Pompei – I materiali scoperti sono stati infatti scavati e studiati sotto tutti i punti di vista da un team interdisciplinare composto da professionisti del settore di antropologia fisica, archeologia, archeobotanica, archeozoologia, geologia e vulcanologia. I reperti verranno ulteriormente analizzati in laboratorio, e in particolare si prevede che i resti rinvenuti nei dolia (contenitori di terracotta) del banco forniscano dati eccezionali per far capire cosa veniva venduto e com’era la dieta”.

Molto di più dunque di una curiosità archeologia: la scoperta promette di essere una via per una conoscenza più approfondita della vita dell’epoca (siamo nel I secolo d.C.).


Gli scavi hanno portato alla luce anche ossa umane, anche se trovate purtroppo disperse a causa delle gallerie scavate nel XVII secolo da scavi illegali alla ricerca di oggetti preziosi. Diversi frammenti, come confermano le prime analisi, appartengono a un individuo di almeno cinquant’anni, che, nel momento in cui è stato raggiunto dalle ceneri e dai lapilli, molto probabilmente si trovava in un giaciglio, come testimonia lo spazio riservato per riporlo e una serie di chiodi e residui di legno trovati sotto il corpo.

Altre ossa, ancora da indagare, appartengono invece ad un altro individuo, e sono state trovate all’interno di un grande dolium, forse dove furono collocate dai primi scavatori.

Lo scheletro completo di un cane è stato inoltre trovato nell’angolo tra le due porte del Termopolio (nell’angolo nord-occidentale della stanza). Non era un cane grande e muscoloso come quello raffigurato sul bancone, ma un esemplare estremamente piccolo, alto circa 20-25cm al garrese nonostante fosse un cane adulto. Anche se piuttosto rari, cani di taglia così piccola indicano che anche in epoca romana veniva praticata la selezione intenzionale.


lunedì 21 dicembre 2020

La Grotta Chauvet in Francia: i temi delle pitture rupestri


 Siamo in Francia, nel dicembre 1994, Jean Marie Chauvet, speleologo, insieme a due amici perlustra una serie di siti e caverne nella zona di Ardèche, a Vallon-pont d’Arc, convinto di poter trovare qualcosa di archeologicamente interessante.

 Sembra un capriccio, ma J.M.Chauvet non viene smentito e scopre una meraviglia mai conosciuta e vista prima, la Grotta Chauvet o Grotta delle Meraviglie.

Fino a quel momento non si sapeva nulla di questa caverna, la sua scoperta si è rivelata un evento grandioso e significativo in campo archeologico. Ma perché è cosi importante?

Partiamo dalle origini della Grotta Chauvet:

Stiamo parlando di 500 metri di lunghezza all’interno della montagna. La caverna infatti fu scavata nei secoli dal fiume Ardèche, e le frane ne hanno impedito l’accesso per ben 20.000 anni!

 La bellezza di questo luogo è inspiegabile, ma il suo valore preistorico è unico, e vale la pena provare a descriverlo. I nostri antenati vivevano proprio qui all’epoca, in una zona come la tundra, desolata e fredda.


Le straordinarie pitture trovate all’interno della grotta risalirebbero a ben 30.000 anni fa, e sono il motivo del grande entusiasmo degli archeologi e storici. 

Decorano le pareti della grotta, e sono di certo la più antica e più raffinata manifestazione di arte pittorica rupestre conosciuta. Possiamo vantare la certezza di questa affermazione, grazie alle conferme che ci provengono dallo studio condotto da ricercatori dell’Université de Savoie/CNRS e dell’Aix-Marseille Université

Il sito rappresenta un’eccellenza, in quanto, i temi pittorici rappresentati al suo interno non si riscontrano in alcun altro sito di arte rupestre del Paleolitico.


I temi sono diversi, ma vi troviamo in prevalenza animali come, iene, renne, bisonti, mammut, gufi,  felini enormi, rinoceronti, leoni, orsi, cervi, cavalli.

 Le figure hanno un elevato dinamismo, ma molte sono abbozzate, e ciò contribuisce a darne un indole magica ed eccitante.

 Usualmente, siamo abituati ad immaginare le pitture ripresti come disegni estremamente arcaici, privi di ogni senso realistico, eppure in questa grotta è incredibile come gli animali sembrino uscire dalla roccia stessa, o rientrarvi grazie a dei sorprendenti e forse anche inconsapevoli giochi di luce.


Proprio per tale motivo, la qualità delle tecniche degli artisti nella grotta Chauvet è considerata l’esempio più esaltante dell’arte del Paleolitico superiore. Ma nella grotta non c’è solo quanto detto: rinveniamo anche ossa di animali e qualche teschio, probabilmente usato come sacrificio divino in un rito.


Il momento più interessante per gli archeologi, oltre al valore estetico di queste pitture, è sicuramente la fase di interpretazione di queste.

Le ipotesi sui significati delle pitture rupestri sono il mezzo migliore che possiamo usare, per poter capire meglio lo stile di vita dei nostri antenati.

Inizialmente, si ipotizzò fossero opera di soggetti iniziati ai culti, convinti che le grotte fossero luoghi di creature mostruose, potenti e stregate.

Di conseguenza, forse un incontro con queste creature rappresentava prove di coraggio, qualificando la persona come adulta, idonea alla caccia e a procreare.

 Il segno del coraggio e del passaggio alla vita adulta spesso era rappresentato da una ferita di circoncisione per gli uomini, da parte di creature che personificavano il leone; ciò creava le basi per l’attività sessuale e per la caccia agli animali, proprio le attività indispensabili ad assicurare la sopravvivenza a lui e al suo clan.


Tra le ipotesi più discusse, questa sembra essere l’interpretazione più attendibile per una serie di successive e più approfondite analisi. Scopriamo perché: esiste all’interno della grotta una sorta di sala più interna, infatti chiamata la Sala del Fondo, che proprio per la sua posizione avrebbe potuto rappresentare il cardine del percorso di iniziazione

Qui c’è una figura con corna frontali: sembrerebbe un bisonte e qualcuno l’ha chiamato lo Stregone della grotta.


Di fronte invece, ci ritroviamo un pendente dalla palese forma fallica, proprio davanti ad una cavità invece di forma vaginale. Questa chiara mescolanza di forme maschili e femminili, dunque, ci rimanda all’ipotesi formulata da speleologi e archeologi.

 Una terza creatura, forse un leone, unisce la donna a quella sorta di bisonte, che rimanda invece al cerchio “vita-morte” che abbiamo tentato di ricostruire. 

Il leone, per tutti i periodi storici, dalla preistoria al medioevo, fino all’epoca moderna, è sempre stato un giudice di morte e portatore di vita, ma anche di rinascita.


Il tratto più suggestivo e anche simpatico emerge da alcuni disegni che riproducono le mani di un individuo, probabilmente lo stesso che ha prodotto tutte le pitture presenti nella grotta. Infatti c’è la traccia di un suo lieve difetto fisico, il quinto dito della mano destra che ha falangina leggermente curvata verso l’interno.


La grotta è un sito di estrema delicatezza, miracolosamente conservato grazie ai materiali naturali prodotti dalle frane, per cui, non è visitabile per non danneggiare alcun millimetro di questo grande tesoro. 

Negare però al pubblico una risorsa simile sarebbe un limite enorme: per questo è stata aperta al pubblico la replica perfettamente identica della Grotta Chauvet-Pont d’Arc. 

È il più grande duplicato di grotta paleolitica mai realizzato al mondo. Tutti gli elementi geologici ed artistici, quindi stalagmiti, stalattiti, formazioni rocciose, pitture e incisioni rupestri, sono stati riprodotti in un ambiente sotterraneo identico all’originale.

 La cura con la quale si è portato avanti questo magnifico progetto è degna di grande ammirazione da parte di tutta l’Europa.

Fonte: lacooltura.com

venerdì 11 dicembre 2020

Newgrange: in Irlanda l’immenso sepolcro più antico delle piramidi d’Egitto


 Nella vicina Inghilterra ancora non c’era traccia del gigantesco anello di megaliti che oggi conosciamo come Stonehenge, il più suggestivo e misterioso monumento preistorico della Gran Bretagna. Nel lontano Egitto la Piramide di Cheope era molto di là da venire: fu costruita sei secoli dopo Newgrange (Brú na Bóinne in lingua irlandese), una grande tomba risalente all’incirca al 3200 a.C, che domina un complesso neolitico tra i più importanti d’Europa.


Nella verde Irlanda, gli uomini del neolitico trovarono qualche forte motivazione per impegnarsi nella costruzione di monumenti rituali che devono aver richiesto uno sforzo enorme, sia in termini di tempo, sia di lavoro. Perché oltre a Newgrange, altre tombe ugualmente imponenti, e con la stessa struttura, si possono trovare in un territorio che oggi occupa diverse contee.

E’ verosimile che chi ha costruito Newgrange abbia avuto una forte influenza in aree estese dell’Irlanda, ma al di là della capacità costruttiva e degli scopi rituali che possono averli animati, di questi straordinari architetti della preistoria non si sa praticamente nulla.

Il professor Muiris Ó  Súilleabháin, della Scuola di Archeologia dell’Università di Dublino, li definisce “estremamente sfuggenti”, perché non è rimasto niente che possa testimoniare la vita quotidiana di quei costruttori di tombe: “Non ci sono prove di un insediamento su larga scala che spiegherebbe l’organizzazione e il grado di sofisticazione mostrate nelle tombe”.


Newgrange è un esempio notevole di “tomba a corridoio”: un gigantesco tumulo di forma circolare, contenuto da un muro di ciottoli di quarzo bianco e granito, provenienti anche da luoghi molto lontani, con un tetto di erba verde.

76 metri di diametro per un’altezza di 12 e complessivi 4500 metri quadrati: sono le dimensioni del gigantesco tumulo, che copre un corridoio lungo 19 metri, in fondo al quale si allarga una camera con tetto a volta, da dove si aprono altre tre stanze più piccole.



Resti umani di diverse persone, cremati e non, sono stati trovati all’interno delle camere piccole, ma questo non significa che Newgrange fosse una semplice tomba collettiva.

Quasi certamente per il popolo che costruì il tumulo (e gli altri simili), il sole aveva una parte fondamentale nei riti religiosi: l’ingresso alla tomba è allineato con il sorgere del sole nel giorno del solstizio d’inverno.


Cinquemila anni fa, esattamente all’alba di ogni 21 dicembre (oggi avviene circa 4 minuti dopo), attraverso un’apertura posta sull’ingresso, chiamata tettuccio, la luce inondava la camera interna, facendo risplendere le incisioni sulle pietre e illuminando il corridoio per circa 17 minuti.


Era il segno tanto atteso che finalmente i giorni avrebbero ricominciato lentamente ad allungarsi, portando alla ciclica rinascita dei campi e della vita.

Il luogo di culto di Newgrange fu probabilmente abbandonato già verso la fine del neolitico, anche se tornò probabilmente in uso nei primi secoli dopo Cristo, tanto che all’interno sono stati trovarti reperti di epoca romana (320/337 d.C.).

Poi tutti si dimenticarono della grande tomba, che fu ritrovata per caso nel 1699. Nessuno, nel corso dei decenni e dei secoli successivi riuscì a dare delle risposte alle tante domande che il tumulo faceva sorgere: era opera dei fenici, oppure dei visitatori romani che adoravano Mitra (l’Irlanda non fu mai annessa all’Impero Romano), o forse erano arrivati in Irlanda gli antichi egizi, o i meno lontani Vichinghi?

Solo gli scavi compiuti dal professor Michael O’Kelly, tra il 1962 e il 1975, hanno in gran parte risolto il mistero. Fu lui ad accorgersi, il 21 dicembre 1967, che i lontanissimi antenati neolitici avevano voluto onorare il sole e i loro morti con una costruzione che impressiona ancora oggi, dopo cinquemila anni. Perché il ciclo della vita e della morte, il rincorrersi delle stagioni in un continuo addormentarsi e risvegliarsi, sono immutabili e immutati .

Fonte: vanillamagazine.it

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