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martedì 2 ottobre 2018

Trovata in Svizzera una mano bronzea di 3.500 anni fa


Niente di simile è mai stato portato alla luce in questa parte dell’Europa, quindi i ricercatori non sono esattamente sicuri con cosa abbiano a che fare.
 Sicuramente sembra essere un simbolo di potere, ma non è chiaro se un tempo fosse parte di una scultura più grande o se fosse l’ornamento di un bastone.

 Il Servizio archeologico del Cantone di Berna sta attualmente conducendo un’analisi scientifica dettagliata del curioso oggetto e spera che tutte le domande potranno avere una risposta nel giro di pochi mesi.
 La datazione preliminare al carbonio ha determinato che la mano risale ad un periodo compreso tra il 1.500 e il 1.400 a.C., intorno all’età del bronzo dell’Europa . 
Questa datazione potrebbe determinare che questo sia forse il pezzo di bronzo più antico del mondo rappresentante una parte del corpo umano.
 Se fosse davvero parte di una scultura, potrebbe anche essere la più antica scultura in bronzo d’Europa.

 “Gli specialisti svizzeri, tedeschi e francesi, non hanno alcuna notizia dell’esistenza di una scultura simile risalente all’età del bronzo in Europa centrale”, ha detto in un comunicato stampa il Servizio archeologico del Cantone di Berna .”È, quindi, un oggetto unico e straordinario.”


La cosiddetta “mano di Prêles” è stata scoperta vicino al Lago di Biel, nella provincia occidentale di Berna, nell’autunno del 2017, insieme a una lama di bronzo e una costola umana. 
Poi, nell’estate del 2018, gli archeologi che lavoravano sul sito scoprirono i resti scheletrici di un uomo adulto che sembrava essere sepolto su una costruzione in pietra molto più antica. 
La sua tomba conteneva anche una spilla di bronzo, un ornamento di capelli in bronzo e resti di lastre d’oro, forse anche queste un tempo parte della mano di bronzo. 
Scoprendo l’identità di questo misterioso uomo, i ricercatori sperano che di essere in grado di decifrare il significato che si cela dietro l’insolita mano di bronzo. 

“Doveva essere un personaggio di alto rango”, ha aggiunto il Servizio archeologico del Cantone di Berna. “È ancora troppo presto per determinare se la mano è stata fatta nella regione dei Tre Laghi o in un paese più lontano.
 Non conosciamo né il significato né la funzione ad esso attribuita. Il suo ornamento d’oro porta a pensare che potesse essere un emblema del potere, un segno distintivo dell’élite sociale, persino di una divinità. 

 Tratto da www.iflscience.com

lunedì 1 ottobre 2018

Il monastero di Santa Caterina, la culla di tre religioni


Mura alte dodici metri e spesse due: a vederlo da fuori sembra più una fortezza che un luogo di culto, ma il monastero di Santa Caterina, nella penisola del Sinai, ha dovuto resistere per più di quindici secoli in un luogo isolato e pericoloso, in mezzo a infinite guerre e invasioni e sotto la costante minaccia dei predoni del deserto, quindi quest’oasi di pace è giustificata se ha voluto proteggersi per bene. 
Comunque gode di una specialissima raccomandazione: Maometto in persona ha sentenziato che nessuno avrebbe dovuto toccare il monastero, non in nome dell’Islam per lo meno; si conserva persino una lettera autografa del Profeta che intima il divieto.
 Gli studiosi di carte antiche potrebbero disputare l’autenticità di quel documento, ma il monito è stato preso sul serio per secoli ed è questo che conta.


Del resto l’evento celebrato dal monastero di Santa Caterina, cioè il primo dialogo fra Dio e Mosè, non riguarda solo il Cristianesimo ma prima ancora l’Ebraismo e in seguito l’Islam, che si considera continuatore di quelle tradizioni: il sito si trova dove Iddio parlò in forma di roveto ardente.


Nell’anno 328 dopo Cristo una prima chiesetta fu realizzata qui per desiderio di Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino; dal 527 un altro imperatore, Giustiniano, aggiunse diversi edifici e fece cingere il tutto da mura poderose.

 Quando subentrarono i musulmani si limitarono a ricavare nel perimetro del monastero una piccola moschea, che però fa mero atto di presenza e in tutti questi secoli non è mai stata aperta al culto.







Fonte: lastampa.it

domenica 30 settembre 2018

Rasaglia: il borgo dai tanti ruscelli


C’era una volta, e c’è ancora, un piccolissimo borgo tra i monti umbri. Rasaglia, un incantevole agglomerato di casette in pietra che ospita attualmente meno di 50 abitanti.
 Una frazione di montagna del comune di Foligno immerso nel verde. 
Tra le casette scorrono diversi ruscelli alternati da stradine scoscese e molto romantiche.


Alcuni hanno definito Rasaglia una piccola Venezia . 

Come per ogni borgo in queste zone, le sue mura hanno molto da raccontare: un vero libro di storia del nostro paese. 
Questa piccola bomboniera architettonica, nacque intorno al XIII secolo. 
Le prime case sorsero in questa zona ricca di acque limpide al fianco di mulini ad acqua e opifici tessili.
 Pian piano divenne così un vero e proprio centro produttivo: in passato si produceva ricchezza oggi benessere.






Il borgo di Rasaglia, ha mutato nel tempo la propria direzione economica. 
Con il declino delle aziende tessili presenti sul territorio, l’economia della zona ha puntato tutto sulle proprie bellezze. Grazie alle straordinarie caratteristiche architettoniche e naturali del borgo, infatti, vengono attirati a Rasaglia, numerosi turisti ogni anno. 
Inoltre, alcuni amanti di questo magico luogo, si sono prodigati per organizzare eventi atti a ravvivare il borgo. 
Infatti annualmente sono organizzati eventi come il presepe vivente a Natale o la manifestazione “Penelope a Rasiglia”. 
Quest’ultimo evento ha luogo a giugno e sono previste delle attività per rievocare il periodo dell’industria tessile presente nel borgo nei secoli scorsi. Infatti, in questo periodo vengono rimessi in moto i vecchi telai usati dagli opifici tessili e dai lanifici.







Fonte: viaggiare.moondo

Scoperte le cascate sottomarine più alte del mondo


Lì, sotto lo Stretto della Danimarca, che separa l’Islanda e la Groenlandia, si gettano silenziose in immense gole nascoste alla vista e sotto l’oceano le cascate più alte del mondo scoperte da poco dagli oceanografi.
 Di fatto, anche se subacquea, è la cascata più alta del mondo, con l'acqua che cade a quasi 3.505 metri, più di tre volte l’altezza delle più alte cascate terrestri, le cascate Angel.

 Le più famose cascate sottomarine sono sicuramente quelle presenti nella Mauritius, ma come si formano?

 Quando l’acqua più fredda e densa dei mari nordici incontra l’acqua più calda e più leggera del mare di Irminger ecco che si crea un autentico fenomeno naturale: l’acqua fredda è più pesante, scorre verso il basso e sotto l’acqua calda, e scorre creando un flusso verso il basso stimato a 5 milioni di metri cubi al secondo. In confronto, la portata delle cascate del Niagara è di "soli" 2407 metri cubi al secondo.


Gli oceanografi erano a conoscenza delle cascate sottomarine già negli anni ‘70 dell’Ottocento, ma la loro grande profondità e la loro area limitata impedirono uno studio preciso. 
Fu solo negli anni ’60 del ‘900 che l’investigazione del fenomeno divenne possibile con le moderne attrezzature e così circa una mezza dozzina di cascate sottomarine sono state scoperte solo nell’Oceano Atlantico.
 Tutte dalle dimensioni enormi: per esempio, la cascata del Ceara nel Nord Atlantico tra i continenti del Sud America e dell’Africa ha una portata compresa tra 1 e 2 milioni di metri cubi al secondo. Allo stesso modo, la cascata del Rio Grande a 20 gradi di latitudine sud nell'Oceano Atlantico ha una portata di 4 milioni di metri cubi al secondo, forse grande quanto quella dello stretto della Danimarca.

 Anche le cascate oceaniche giocano un ruolo importante nel mantenimento della salinità e del clima degli oceani, così come hanno influenza anche sulla biologia marina. 

Un fenomeno meraviglioso, che varrebbe la pena ammirare da vicino.


 Germana Carillo

venerdì 28 settembre 2018

L’Olandese Volante: il leggendario vascello fantasma frutto di un miraggio


Dalla fine del XVIII secolo, tutti i marinai che navigavano per mari e oceani avevano il terrore di imbattersi nell’Olandese Volante, il vascello fantasma che immancabilmente preannunciava un’inevitabile disgrazia. 
 Condannato a navigare in eterno, senza mai poter tornare a casa, con un equipaggio formato da spettri: quella dell’Olandese Volante è una leggenda che per oltre 250 anni si è alimentata delle superstizioni tanto diffuse tra i marinai.


Il primo racconto sul mitico vascello fantasma risale alla fine del ‘700, in un’opera attribuita a John MacDonald, che racconta: 
“Il tempo era così tempestoso che i marinai dissero di aver visto l’Olandese Volante. La storia comune è che questo olandese sia arrivato al Capo (di Buona Speranza) con cattivo tempo, e voleva entrare in porto, ma non riuscendo a trovare un pilota per condurla al sicuro, si era perso e da allora appare quando è brutto tempo.” 

Nel 1795, l’Olandese Volante viene citato anche da George Barrington, spedito alla prima colonia penale australiana, ma in seguito divenuto un personaggio importante.
 Nel suo Voyage to Botany Bay, Barrington racconta la storia di una fregata olandese abbandonata al largo del Capo di Buona Speranza.  
Alla fine del XVIII secolo, il leggendario Olandese Volante era quindi una “comune superstizione dei marinai”, una nave fantasma avvistata spesso nelle acque burrascose che bagnano la costa meridionale dell’Africa.


Ma com’era nata la leggenda? 

Una delle tante leggende del mare narra di un comandante olandese, Hendrick van Der Decken, che tornando ad Amsterdam dalle Indie Orientali, nel 1641, si ritrovò in mezzo a una terribile tempesta, mentre doppiava il Capo di Buona Speranza.
 Forse era impazzito o forse era solo ubriaco, comunque sia, il comandante non ascoltò le suppliche dei suoi marinai, e ordinò di proseguire la navigazione dentro la tempesta, anche a costo di impiegare tutta l’eternità per oltrepassare il Capo. 
Ovviamente la nave affondò, forse anche per la blasfemia di Van Der Decken, che piuttosto di cercare riparo nella baia dannò la sua anima e quella dei suoi uomini, ridotti a spettri condannati a vagare su acque tempestose fino alla fine dei giorni.

 I marinai raccontavano che il vascello fantasma portava le navi fuori rotta, facendole sbattere su rocce e scogli nascosti, ma se qualcuno aveva la sfortuna di guardare in faccia il comandante, allora la morte era certa. 
I coraggiosi che guardavano l’arrivo di una tempesta al largo del Capo di Buona Speranza, sicuramente avrebbero visto l’Olandese Volante e il suo spettrale equipaggio. 

 La leggenda divenne popolare anche al fuori dell’ambito marinaresco nel 1843, quando Wagner compose l’opera chiamata appunto L’Olandese Volante. 
Prima di lui, il poeta inglese Samuel Coleridge aveva scritto La ballata del vecchio marinaio, ispirato forse dalla storia del capitano Bernard Fokke, che riusciva a condurre la sua nave da Amsterdam all’isola di Giava (Indonesia) in soli tre mesi: un tempo così breve da indurre il sospetto che avesse fatto un patto con il diavolo. 
E infatti, nei racconti narrati tra marinai, spesso il comandante dell’Olandese Volante veniva visto giocare ai dadi con la Morte oppure con il diavolo in persona, arrivando sempre alla stessa conclusione: lo spettrale equipaggio del vascello fantasma avrebbe vagato per mari e oceani fino al giorno del giudizio

 

 Eppure, la leggenda dell’Olandese Volante non ha convinto solo superstiziosi marinai del 1700: nel 1881, il principe Giorgio del Galles (il futuro Giorgio V) e suo fratello, il principe Alberto, stavano navigando al largo delle coste australiane, in servizio come guardiamarina sulla HMS Bacchante.


Nel suo diario, il futuro re scrisse: 11 luglio. Alle 4 del mattino l’Olandese Volante ha incrociato la nostra rotta. 
Brillava di una strana luce rossa incandescente, come di una nave fantasma, in mezzo alla quale luce spiccavano in forte rilievo gli alberi e le vele di un brigantino, a 200 metri di distanza…” 

Quando la Bacchante giunse nel punto dove era stato avvistato il brigantino, non c’era traccia della nave, anche se la notte era chiara e il mare calmo. 
Però, ben tredici persone l’avevano vista. Fece comunque una brutta fine solo il marinaio che per primo aveva riferito dell’Olandese Volante: cadde dall’albero maestro 

 Ma gli avvistamenti dell’Olandese Volante proseguirono anche nel XX secolo: nel 1939, molti residenti di Città del Capo dichiararono di aver visto una nave a vele spiegate, scomparsa improvvisamente; durante la seconda guerra mondiale, alcuni marinai tedeschi videro qualcosa di simile a una nave fantasma nel Canale di Suez, come accadde anche a uno scrittore britannico, arruolato nella Royal Navy.


Anche se tutti questi avvistamenti possono sembrare frutto di fantasia, in realtà potrebbero avere una spiegazione scientifica: si tratta di un fenomeno chiamato fata morgana (frequente, ad esempio, nello stretto di Messina), un’illusione ottica dovuta alla rifrazione solare grazie alla quale si può vedere in maniera distorta un oggetto che realmente si trova oltre la linea dell’orizzonte, sia in mare sia sulla terraferma.
 In pratica, un miraggio 

 Probabilmente quindi, i marinai che avvistavano l’Olandese Volante erano invece vittime di Fata Morgana… un intreccio di leggende che continua ad affascinare ancora oggi: i film sui Pirati dei Caraibi ne sono una prova!

 Fonte: .vanillamagazine.it

giovedì 27 settembre 2018

In Nuova Caledonia c'è un albero “magico” che trasuda linfa azzurra


Un liquido appiccicoso azzurrognolo.

 Nel sul del Pacifico vive un raro albero che ha la capacità di trasudare una insolita resina colorata. 
Si tratta del Pycnandra acuminata e lo si può ammirare nelle foreste pluviali della Nuova Caledonia, in un'area in cui la terra è contaminata da metalli pesanti.

 Solitamente il nichel e lo zinco sono l'ultima cosa di cui le piante vorrebbero nutrirsi. E invece questo albero, alto oltre venti metri, ne è diventato un iperaccumulatore, evolvendosi per utilizzare a proprio favore delle sostanze che normalmente sarebbero tossiche, trasformando la sua linfa contaminata in una barriera naturale per gli insetti.


E a quaranta anni dalla scoperta di questa insolita resina colorata che trasudava dai tronchi della foresta pluviale, i ricercatori hanno dimostrato come questo albero si sia adattato al terreno della Nuova Caledonia, iniziando così a generare una linfa blu-verde fatta al 25% da nickel. 
Una caratteristica unica per un albero che impreziosisce la biodiversità di un paradiso terreste conosciuto soprattutto per la sua laguna, la più grande del mondo, da dieci anni Patrimonio mondiale dell'umanità

 Fonte: lastampa.it

martedì 25 settembre 2018

Sidro, succo e aceto di mele: differenze, proprietà e benefici


Il sidro di mele 

 Una bevanda dall’origine molto antica, le cui prime versioni pare risalgano ai tempi di Greci e Romani. Il sidro è ricavato dalla fermentazione delle mele, da cui si ottiene un liquido con una gradazione alcolica che va dai 2 all’8,5% Alc. Il sidro ottenuto può avere diverse caratteristiche, così come le altre bevande alcoliche: con un gusto che va dal secco al dolce; una frizzantezza più o meno accentuata; e un diverso grado di torbidità. Consumato specialmente nel Regno Unito, in Francia e Germania, il sidro è ricco di antiossidanti e di acido malico che contrasta la ritenzione idrica; senza contare che è stato dimostrata la sua capacità di favorire la digestione e riequilibrare il pH intestinale.


Il succo di mele 

 Il succo di mele è una bevanda piuttosto apprezzata per il suo ottimo sapore. Viene ottenuto facendo bollire le mele in acqua e limone, filtrando poi il tutto. La peculiarità interessante del succo è che mantiene buona parte delle sostanze benefiche della mela, come: i polifenoli e gli antiossidanti. Anche in questo caso non manca, poi, l’acido malico, con importanti funzioni depurative. Tra le proprietà e i benefici, inoltre, viene mantenuto un ottimo apporto alla regolazione dell’intestino. Una bevanda indubbiamente valida, anche per i più piccoli!


L'aceto di mele 

 L’aceto è di mele, come il sidro, è ricavato facendo fermentare le mele, solo più a lungo. Esso può essere utilizzato esattamente come il classico aceto di vino, presentando però un gusto più dolce e delicato. Una sostanza che presenta diverse proprietà e benefici per la salute, tra cui un ottimo apporto di sali minerali, quali il fosforo, il rame, il potassio, il magnesio e il ferro. Inoltre conserva diversi caratteristiche benefiche delle mele, quali il contrasto alla ritenzione idrica e la disinfezione delle vie urinarie. Senza contare poi che può essere utilizzato anche al di fuori della cucina: per l’igiene della casa, ma anche in ambito cosmetico. L’aceto di mele può essere usato, per esempio, per ravvivare la lucentezza dei capelli e per combattere la forfora.


 Fonte: www.innaturale.com

lunedì 24 settembre 2018

Una fitta ragnatela di trecento metri ha ricoperto la spiaggia greca di Aitoliko


Un'inquietante quanto enorme ragnatela ha ricoperto trecento metri di costa ellenica. 
Siamo ad Aitoliko, nella Grecia occidentale, a 300 chilometri da Atene, e anche se queste immagini potrebbero sembrare finte, documentano l'incredibile opera creata da migliaia di ragni Tetragnatha. 
Si tratta infatti di un enorme nido per l'accoppiamento che ricopre con uno spesso strato di ragnatele la vegetazione che si trova proprio a ridosso della spiaggia.


Trecento metri di costa sembrano essersi trasformati in un set di un film horror: tutto sembra avvolto dalla nebbia, in una surreale creazione fatta con chilometri e chilometri di fili di seta.

 A contribuire a questo insolito spettacolo della natura, il caldo fuori stagione che ha aumentato la popolazione di zanzare e a loro volta quella di questi ragni, non pericolosi per l'uomo.


Secondo quanto affermato da Maria Chatzaki, professoressa di biologia molecolare della Democritus University of Thrace, su quel tratto di costa si sono create le condizioni ideali per la riproduzione in gran numero della specie: «È come se i ragni ne abbiano approfittato per organizzare una grande festa». 
Ovvero, all'interno nell'enorme ragnatela che ricopre rocce, piante e alberi della costa greca, i ragni «si accoppiano, si riproducono e forniscono un'intera nuova generazione».


Pare comunque che il grande rave «non danneggerà in alcun modo la flora della zona.
 I ragni avranno la loro festa, e poco dopo moriranno». E con loro l'enorme ragnatela dovrebbe piano piano degradarsi, restituendo così la spiaggia ai turisti. 


 Fonte: lastampa.it

venerdì 21 settembre 2018

La Leucocarpa, oliva bianca per olio sacro


Verde e nera: sono questi i colori tipici delle olive, quelli che siamo abituati a vederle, ma c’è anche un varietà bianca.
 Si tratta della varietà Leucocarpa, che da verde diventa bianca, mentre le altre con il progredire della maturazione da verdi diventano nere con sfumature violacee. 

 Le drupe, il nome scientifico del frutto dell’ulivo, non riescono a effettuare la sintesi antocianina e quindi assumono un colore simile all’avorio.
 Se si unisce il fatto che possono rimanere sulla pianta più a lungo di altre varietà, fino anche a primavera, si ottiene un effetto cromatico molto particolare: il verde scuro delle foglie e il bianco delle olive.


La varietà Leucocarpa produce un olio molto chiaro, con una produttività costante. 
Non viene impiegato nella alimentazione umana, ma viene per tradizione mescolato con gli estratti di radici e balsamo per ottenete l’olio del Crisma. L’unguento usato dalla Chiesa cattolica in molte cerimonie come battesimo e cresima. 

Anche in altre Chiese di origine cristiana viene utilizzato per analoghe cerimonie sacre. 
Viene anche usato come olio combustibile in luoghi di culto perché bruciando produce poco fumo. 
 Proprio per questo suo utilizzo nell’ambito ecclesiastico viene coltivato nelle aree a tradizione bizantina in Calabria.
 Si possono trovare piante di Leucocarpa nei pressi dei monasteri basiliani. 

Anche questo è un esempio di quanto il panorama della biodiversità in Italia sia vasto, solo di olive si stimano che ci si siano più di 500 varietà. 


 Fonte: de-gustare.it
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