web

lunedì 11 maggio 2015

Perù. Gli acquedotti di Cantayo.


L’acquedotto di Cantalloc (o di Cantayo, nome ispanizzato) è un'opera di ingegneria idraulica eccezionale e molto più complessa delle linee di Nazca.
 Esso fa parte di un sistema di acquedotti dello stesso tipo (chiamati "puquios") costruiti dalla civiltà preincaica dei Nazca circa 1500 anni fa. 
 L'acquedotto assicurava l'approvvigionamento idrico alla città di Nazca e ai campi circostanti, permettendo la coltivazione di cotone, fagioli, patate, ecc. in una regione altrimenti arida.


Il modello di trasporto idrico è basato sul Qanat, originario dell'antica Persia e che fu in seguito utilizzato anche da varie culture sia sulla via della seta fino in Cina che nella penisola Iberica. 
 Le acque vengono prelevate direttamente dalle falde acquifere presenti nelle zone montagnose circostanti la pianura di Nazca. 
Per ovviare al clima desertico, estremamente caldo e secco, l'acqua viene convogliata in una condotta sotterranea che, oltre ad evitare l'evaporazione del prezioso liquido, raccoglie le acque che filtrano dal terreno, aumentandone così l'efficienza.


Dapprima venivano scavati dei pozzi distanti 20-50 m l'uno dall'altro, fino a trovare la falda acquifera. Questi pozzi, detti anche "ojos de agua" (occhi d'acqua), servivano sia come punti di accesso all'acqua, che da ispezione per manutenzione dell'acquedotto.
 Essi venivano collegati tramite una serie di condotte.
 Nei pressi della città di Nazca la condotta dell'acquedotto di Cantalloc si trova a circa 4-5 metri di profondità; è possibile accedere alla condotta tramite i pozzi che sono costituiti da degli scivoli circolari e spiraleggianti che si inabissano nel terreno fino a raggiungere l'acqua.
 L'acquedotto è tuttora funzionante e visitabile a pochi chilometri dalla città di Nazca.


Ci sono versioni contrastanti circa l'esatto periodo di costruzione degli acquedotti. 
Molti archeologi dicono che siano stati costruiti da architetti della civiltà Nazca attorno al 540 d.C. in risposta a due periodi di siccità prolungati in quei tempi. 
 Mancano comunque riferimenti storici dopo e prima della conquista spagnola.
 Il primo scritto storico riguardante la loro esistenza fu nel 1605 per opera di Reginaldo de Lizárraga, per cui alcuni contestano che essi possano essere stati costruiti dagli spagnoli, benché non vi siano prove di testi spagnoli che ne testimonino la costruzione






Un'altra diatriba riguardante i Puquios, è l'asserzione fatta da David Johnson il quale sostiene che le linee di Nazca descrivano mappe e puntatori alle falde acquifere sotterranee che alimentano il sistema dei Puquios. 
 Ci sono circa una trentina di Puquios nella zona di Nazca, molti dei quali ancora oggi funzionanti.
 I più importanti sono: Ocaña, Matara, Uchulla, Tejeje, Bisambra, Aja, Curve, Llícuas, Soisonguito, Copara e la Achirana. 

I Puquios non sono mai stati completamente mappati 

 Fonte: wikipedia

Leone operato di tumore con un robot a Lodi, il primo al mondo


Eccezionale intervento lo scorso 20 aprile presso l’Ospedale Veterinario Universitario di Lodi: e’ stato asportato un surrene affetto da tumore a un leone di 8 anni. 
Si tratta del primo caso in assoluto al mondo di intervento effettuato su un animale tramite l’ausilio del robot chirurgico “Telelap ALF-X”. 
L’operazione e’ andata bene al punto che il paziente, che ha riportato solo 3 ferite di circa 3 centimetri, ha potuto deambulare gia’ 3 ore dopo la fine dell’anestesia generale, mostrando un ripristino delle normali funzioni organiche nelle 24 ore successive. Ora, completamente ristabilito, e’ tornato a casa, al Parco Safari delle Langhe di Murazzano in provincia di Cuneo. 

Circa trenta giorni prima, la veterinaria del Parco, Alice Andolfatto, aveva contattato Giuliano Ravasio, ricercatore della Statale, per un consulto su Leonardo, un Leone maschio di 8 anni che da qualche tempo lamentava una sintomatologia riferibile ad una malattia endocrina.
 Il “paziente” era stato quindi trasferito presso il Polo Veterinario di Lodi dell’Universita’ degli Studi di Milano per essere sottoposto a una TC toraco-addominale eseguita dal dottor Davide Zani e dal dottor Maurizio Longo, che rivelava la presenza di un tumore di 4 cm di diametro a carico del surrene sinistro.
 Nella stessa sede, una biopsia aveva confermato la natura neoplastica della massa. 
Nessun tumore surrenalico ne’ tantomeno la sua asportazione erano mai stati descritti in letteratura nella specie leone. A questo punto il dilemma. 
L’uso della chirurgia tradizionale a cielo aperto per l’asportazione di una neoplasia in una sede cosi’ delicata avrebbe comportato un importante danno ai tessuti e il decorso post operatorio sarebbe stato lungo e stressante per l’animale, con un rischio decisamente alto di complicanze post operatorie connesse alla ferita chirurgica. 

Da qui l’idea di ricorrere alla chirurgia laparoscopica mini-invasiva teleassistita. 
Dell’equipe medica coinvolta nella diagnostica e nell’intervento hanno fatto parte Giuliano Ravasio (responsabile del progetto e responsabile dell’Unita’ Operativa di Anestesia dell’Ospedale Veterinario Lodi della Statale di Milano), Davide Zani (vice responsabile dell’Unita’ Operativa di Radiologia dell’Ospedale Veterinario di Lodi) e Maurizio Longo (dottorando di ricerca ), con il contributo di Stefano Nicoli e Luca Formaggini.
 Il robot “Telelap ALF-X”, che l’italianissima azienda SOFAR S.p.a. ha concesso in uso all’Azienda Polo Veterinario di Lodi, e’ una macchina avveniristica, già impiegata presso il Policlinico Gemelli di Roma
.

Il robot lavora con un meccanismo simile a quello della laparoscopia classica ma i bracci chirurgici vengono comandati a distanza da una consolle.
 Questa tecnologia trasmette al medico una visione interna dell’addome tridimensionale e ad alta definizione. 
Grazie a particolari software fornisce una sensibilità tattile sulla consistenza dei tessuti e mediante un originale eye-tracker consente all’operatore di spostare la telecamera, e quindi l’inquadratura, con il semplice movimento degli occhi. 

Questo intervento pionieristico effettuato su un leone potrebbe aprire le porte a una nuova era di chirurgia robotica, anche per animali che devono essere sottoposti a interventi particolari o a specie che necessitino di un post-operatorio il più  possibile privo di stress.


Fonte: meteoweb.eu

La pianta africana che cresce sopra ai diamanti


Una rara pianta palmiforme tipica di Senegal e Camerun, la Pandanus candelabrum, sembrerebbe avere una predilezione per i suoli situati sopra ai camini di kimberlite, colonne di roccia vulcanica famose per ospitare giacimenti primari di diamanti. 
 È quanto scoperto da Stephen Haggerty, ricercatore della Florida International University di Miami e coordinatore delle esplorazioni della Youssef Diamond Mining Company, durante alcuni sopralluoghi in Liberia.
 La pianta, che ha un sistema di radici aeree simile a quello delle mangrovie e si innalza fino a 10 metri da terra, sembrerebbe crescere esclusivamente sopra ai depositi di questa roccia, forse in virtù di un adattamento ai suoli ricchi di magnesio, potassio e fosforo fertilizzati dalla vicina kimberlite


La presenza di piante che segnalino giacimenti interessanti nel sottosuolo non è una novità: da tempo si sa, per esempio, che la Lychinis alpina, una piccola pianta dai fiori rosa, così come un arbusto chiamato Haumaniastrum katagense, indicano la vicina presenza di depositi di rame. 
 Ma è la prima volta che si scopre una pianta legata alla kimberlite. 

La sua presenza, se i suoi "gusti" in fatto di suolo venissero confermati, potrebbe fare gola a molti: ai cercatori di diamanti, così come alla comunità scientifica che nei diamanti, formatisi nelle profondità terrestri per effetto di pressione e calore, ricerca dati sull'antica composizione del mantello terrestre.


Fonte: http://www.focus.it/

Un sogno chiamato Rocchetta Mattei


La Rocchetta Mattei è una rocca situata sull’Appenino Bolognese nel comune di Grizzana Morandi in provincia di Bologna.
 Ricca di stili diversi, dal medievale al moresco, fu eretta nella seconda metà dell’Ottocento su commissione del Conte Cesare Mattei, letterato e medico fondatore della medicina elettromeopatica.
 Mattei fece della preziosa Rocchetta la sua dimora, dove egli conduceva una vera e propria vita da castellano medievale arrivando anche alla formazione di una piccola corte privata. 

Inizialmente, il castello era pensato per divenire la sede della nuova medicina che il Conte praticava con grande successo ospitando anche illustri personaggi che arrivavano da tutto il mondo per farsi curare e conoscere la sua particolare scienza.
 La fama della Rocchetta crebbe con quella del Conte e della sua medicina, nella quale si mescolavano il potere delle erbe con quello dell’elettricità vegetale. 
Fra i numerosi ospiti celebri che fecero tappa alla Rocchetta pare ci fossero anche Ludovico III di Baviera e lo zar Alessandro II.


Durante la Seconda Guerra Mondiale le truppe tedesche occuparono la residenza del medico, danneggiandone gli interni a tal punto che l’ultima erede, Iris Boriani, offrì la Rocchetta gratuitamente al Comune di Bologna, che però non accettò la donazione.
 Nel 1959 la Rocchetta viene infine acquistata da Primo Stefanelli che adibì quello che era il padiglione da caccia ad un accogliente albergo con ristorante.
 L’obiettivo principale era quello di riparare i danni per riportare il castello nelle originarie condizioni di splendore e farne una meta turistica di grandissimo interesse. 
Con la morte di Stefanelli la Rocchetta viene definitivamente chiusa al pubblico.
 Nel 2006 la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna ha ufficialmente annunciato l’acquisizione della Rocchetta Mattei. 

L’insieme di edifici che forma il castello è collocato su un complesso medievale, dominio della Contessa Matilde di Canossa. L’ingresso principale si apre sulla strada statale Porrettana e un’iscrizione in alto ricorda l’origine dell’edificio: 
“ Il Conte Cesare Mattei – sopra le rovine di antica rocca – edificò questo castello dove visse XXV anni – benefico ai poveri – assiduamente studioso – delle virtù mediche dell’erbe – per la qual scienza ebbe nome in Europa – ed era cercato dagli infermi il suo soccorso – il III Aprile MCMVI “


Tramite una larga e comoda scala si arriva al corpo abitato.
 Dallo stesso lato una porta conduce a una scaletta e poi al magnifico loggiato noto come Loggia Carolina in stile orientale, dove si trovano la camera bianca e la camera turca.


La scala della Torre conduce, attraverso un ponte levatoio, a una stanzetta dalle finestre piccole e dal soffitto a stallatiti, che fu la camera da letto del Conte Cesare Mattei, in cui sono ancora conservati i mobili originali e le pipe di proprietà del conte. 
Quasi di fronte si trova la scala delle visioni dove una fantasia allegorica nella volta rappresenta la nuova scienza omeopatica che vince la vecchia medicina.


La scala conduce alla sala inglese sull’alto della torre principale.
 Si arriva così al cortile dei Leoni, la parte meglio riuscita dell’intero edificio, riproduzione del cortile dell’Alhambra di Granada.




Attraversato il cortile si giunge al salone della pace, così chiamato in omaggio alla fine vittoriosa della Grande Guerra, e successivamente nella sala della musica.


Grazie a le sue particolarissime atmosfere la Rocchetta Mattei è stata, inoltre, lo sfondo di un romanzo giallo dello scrittore bolognese Loriano Macchiavelli, “Delitti di gente qualunque” e set cinematografico dei film “Balsamus” di Pupi Avati e “Enrico IV” di Marco Bellocchio.






Fonte: travelemiliaromagna.it

venerdì 8 maggio 2015

Alla scoperta delle Bocche di Cattaro, paradiso quasi sconosciuto del mare Adriatico


Come tutti ben sanno, il Mediterraneo abbonda di ricchezze storiche e naturali. 
Da citare fra tutte queste, indubbiamente poco conosciute ma, in ogni caso, degne di grande importanza, sono le bellissime Bocche di Cattaro, presso la città di Kotor (Cattaro), in Montenegro, conosciute anche come “fiordo d’Europa” , patrimonio dell’umanità UNESCO.
 Esse rappresentano senza alcun dubbio una delle meraviglie naturali dell’area mediterranea grazie alla bellezza del paesaggio, alla ricchezza biologica ed alla forte eredità storica ed antropologica.


Esse sono propriamente una serie di insenature della costa della costa montenegrina, costituite da ampi valloni fra loro collegati che si inseriscono profondamente nell’entroterra.

 L’insieme delle bocche di Cattaro ha una superficie di 87 km² ed è costituito dalle bocche vere e proprie (ossia il canale d’ingresso che comunica con l’Adriatico) e da quattro bacini separati, di una profondità variabile dai 40 ai 60 metri.
 L’ingresso delle bocche di Cattaro è segnato a nord dalla sottile penisola di Vittaglina (Prevlaka in montenegrino) e dalla Punta d’Ostro (o Punta Acuta), che costituisce anche la propaggine più meridionale della Croazia, e a sud dalla Punta d’Arza; oltre questo passaggio vi è anche la baia di Topla o golfo di Castelnuovo. 

 Per mezzo del canale di Kumbor si passa al secondo bacino, il più esteso: la baia di Teodo, di forma triangolare. 
Quest’ultima è collegata mediante lo stretto delle Catene (lungo 2 km e largo appena 300 metri) agli ultimi due bacini, anch’essi di forma vagamente triangolare ma più piccoli, che sono il golfo di Risano a Nord-ovest e il golfo di Cattaro a Sud-est.
 I due golfi più interni si sviluppano lungo le pendici dirupate delle brulle Alpi Dinariche, tra cui svetta il Monte Lov?en (Monte Leone) sopra Cattaro.
 L’area è  fortemente carsica: l’acqua delle abbondantissime precipitazioni scompare infatti nel sottosuolo, dove forma fiumi sotterranei che sfociano nel mare, causandone il basso tasso di salinità. 

A causa della particolare conformazione geografica, con le montagne che si affacciano sul mare, le Bocche di Cattaro presentano anche una grande varietà climatica: si passa infatti dal clima Mediterraneo a quello sub-alpino. 
Ovviamente questa varietà climatica induce una spettacolare varietà di ecosistemi, caratterizzati da numerose varietà di alberi e piante: l’alloro, tipica pianta mediterranea, gli oleandri vicino alla città di Risan ed i pini nell’area nordoccidentale.
 La specie endemica più rappresentativa è una lumaca (Clausilia catharensis) che vive solo sugli antichi muri della città di Kotor.
 Il fiordo rappresenta inoltre l’area più ricca di vita di tutto il mare Adriatico, proprio perché è caratterizzata dalla presenza di molteplici specie rare ed endemiche.


Particolarmente importante è in questo contesto la posizione geografica, al confine fra Oriente ed Occidente: per secoli, prima i Veneti e poi l’impero Austro-Ungarico, proprio per la facile difendibilità, ne hanno costituito infatti munitissime quanto inespugnate basi navali militari.
 Il centro più importante di queste zone è indubbiamente Kotor, che funge anche da capoluogo amministrativo e politico della zona. 
Da citare è senza dubbio anche Risan, capoluogo della regione in tempi antichi, affascinante cittadina che ha conservato i resti di antichi edifici, iscrizioni e mosaici. 
Questa città possiede quasi il 70% del patrimonio artistico dell’intero Montenegro ed è dal 1979, insieme alle bocche stesse, patrimonio dell’umanità UNESCO.








La bellezza della zona ha affascinato anche scrittori famosi come Margherite Yourcenar, George Bernard Shaw e Lord Byron. 
Artisti di tutto il mondo le hanno attribuito appellativi come “La sposa del Mare Adriatico”, “La fata del Mare”, “Il golfo più bello del mondo”, “La bella bocca del Mediterraneo”. 
Nessuno tuttavia è in grado di descrivere la struggente bellezza che si presenta al visitatore, che fece persino scrivere al poeta Ljuba Nenadovic: “Mi sembra strano che il sole possa tramontare su tale bellezza.” 
Ciò si addice senza dubbio con pienezza a queste splendide bocche di bellezza tale da essere considerate, a pieno titolo, un patrimonio (in quanto inestimabile ricchezza e splendore) dell’umanità. 

Fonte: meteoweb.eu

Contro le zanzare adotta un pipistrello


Volete sbarazzarvi delle zanzare in modo rapido, eco sostenibile e alla moda? 
Procuratevi un… pipistrello o magari un’intera famigliola di questi piccoli mammiferi volanti che in una notte possono mangiarsi fino a 2.000 zanzare a testa (sperando che non siano tutte accalcate nella vostra camera da letto). 
 Ma come fare ad attirare sul proprio terrazzo o nel proprio giardino questi simpatici killer alati?


Basta offrire loro un rifugio adeguato.
 E non c'è bisogno di trasformare la casa in una bat caverna. Basta una scatoletta a forma di parallelepipedo in legno di betulla di circa 35 cm per 60, spesso 5 assemblato senza collanti e coloranti che respingerebbero l’utilissimo ospite.
 Le bat box - come sono state ribattezzate - esistono da qualche anno: sono la declinazione pratica del progetto "Un pipistrello per amico" sviluppato dal Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze e finalizzato alla protezione dei chirotteri. 
 Si possono costruire in casa con pannelli di legno spessi almeno 1,5 cm


Se non avete la passione del bricolage, il bat-rifugio può essere acquistato nei supermercati, negli ipermercati e nei negozi di bricolage a meno di 30 euro.
 Il momento migliore per “affittarle” ai pipistrelli è tra marzo a maggio, quando escono dal letargo: si appende ad almeno quattro metri da terra e poi si aspetta l’arrivo di una coppia di potenziali inquilini. 

 DOVE APPENDERLA? 
Su un muro, per esempio la parete esterna della casa, vicino a zone alberate o direttamente su un albero.
 Ma attenzione a non metterla proprio sotto una zona di passaggio: anche i pipistrelli, come gli uccelli, fanno la cacca. E potrebbero colpirvi. 
Non montatele su lastre di metallo (non vengono colonizzate) e fate attenzione che non siano illuminate da luci durante la notte perché non aiutereste i pipistrelli a rendersi conto dell'arrivo del crepuscolo.

 A fine stagione i chirotteri si ritireranno in grotte e cavità sotterranee dove, salvo sporadiche uscite, trascorrono in stato di letargo l'inverno.

 Fonte : focus.it

Il pittoresco arcobaleno di colori dei Butchart Gardens


I Butchart Gardens si estendono per ben 22 ettari sull’isola di Vancouver, in Canada.
 Si tratta di uno dei cinque parchi pubblici migliori del Nord America, un’attrazione capace di richiamare più di un milione di visitatori all’anno grazie alla bellezza delle sue piante fiorite, ma non solo, il particolare metodo di gestione ne fa un valorosissimo esempio di sostenibilità. 

 Quando all’inizio del ‘900 la famiglia Butchart si trasferì in Canada, non avrebbe mai pensato che da una cava di calcare sarebbe riuscita a far nascere uno dei giardini fioriti più belli al mondo. 
Proprietari di un cementificio, presero casa nell’isola di Vancouver proprio per recuperare la materia prima di cui avevano bisogno. E mentre il signor Butchart coltivava la cava, la signora Butchart abbelliva la loro abitazione, situata nelle vicinanze, ornandola di rose e fiori di ogni genere. 
Quando la vicina cava si esaurì completamente, decisero che sarebbe diventata parte integrante del loro giardino e così esso crebbe sempre di più, in dimensioni e valore, fino a divenire lo spettacolo unico che può essere ammirato oggi.


Entrando nei giardini Butchart si è accolti da un’opera d’arte tutta italiana, un cinghiale bronzeo copia di una statua del famoso Piero Tacca, artista toscano del ‘600.
 Poco più in là, il punto di ristoro “Benvenuto” fa da crocevia tra le serre e il giardino all’italiana. Una green house che si estende per più di un ettaro; e proprio qui, oltre a un’esposizione esemplare di specie da interno, vengono moltiplicate e messe a germogliare le piante annuali che andranno a ornare le aiuole del parco: tulipani, papaveri dell’Himalaya, ciclamini, crocchi, begonie da tubero e gerani.
 Il giardino all’italiana, invece, brilla per i giochi d’acqua e le composizioni floreali attorniate da siepi di bosso. 
Poco oltre, il giardino mediterraneo; una zona rocciosa in cui i Butchart misero a dimora specie rustiche, come ad esempio i sedum, piante colorate e lussureggianti in quasi tutti i periodi dell’anno.

 

Continuando la vostra visita verrete ammaliati dal giardino giapponese. 
Realizzato nel lontano 1907, è caratterizzato da laghetti e ponticelli orientali che regalano quiete e serenità a chi passeggia, in particolar modo durante l’autunno, quando le foglie rosse degli aceri (Acer japonicum e Acer palmatum) creano uno scenario unico.
 Dopo aver superato la fontana dei 3 storioni, opera originale dell’italiano Sirio Tofanari, ci si imbatte nel roseto di Mrs. Butchart.
 Ornato da aiuole di Delphinium, il roseto fu il fiore all’occhiello per la capostipite di famiglia, tradizione rispettata poi dai suoi successori, abilissimi nella cura di rose rampicanti, ricadenti e moderne dai colori sgargianti.

 






Ma il vero cuore pulsante del giardino, è il Sunken Garden letteralmente “il giardino sommerso” si tratta di una zona verde realizzata all’interno della vecchia cava, una depressione che permette lo sviluppo di specie ornamentali tipiche degli ambienti umidi.
 Tutt’attorno una selezione raffinata di arbusti e alberi da fiore intervallati da aiuole, uno spettacolo che può essere vissuto in prima persona passeggiando tra narcisi e tulipani, magnolie e meli da fiore, o ammirato da punti panoramici per una visuale d’insieme mozzafiato.


Il giardino dei Butchart è senza dubbio unico, per stile e per bellezza; ma lo è ancor di più se si considera il modo con cui viene gestito, particolarmente attento a ridurre l’impatto ambientale e votato al risparmio delle risorse.
 Le piante vengono protette limitando al massimo l’impiego di pesticidi e viene comunemente utilizzata la lotta biologica; l’acqua piovana viene puntualmente recuperata e la gestione dell’impianto di irrigazione è sempre più efficiente, finalizzato ad azzerare lo spreco della risorsa idrica. 
Il riciclo dei rifiuti, invece, è un vero e proprio vanto per i gestori del parco che nel 2013 sono riusciti a recuperare quasi 30 tonnellate di cartone da imballaggio, 57mila contenitori per bevande e ben 5 tonnellate tra vetro, metallo e carta.

 I Butchart gardens sono un esempio di come un parco può essere gestito secondo pratiche ecocompatibili senza perdere l’appeal con il pubblico; un modo intelligente e all’avanguardia per valorizzare uno spazio verde che affonda le sue radici in più di un secolo di storia.


Fonte: growtheplanet.com
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...