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martedì 28 novembre 2017

Ossidiana, il vetro vulcanico


Tra le meraviglie che l’attività vulcanica riesce a creare, come intere isole o labirinti di caverne, c’è un materiale le cui particolari proprietà sono note e utilizzate da millenni: l’ ossidiana. 

L’ossidiana è un vetro vulcanico che si forma quando una lava ricca di feldspato e quarto si raffredda rapidamente senza creare grossi cristalli, lasciando un materiale duro, fragile e che si frattura creando bordi estremamente taglienti, così taglienti da essere tutt’ora utilizzati per la realizzazione di bisturi chirurgici d’eccellenza. 

 Il nome dell’ossidiana lo si deve a Obsidius, un esploratore Romano che in Etiopia trovò alcune pietre nere che chiamò “lapis obsidianus”.

 L’ossidiana è reperibile in località che hanno vissuto eruzioni vulcaniche riolitiche (ad alto contenuto di silicio), come Lipari e Pantelleria in Italia. 
Il suo primo utilizzo risale a circa 700.000 anni fa, mentre i resti di una lavorazione precisa ed esperta risalgono al V° millennio a.C. L’ossidiana è generalmente scura con tonalità di colore date dalla presenza di impurità, andando da un marrone scuro a un nero profondo. 
Non si tratta di un vero minerale perché manca di una struttura cristallina; inoltre, la sua composizione è troppo variabile da essere considerata un mineraloide. 

 L’ossidiana è un materiale relativamente instabile dal punto di vista geologico. 
E’ raro trovare pezzi di ossidiana più vecchi di 20 milioni di anni perché nell’arco del tempo l’ossidiana tende a trasformarsi da vetro vulcanico a semplice roccia in un processo noto come “devetrificazione”: in questa fase le molecole di silicio pian piano si riorganizzano in una struttura cristallina, facendo perdere le peculiari proprietà dell’ossidiana. 

 Grazie alla sua capacità di creare bordi estremamente taglienti, l’ossidiana è stata utilizzata fin dall’antichità per produrre lame e punte di armi. 
Ancora oggi alcuni strumenti chirurgici da taglio hanno lame di ossidiana, più affilate (ma più fragili) dell’acciaio anche a livello microscopico.


I nostri antenati si resero conto che l’ossidiana, quando si spacca, crea fratture concoidi come il quarzo o la selce. 
Una frattura concoide non segue il piano cristallino del materiale fratturato, ma crea frammenti e schegge con curvature che ricordano molto quelle delle conchiglie dei molluschi.
 Quando si colpisce un blocco di ossidiana, si genera un “bulbo di percussione” in prossimità del punto di impatto.
 Dal bulbo di percussione si estendono le onde d’urto lasciando segni simili alle increspature generate da un sasso caduto in acqua.


Le popolazioni mesoamericane precolombiane elevarono ad arte la lavorazione dell’ossidiana, utilizzando questo materiale non solo per la fabbricazione di lame ma anche per oggetti decorativi come specchi e piatti.
 Grosse schegge di ossidiana fornivano bordi taglienti al macuahuitl, una versione primitiva ma efficace delle spade del Vecchio Continente. 
Sebbene alcuni popoli possedessero nozioni di metallurgia di base e lavorassero metalli teneri come l’oro, nessun metallo a loro conosciuto consentiva di avvicinarsi alle capacità di taglio di una lama di ossidiana. 

 Fonte: vitantica.net

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