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giovedì 3 aprile 2014

Craco uno dei tanti gioielli italiani che cade in rovina

Craco (Graculum in latino) è un comune italiano di 762 abitanti della provincia di Matera in Basilicata.
Negli anni sessanta, il centro storico ha conosciuto un'evacuazione che lo ha reso una vera e propria città fantasma.
Tuttavia, questo fenomeno ha contribuito a rendere particolare l'abitato di Craco, che per tale caratteristica è diventato una meta turistica ed un set cinematografico per vari film.

Erberto, di probabile origine normanna, ne fu il primo feudatario tra il 1154 e il 1168.
La struttura del borgo antico risale a questa epoca, in cui le case sono arroccate intorno al torrione quadrato che domina il centro. Nel 1276 Craco divenne sede di una Universitas.
Durante il regno di Federico II, Craco fu un importante centro strategico militare.
Il torrione infatti domina la valle dei due fiumi che scorrono paralleli, il Cavone e l'Agri, via privilegiata per chi tentava di penetrare l'interno.
La torre di Craco, insieme ad altre fortificazioni ed avamposti della zona, come la Petrolla, di rimpetto a Craco, erano barriera di protezione per città al tempo ricche quali Pandosia e Lagaria, entrambe al di là dell'Agri, entrambe prospicienti la Siritide.
Nel XV secolo, la città si espanse intorno ai quattro palazzi: Palazzo Maronna, vicino alla torrione, con bell'ingresso monumentale in mattoni, e con grande balcone terrazzato.
Palazzo Grossi, vicino alla Chiesa Madre, ha un alto portale architravato, privo di cornici.
I piani superiori sono coperti da volte a vela e decorati con motivi floreali o paesaggistici racchiusi entro medaglioni. Parte delle finestre e dei balconi conservano ringhiere in ferro battuto.
Palazzo Carbone, edificio della fine del Quattrocento, ha un ingresso monumentale. Nel Settecento, il palazzo fu rinnovato ed ampliato.

Palazzo Simonetti. Moti rivoluzionari e brigantaggiomodifica
Nel 1799 Innocenzo De Cesare, studente a Napoli, rientrò a Craco, e capeggiò il movimento della "borghesia rurale", movimento rivoluzionario della Repubblica partenopea che si proponeva, con sommosse e tumulti in tutta la regione, di rompere i rapporti feudatari che caratterizzavano l'agricoltura del tempo.
A Craco, la rivolta fu sedata nel sangue, a Palazzo Carbone.
Come gran parte dei centri lucani, anche Craco non fu estranea al brigantaggio.
Durante il decennio napoleonico, bande di briganti comandate da capimassa come Domenico "Rizzo" Taccone, Nicola "Pagnotta" Abalsamo e Gerardo "Scarola" Vota, sostenute dal governo borbonico in esilio, attaccarono Craco il 18 luglio 1807, depredando e uccidendo i notabili filofrancesi e dando libero sfogo a vendette personali.
L'8 novembre 1861, nel pieno della reazione borbonica poco dopo l'unità d'Italia, l'armata brigantesca di Carmine Crocco e José Borjés, dopo aver occupato e devastato Salandra, si diresse verso Craco.
Crocco raccontò nelle sue memorie che incontrarono «a mezza via una processione di donne e fanciulli con a capo il curato con la croce.
Venivano a chiedere clemenza per il loro paese e clemenza fu accordata, poiché non si verificarono che piccoli disordini difficili ad evitarsi con tanta gente e più semplicemente con gente di tal natura».
Secondo altre versioni, sembra che i disordini avvenuti a Craco non fossero del tutto marginali, tant'è che Borjès annotò nel suo diario: «riuniamo la truppa poi abbiam fatto strada verso Cracca (Craco), ove noi siam giunti a tre ore di sera: la popolazione intera ci è venuta incontro; e malgrado di ciò, avvennero non pochi disordini». Sui fatti di Craco e sulla situazione esistente dopo l’uscita del paese delle bande in marcia verso Aliano, ne parlò anche Giuseppe Bourelly, militare del regio esercito che partecipò alla repressione del brigantaggio in Basilicata, il quale sugli avvenimenti di quelle giornate riporta: «Intanto il Maggiore Cappa del 50° di linea informato che Borjés con la sua banda minacciava invadere Miglionico, Grassano e Grottole, radunava in Altamura tutte le truppe ch’erano pronte e si metteva in marcia per Miglionico.
Da questo paese andò a Pisticci e da qui si portò a Craco che trovò saccheggiato e nel massimo disordine».
In questo periodo si distinse un brigante crachese chiamato Giuseppe Padovano, alias "Cappuccino", ex soldato borbonico datosi alla macchia.
A causa di una frana di vaste proporzioni, nel 1963 Craco fu evacuata e l'abitato trasferito a valle, in località Craco Peschiera. Allora il centro contava oltre 2000 abitanti.
La frana che ha obbligato la popolazione ad abbandonare le proprie case sembra essere stata provocata da lavori di infrastrutturazione, fogne e reti idriche, a servizio dell'abitato.
Paese fantasma Ad onta di questo esodo forzato, Craco è rimasta intatta, trasformandosi in un paese fantasma.
Nel 2010, il borgo è entrato nella lista dei monumenti da salvaguardare redatta dalla World Monuments Fund.
Il comune, nella realizzazione di un piano di recupero del borgo, ha istituito, dalla primavera del 2011, un percorso di visita guidata, lungo un itinerario messo in sicurezza, che permette di percorrere il corso principale del paese, fino a giungere a quello che resta della vecchia piazza principale, sprofondata in seguito alla frana.
Nel dicembre 2012, è stato inaugurato un nuovo itinerario, che permette di addentrarsi nel nucleo della città fantasma.
Monumenti e luoghi d'interesse Numerosi turisti salgono a Craco per vedere le rovine del paese fantasma e per avventurarsi tra i vicoli e i dintorni.
Il terreno argilloso e brullo coesiste con quello marnoso: su uno sperone di marna calcificata dal tempo sorge il torrione, che per i Crachesi è il "castello".
Olivi secolari misti a cipressi antichi sono dal lato del paese verso lo Scalo, quest'ultimo sulla ferrovia calabro lucana da questo lato divelta e abbandonata.
Le contrade "Canzoniere": prende il nome da un'antica taverna posta lungo un tratturo una volta molto frequentato. La storia vuole che a gestire la taverna fosse una donna affascinante che riduceva in suo potere i malcapitati sedotti dalla sua avvenenza: la maliarda li uccideva e li metteva sotto aceto, facendone il piatto forte della sua osteria.
"San Lorenzo": un'antica fontana a volta, sulla via verso il Cavone dove palme alte convivono con gli olivi sullo sfondo di masserie, arroccate e nel contempo aperte al territorio, come quelle "Galante" e "Cammarota", con il loro svolgersi su due livelli, gli archi che reggono la scala esterna e i terrazzi che sembrano spalti a difesa di non improbabili attacchi. "Sant'Eligio": protettore dei maniscalchi trova in Craco un tributo che va al di là della semplice menzione toponomastica, con la sua cappella affrescata, forse del Cinquecento, con le sue scene di santi intorno a un Cristo che pur crocifisso resta Pantocratore.
Le prime tracce delle origini di Craco sono alcune tombe, che risalgono all'VIII secolo a.C. Come altri centri vicini, è probabile che abbia offerto riparo ai coloni greci di Metaponto, quando questi si sono trasferiti in territorio collinare, forse per sfuggire alla malaria che imperversava nella pianura.
Craco fu successivamente un insediamento bizantino. Nel X secolo monaci italo-bizantini iniziarono a sviluppare l'agricoltura della zona, favorendo l'aggregamento urbano nella regione.
La prima testimonianza del nome della città è del 1060, quando il territorio fu sottoposto all'autorità dell'arcivescovo Arnaldo di Tricarico, che chiamò il territorio Graculum, ovvero piccolo campo arato.

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