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lunedì 10 marzo 2014

Districarsi in un labirinto


Il primo labirinto fu costruito a Cnosso nell'isola di Creta dall'architetto greco Dedalo: l'incarico gli fu affidato dal re Minosse che voleva chiudere in un intrico complicatissimo un essere mostruoso, metà uomo e metà toro, il Minotauro. 
A sconfiggerlo sarà poi Teseo, che saprà uscire dal labirinto seguendo il filo che Arianna, figlia di Minosse, gli aveva affidato all'ingresso. 
In ricordo di questi mitici eventi, a Pompei si ornavano i pavimenti della Villa del Labirinto con un mosaico poi chiamato "Teseo e il Minotauro". 


Fin dall'epoca in cui è nata la saga legata ai miti di Dedalo, Teseo e Arianna e del Minotauro, l'immagine del labirinto ha ispirato numerose citazioni letterarie e poetiche ed è stato al centro di una vasta iconografia che, dal periodo preistorico (dal Neolitico), è giunta ai giorni nostri.
 Questo graffito ritrovato in Val Camonica, in provincia di Brescia, risale al primo millennio a.C.: spesso questi disegni erano legati a riti e incantesimi propiziatori della caccia. Erano una sorta di rappresentazione escogitata per catturare la selvaggina
.

Nella cattedrale di Chartres (Francia) è conservato il disegno del labirinto più grande che si conosca, con i suoi 13 metri di diametro. Il percorso "monoviario" si snoda passando attraverso i quattro quadranti: secondo gli esperti, era destinato come percorso penitenziale o come pellegrinaggio simbolico in Terra Santa.


Chi per primo li aveva individuati, li aveva scambiati per semplici segni tracciati da bambini per gioco.
 Si tratta in realtà dei cosiddetti labirinti di pietre, o Troiaburg (cioè città di Troia), diffusi soprattutto in Svezia (come quello della foto), Finlandia e Norvegia.
 Attorno a questi labirinti, composti da piccoli ciottoli, c'è ancora molto mistero. 
Furono chiamati anche Jungfrudans, ossia "danza della vergine": pare servissero infatti a indirizzare la danza di una fanciulla che poteva percorrere il labirinto volteggiando o che, posta al centro, attendeva un giovane che la raggiungesse attraverso le spire del tracciato.


Il labirinto di Suffron Walden (Inghilterra).

 In Inghilterra portano lo stesso nome di quelli d'erba, ma i Troy Town (ovvero città di Troia) non sono fatti di pietra, bensì tracciati grazie alle diverse altezze dell'erba.
 In Europa, il simbolo del labirinto, composto all'origine da sette avvolgimenti, oltre a essere associato a Creta, è infatti legato alla città di Troia, protetta da sette mura.
 L'etimologia della parola labirinto è piuttosto misteriosa, ma l'ipotesi più accreditata è che derivi da làbrys, l'ascia bipenne, o doppia, che simboleggiava il potere regale e designava il palazzo reale di Crosso, imponente e pieno di corridoi e stanze.


Dopo il significato mistico che lo caratterizzò nel periodo classico e l'interpretazione religiosa, quasi magica che acquistò nel Medioevo, il labirinto dalla metà del Cinquecento divenne un gioco che ben si sposava con l'atmosfera festaiola delle corti, fino a diventare il leit motiv dei giardini sei-settecenteschi.
 Nella foto, il celebre labirinto che sorge alla destra di Villa Pisani a Stra (Venezia), col suo percorso disegnato da siepi di bosso, che ha ispirato anche Gabriele D'Annunzio che ne parla in un suo romanzo intitolato "Il fuoco"
.

Il più emblematico giardino labirintico è il Sacro Bosco di Bomarzo, vicino a Viterbo: un parco di figure mostruose di pietra costruito tra il 1560 e il 1564. 
Lì l'allegoria morale, rappresentata dai tanti simboli di morte, si mischia con un intento puramente ludico del perdersi e dell'abbandonarsi alla legge di un percorso obbligato verso il centro. "Solo per sfogare il cuore", così recita un'epigrafe del principe Vicino Orsini che volle questo giardino per consolarsi dopo la morte della moglie Giulia Farnese.


Il labirinto della Traquair House, il più antico castello abitato della Scozia.

 Cosa succede nel nostro cervello quando cerchiamo di districarci in un labirinto?
 Alcuni ricercatori hanno cercato di rispondere a questo mistero osservando la corteccia cerebrale, grazie a elettrodi impiantati nel cervello di epilettici gravi che ne avevano bisogno indipendentemente dalla sperimentazione. 
Si è così visto che, quando cerchiamo la via d'uscita, nel nostro cervello si propagano onde elettriche della frequenza di 4-8 oscillazioni al secondo, le cosiddette "onde teta". 
Si tratta di onde poco conosciute che viaggiano in tutto il cervello, ma soprattutto nell'ippocampo, la zona della navigazione spaziale. 

Fonte: Focus.it

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