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venerdì 14 febbraio 2014

Dai lupercali a San Valentino


San Valentino, oggi nota come festa degli innamorati, è una delle tante ricorrenze ormai del tutto commercializzate, le cui origini pagane furono cancellate dalla tradizione cristiana con la sovrapposizione di un santo, e talvolta con la perdita del significato originale della festa.

 Come ben sappiamo i popoli antichi, per lo più dediti alla pastorizia e all'agricoltura, tenevano in grande considerazione i momenti più importanti del ciclo della natura, dal suo risveglio, al raccolto, alla nascita degli agnelli e dei vitelli e tutto quanto era connesso ai ritmi della terra e della vita agricola. 
Ne è dimostrazione la ruota dell'anno del calendario celtico, ove ogni festività segna un importante momento di passaggio nel ciclo della natura e come conseguenza nella vita dell'uomo che vive a contatto con essa. E così anche gli antichi romani avevano i loro riti e divinità, con cui celebravano i momenti più importanti del ciclo agricolo e pastorizio. 

 Ebbene, Febbraio era un mese particolare, che segnava il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile. Un mese da molte culture dedicato alla purificazione, ma anche il mese in cui si manifestano i primi segni del risveglio della natura.
 Le prime gemme erano pronte a fiorire, mentre negli ovili già nascevano gli agnelli, e i lupi, affamati dal lungo inverno, scendevano a valle in cerca di cibo, minacciando i greggi. 
 Così i romani, che con i lupi avevano indubbiamente un rapporto di odio e amore, per via della lupa che allattò i famosi gemelli, si rivolgevano al loro dio della natura selvaggia in cerca di protezione. Lupercus era il nome di questo dio, un fauno cacciatore di ninfe, sposo e fratello di Fauna, una delle tante rappresentazioni femminili di Madre Natura. 
Si narra che Lupercus proteggesse i greggi dai lupi e riscuotesse in cambio tributi di cacio e ricotta dai pastori. 
 In suo onore gli antichi romani celebravano ogni anno un'importante festa, chiamata i lupercali, che guarda un po', si svolgeva proprio il 15 febbraio.


I lupercali, come tutte le feste primaverili che celebrano il risveglio di Madre natura, era un'importante e godereccia festa attraverso cui le genti dell'antica Roma solevano festeggiare l'avvicinarsi della bella stagione e contemporaneamente propiziarsi buoni futuri raccolti e la fecondità della terra e dei suoi abitanti.
 Per fare questo essi si purificavano ed inscenavano un loro particolare rito. 

 Pare che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco, ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente, come prescritto dalla liturgia. 

 I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne da “fecondare”. 
Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati” e resi fertili, sia la terra che gli individui.


In particolare le donne, per ottenere la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle mani).
 I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino. 
 La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori. 
 Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi nel modello mitico universale noto come la lupa. 

 Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo.
 L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo, quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa degli innamorati.


Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti e la coda.
 Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della fertilità. Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane. 
 Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, sebbene tali non fossero. 
 Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica: la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, ad essere perseguitata. 
 Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni sessuali.


Cosa lega San Valentino alla festa degli innamorati? 

Perché un uomo diventi santo c’è bisogno, tra le altre cose, che abbia compiuto dei miracoli. 
La storia qui lascia il posto alla leggenda, perché non c’è niente di stabilito e i miracoli variano a seconda della tradizione. 
Uno dei più significativi racconta di come incontrò la figlia cieca di chi l’aveva imprigionato. Spinto dall’affetto per lei, le diede la vista in modo miracoloso. 
Prima di morire per decapitazione, Valentino le lasciò un messaggio scritto che terminava con «dal tuo Valentino», la frase tipica di chiusura di una lettera d’amore.
 Altre storie parlano di come rappacificò i rapporti di due giovani che litigavano, porgendo loro una rosa e invitandoli a tenerla entrambi con una mano; o di come abbia unito in matrimonio la cristiana Serapia, sul punto di morte, e il romano-pagano Sabino, che Valentino si prodigò di battezzare. 
Più che miracoli, si tratta di eventi tipici della religione cristiana, ma dimostrano come Valentino si occupasse delle situazioni sentimentali. 
 Ma c’è forse un altro motivo che lega questo giorno al tema romantico. 
Febbraio è il tempo in cui gli uccelli si incontrano per i primi accoppiamenti, che avvengono in una danza “sobria” e piacevole da vedere. 
 Ecco quindi che nasce la tradizione romantica legata al 14 di febbraio.

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