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martedì 29 ottobre 2013

Il crisocione


Il crisocione (Chrysocyon brachyurus) è un canide del Sudamerica. È l'unica specie del genere Chrysocyon. 
Studi recenti hanno dimostrato che il crisocione non è strettamente imparentato con i canidi diffusi attualmente: rappresenterebbe perciò una delle specie "sopravvissute" dei grandi mammiferi sudamericani del Pleistocene. 
Il nome del genere Chrysocyon deriva dal greco e significa letteralmente "cane dorato".


Diversamente dagli altri canidi (lupo, licaone, cuon) il crisocione non vive in branchi e non caccia grosse prede.
 È un animale molto timido che raramente attacca o anche semplicemente incontra l'uomo. 
Vive in coppia solo quando si tratta di allevare la prole. La gestazione dura 67 giorni e la femmina può partorire fino a 6 cuccioli.


Il crisocione è solito cacciare di notte. Prede abituali sono lepri, uccelli e roditori. 
La frutta, come si vede dai molari particolarmente adatti allo scopo, costituisce una componente importante della dieta, in particolare la pianta di pomodoro selvatico (Solanum lycocarpum, anche detta frutto del lupo o "lobeira") senza la quale l'animale morirebbe di infezioni renali. 
Proprio per questo il crisocione contribuisce attraverso i suoi escrementi a disperdere i semi della pianta. Si può dunque parlare di una vera e propria simbiosi, che coinvolge anche alcune specie di formiche.
 Il crisocione caccia con balzi improvvisi (tecnica già usata dalla volpe)


Il crisocione è sempre stato assai raro nel suo areale geografico, e ovviamente il degrado ambientale non lo sta agevolando, anche perché non si adatta di buon grado alla presenza umana.
 È diffuso nel Brasile meridionale (dove è chiamato "lobo-guarà" o lupo rosso), Paraguay, Bolivia e nella zona orientale delle Ande.


È una specie a rischio di estinzione (in Uruguay e nel nord dell'Argentina è già scomparso) anche se la lista dell'IUCN lo considera a basso rischio.
 È un animale molto ambito negli zoo, dove già nel 1967 venne ottenuto un primo parto in cattività ma i piccoli, non curati dalla madre, non sopravvissero. 10 anni più tardi vi erano una novantina di esemplari negli zoo, con circa un terzo nato in cattività, i parti erano una decina l'anno ma spesso i piccoli non sopravvivevano.

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