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giovedì 18 aprile 2013

Il gatto nella storia



Un rapido excursus storico, dalle origini ai nostri giorni, mette subito in luce l’antica dignità del nostro felino domestico, che in alcuni casi è arrivata persino alla “divina venerazione”.
 Il primo rinvenimento di un gatto è avvenuto recentemente sotto forma di scheletro, accanto a quello del suo probabile padrone, in una tomba di Cipro datata tra l’8300 e l’8000 a.C. Il gatto era stato sepolto insieme al suo padrone per accompagnarlo anche nella vita ultraterrena, a testimonianza del rapporto stretto ed intenso esistente tra i due.

In realtà le più importanti testimonianze di felini addomesticati del mondo antico risalgono all’Egitto, sotto forma di affreschi, dipinti su papiro e bassorilievi.
 Inizialmente apprezzato per le grosse capacità nel difendere granai dai roditori, e l’uomo da serpenti e scorpioni, successivamente fu amato per le stesse qualità che tutti conosciamo: la bellezza, la grazia, l’agilità, la dignità, la pulizia. E gli Egiziani lo amarono a tal punto da sviluppare un vero e proprio culto della personalità di questo animale, venerandolo come sacro. Fu associato inizialmente a Ra, la più potente divinità egizia, e più tardi alla dea Bastet, la cui testa di gatto ed il corpo dalle sembianze umane, avevano il ruolo di difendere la maternità, la fertilità, la gravidanza e l’allevamento dei bambini.
 Le leggi e le abitudini vennero di conseguenza a questa sacralità: l’uccisione di un gatto era considerato delitto passibile della pena di morte e se il gatto di famiglia veniva a mancare i componenti si tagliavano le sopracciglia in segno di lutto. 

 Al di fuori dei confini dell’Egitto la diffusione del gatto avvenne, sembra, ad opera dei mercanti micenei, i quali ospitando i gatti sulle proprie navi, ne permisero la diffusione in tutta l’area dell’Egeo e da qui nelle colonie della Magna Grecia, viatico alla definitiva diffusione in Europa. Testimonianze di ciò sono monete del 500 a.C. in cui i fondatori di importanti colonie come Taras e Rhegion (le attuali Taranto e Reggio Calabria) erano raffigurati con un gatto. Giungere da qui alla Roma Imperiale, nella quale il gatto domestico ebbe la definitiva affermazione e consacrazione, il passo è breve, passando anche dal periodo etrusco, da cui ci giungono un bel dipinto dalla Tomba del Triclinio di Tarquinia e numerose raffigurazioni su vasi.
 Nella Roma Antica il gatto rappresenta un compagno di vita e nell’aldilà. Sorprendenti sono di questo periodo storico i numerosi nomi propri o cognomi con etimologia derivante dalla parola “gatto”. Ne citiamo solo alcuni: Felicula, Felicla (gattina o micina), Cattus, Cattulus (gatto, gattino). Anche alcuni reparti dell’esercito romano avevano come simbolo sugli scudi gatti di diverso colore, e la sesta centuria della prima corte di guardia era detta Catti, cioè “i gatti”.

I Greci poi identificarono la dea Bastet con la loro dea più popolare, Artemide, anch’essa protettrice di partorienti ed infanti ma nota soprattutto come Signora degli Animali.
 Lo stesso fecero i romani con la dea Diana, ma fu l’introduzione nell’Impero Romano del culto di Bastet, poi identificata con la dea Iside, a rafforzare a Roma il culto egizio del gatto sacro. In ogni città infatti vi era un tempio dedicato alla dea, detto Serapeum.
 A Roma ad esempio il tempio sorgeva nell’attuale chiesa di Santo Stefano del Cacco, dove venne rinvenuta la piccola statua della gatta che ancora oggi si può ammirare su un cornicione di Palazzo Grazioli, in Via della Gatta appunto (vedi foto). 

 Nel Medioevo la connotazione sacra lascia il posto agli aspetti negativi quali le abitudini notturne, il carattere lunare, irrazionale e, soprattutto la sfrenata sessualità che varrà da sola l’associazione con gli eretici, le streghe ed il maligno. Per lungo tempo il gatto fu bruciato sul rogo delle streghe, ritualmente sacrificato e generalmente torturato. 
Da Papa Gregorio IX il gatto nero è indicato nel 1233 come la reincarnazione di Satana e più tardi nel 1484 Papa Innocenzo VIII scomunicò tutti i gatti e decretò che fossero dati alle fiamme quelli trovati in compagnia delle streghe. 

 Solo nel Rinascimento il felino domestico venne rivalutato in seno alla Chiesa: il cardinale Richelieu aveva ed accudiva decine di gatti, e fece scandalo il fatto che avesse lasciato parte della sua cospicua eredità ai suoi amati felini. 
 Nelle corti di tutta Europa divenne ben presto l’ornamento dei salotti e si guadagnò la benevolenza di dame altolocate e di potenti ammiratori che si facevano dipingere in loro compagnia ed alla morte erigevano tombe e commissionavano epitaffi o sonetti. 

Nell’Ottocento il gatto torna finalmente a riconquistare gli spazi persi durante il Medioevo in tutta Europa, ne sono testimonianze opere di artisti famosi come Pinelli o Diofebi. Alla fine dell’Ottocento la passione è tale che si organizzano le prime mostre ed esposizioni feline, nascono istituzioni che favoriscono la selezione e definiscono gli standard delle diverse razze. E’ l’alba del gatto come inteso ai nostri giorni, amato come in un lontano passato, un po’ meno sacro ma molto aristocratico e soprattutto rispettato.

Nel Novecento emblematici sono i gatti di Roma: furono alimentati a spese del Comune con razioni di trippa fino a quando la scarsezza delle risorse erariali consigliò dei tagli di bilancio da cui il celeberrimo detto “nun c’è trippa pé gatti”! Oggi i gatti di Roma sono divenuti un’istituzione, amati come quelli egizi, accuditi in colonie feline con devozione dalle famose “gattare”, che ogni giorno mettono a disposizione il loro tempo e la loro passione per la rituale offerta di cibo.

La stessa affettuosa devozione che il gatto merita e riceve da milioni di persone nel mondo, in quanto incarnazione di nuovi valori, simbolo di libertà ed autonomia.

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