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lunedì 1 aprile 2013

Body painting tribale africano

Presso molte culture africane la comunicazione non verbale
si esprime soprattutto attraverso l’arte dei segni,
delle forme e dei colori.

Sul corpo nudo, la pittura, i tatuaggi, le scarificazioni e le acconciature hanno innanzitutto un valore estetico ma ci informano altresì sull’etnia di appartenenza e sulla condizione della persona che li esibisce.
La pittura corporea è stata una delle prime forme di espressione artistica dell’umanità.
All’alba del mondo, i nostri antenati scoprono le terre colorate, il carbone di legna, il gesso, il succo delle bacche, il sangue degli animali e altre fonti di tintura e li utilizzano come un alfabeto del corpo:
per impressionare il nemico in battaglia, camuffare il cacciatore, definire una posizione rituale o semplicemente sedurre.
Grazie alle decorazioni corporee, l’individuo cambia identità, si trasfigura, si sublima. Ogni colore ha un significato.

Il bianco è generalmente associato al lutto o alla purificazione.
Il rosso, colore del sangue, è simbolo di energia vitale e fecondità.
Il nero, che evoca la notte ed il caos primordiale, simbolizza il mondo materiale.
Il carattere labile della pittura permette una continua trasformazione ed apre le porte alla fantasia.
Se nel mondo occidentale le mode contemporanee ne affievoliscono il significato, desacralizzandolo, in Africa molti gruppi etnici conservano con tenacia ed ostinazione le loro tradizioni, sfidando l’appiattimento della globalizzazione.
L’uso della pittura corporea durante le cerimonie è largamente diffuso, spesso in sostituzione delle maschere lignee.

Una delle più note è la danza del “Faux Lion” o falso leone.
Si tratta di una manifestazione popolare, organizzata in molte regioni del Senegal in occasione delle festività più importanti.
In origine si trattava di un rito di possessione, che risale all’epoca in cui il paese era ricoperto da fitte foreste.
Il cacciatore sopravvissuto all’attacco del leone veniva posseduto dal suo spirito, ruggiva, mangiava solo più carne cruda ed il suo corpo si ricopriva di pelo.
Doveva perciò essere guarito da un esorcista.
Ancora oggi nei villaggi o nei quartieri popolari delle città, il ruggito del leone terrorizza e riempie di frenesia tutta la nazione 

Altrettanto importante è la festa della bellezza dei Peul Bororo in Niger (il Gerewol) che riunisce queste tribù nomadi del Sahel per una gara nuziale in occasione della quale i giovani pastori, con i volti coperti di ocra e le labbra annerite con il carbone o la grafite, spesso ricavata da vecchie pile, si contendono i favori delle fanciulle in età da marito.
Si tratta di uno dei riti di seduzione più antichi ed affascinanti dell’Africa.

Ma l’uso del corpo come una tavolozza è estremamente diffuso in tutto il continente africano.
In Mozambico le donne ricoprono il volto col “musiro”, un impasto ricavato dalle radici delle piante.
Queste maschere di bellezza, con il loro biancore, conferiscono sembianze spettrali!
Largo uso del colore, nonché di vari tipi di ornamenti quali piattelli labiali o auricolari, si osserva presso i popoli della bassa valle dell’Omo, nell’Etiopia meridionale
Le donne Bassari del Senegal indossano spine di istrice nel setto nasale perforato.
Le Himba della Namibia impastano i capelli e cospargono il corpo con un impasto di ocra rossa e grasso animale.

I giovani Masai del Kenya e della Tanzania, durante i riti di passaggio all’età adulta, si aggirano nelle savane col volto sbiancato dal caolino.

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