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lunedì 28 gennaio 2013

Il moai di Vitorchiano


Accoccolato sull'altissima rupe di peperino che strapiomba nel torrente Vezza, Vitorchiano (285 m s.l.m.) è stato uno dei tanti borghi estruschi della provincia viterbese, nell'alto Lazio. Tutt'intorno, si scorgono la sagome del Monte Cimino (1.053 m), un tempo un vulcano, dalla cui eruzione- nel corso dei millenni- si sono cementati materiali lavici che hanno dato origine al tufo saldato, da cui è ricavato il peperino, la notissima pietra locale così chiamata fin dall'antichità; i latini infatti lo conoscevano come lapis peperinus, derivato di piper (cioè pepe), per la presenza di particelle di biotite di colore nere simili a grani di pepe. Sono queste particelle di vetro e calcio decomposte a creare una sorta di 'cemento' nel materiale, tale da renderlo resistente ma al contempo facile da lavorare.
 Il suo colore classico è il grigio chiaro (lavagrigia) ma nella zona è presente anche quello rosa, di qualità migliore, più apprezzabile, più dura e consistente, chiamato lavarosa.

 Questa pietra locale è stata la fortuna degli abitanti fin dalla remota antichità: con essa sono stati realizzati altari, tombe, abitazioni, sarcofagi, sculture e statue, attività che continua ancora oggi. I Romani la impiegarono per costruire edifici cultuali e civili.
 Il peperino è tipico soltanto di queste zone ma viene esportato in diverse parti del mondo, dall'America al Giappone, passando per il Medio Oriente e arrivando fino all'Isola di Pasqua (Rapa Nui, che appartiene al Cile). Pare infatti che i Maori- l'esigua tribù indigena che vive sull'isola - abbiano girato il mondo per trovare una pietra utile al restauro dei loro preziosi Moai (le misteriose e gigantesche sculture litiche di cui abbiamo accennato in altra sezione), trovandola proprio a Vitorchiano.
 Per dimostrare la funzionalità del peperino, ne hanno costruito uno sul territorio di Vitorchiano.

 L'idea di realizzare un Moai del tutto simile a quelli dell'Isola di Rapa Nui risale alla fine degli anni '80 del secolo scorso (esattamente nel 1987). La trasmissione condotta da Mino d'Amato "Alla Ricerca dell'Arca", aveva consentito uno straordinario gemellaggio culturale tra Vitorchiano e l'isola di Rapa Nui. Se nel primo a far da sfondo è l'ombra di un vulcano spento, il Cimino, cosi nella seconda c'è pure un vulcano, il Rano-Raraku; a Vitorchiano, ci fu una grandiosa civiltà, quella Etrusca, e sull'Isola di Pasqua quella pre-incaica, entrambe affascinanti e misteriose. Quella civiltà ha lasciato sull'isola statue colossali enigmatiche, chiamate Moai, che però si stavano deteriorando da tempo e giacevano in uno stato di vergognoso degrado, semi spezzate o abbattute.
 Era necessario richiamare l'attenzione del mondo! Realizzarne uno sarebbe stato un grande richiamo e siccome la delegazione pasquense incaricata di trovare la pietra idonea, la individuò solo ed eslusivamente nella cava della famiglia Anselmi, di Viterbo, si predispose il tutto per il gemellaggio, con l'aiuto della Televisione di stato

 Gli Anselmi, titolari della più antica ed illustre industria per l' estrazione, la lavorazione e la commercializzazione a livello mondiale di peperino, per un certo periodo ospitarono con grande cordialità la famiglia di Juan Atan Paoa, ultimo discendente di Ororoina (alla XIV^ generazione). Per tale motivo, Juan ha fatto loro dono di una lastra ovale di peperino incisa con caratteri Rongo-Rongo, la scrittura indigena, informandoli che nessuno di loro sarà mai ospite qualunque a Rapa Nui, ma sempre accolto come un fratello di pietra. 
Sull'isola c'è un unico villaggio. chiamato Hanga Roa, nel quale vivono circa 1.600 persone, comprese le missioni.

 La realizzazione del Moai venne seguita per tutto il tempo dalla televisione (4 settimane) e dalle testate giornalistiche; il monolite estratto dalla cava pesava 400 q e fin da subito i Maori intonarono canti propiziatori affinchè i lavori si svolgessero senza intoppi. I loro utensili erano volutamente analoghi a quelli dei loro antenati pasquensi, come le asce di pietra. A poco a poco l'enorme nume tutelare prendava forma e quando venne il momento di issarlo, ci fu uno sforzo congiunto tra i Maori e gli operai della ditta Anselmi. Dovette essere molto suggestiva la cerimonia sacra, il Kuranto, che seguì la conclusione dell'opera. Costumi polinesiani, gonnellini di paglia, tanga di piume, corpi dipinti di terra bianca e rossa, danze e canti intorno al Moai appena compiuto e ancora nella cava. Grande gioia, grande festa, grande spettacolo!
Tratto da:duepassinelmistero.com

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