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sabato 22 settembre 2012

Le grotte oracolari

Gli antri oracolari
Per le popolazioni antiche, le grotte erano spesso misteriose sedi oracolari, nelle quali officiavano donne, dotate di facoltà profetiche. Generalmente il responso veniva dispensato in versi ai consultanti. Alcune di queste grotte erano dedicate ad un qualche eroe che, assurto allo stato di entità divina, parlava mediante il sogno direttamente agli interroganti. Nel primo caso,abbiamo l’esempio dei rinomati oracoli di Delfi e di Cuma e altri ancora, nei quali agivano le leggendarie Sibille. Secondo Strabone, quello di Delfi consisteva in una caverna profonda, alla quale si entrava per un passaggio angusto. Da questa fuoriuscivano esalazioni, mediante le quali si determinava una esaltazione che derivava da qualcosa di sovrumano. Sulla bocca di un secondo crepaccio era posto un alto tripode, sul quale prendeva posto la sacerdotessa di turno e da lì essa inalava il vapore portentoso che le infondeva l’afflato profetico. Ben più drammatica,è la descrizione che ci fa Virgilio di quanto avveniva nell’antro di Cuma: Enea viaggia di profezia in profezia fino a che, giunto a Cuma, si trova ad assistere alla sconvolgente manifestazione del furore sacro della Sibilla Cumana. Gli oracoli sembrano essere in stretta connessione con l’anima della Terra. mediante lo ”Stomas Ge” (letteralmente, la “bocca della terra”) che si apriva immediatamente sotto il Sacro Tripode. In una simile situazione, persino Apollo, Dio della luce, appare nella sua collocazione tellurica, nel suo aspetto di entità tenebrosa, che trasmette l’afflato profetico, attingendo alle profondità della terra. Tuttavia, anche a Delfi il Dio, uccidendo il serpente, figlio della Madre Terra, ne acquisisce la voce divinatoria; si trasforma, diviene lui stesso l’incontrastato Signore degli antri oracolari e dell’arte della divinazione. Perchè il Grande Serpente, nato dalla terra, è il simbolo del mistero della facoltà oracolare. In questo caso si tratta di oracoli del tipo estatico, dove le profetesse designate erano colte da stupore e poi da furore, quindi, dopo essere cadute in possesso del Dio, dalle loro labbra, in versi poetici, fluiva il vaticinio. A differenza degli antri delle Sibille,vi erano grotte d'altro tipo, e talvolta con caratteristiche ancora più oscure, erano le grotte oracolari del tipo “incubatorio”, come, ad esempio, quella di Trofonio, nella Beozia nord occidentale. il consultante si metteva in contatto diretto con il Nume di quelle sotterraneità oracolari, che erano in realtà dei sepolcri. Si trattava,quindi di una sorta di cenotafi, dedicati ad un qualche eroe che durante la vita si era distinto per delle gesta straordinarie. Trofonio era stato un grande architetto che come merito specifico aveva quello di avere ideato il tempio di Delfi. Terminata l’opera, gli accadde però di essere inghiottito dalla terra. Essendo poi stata la Beozia colpita da una preoccupante siccità, gli abitanti si recarono a consultare l’oracolo di Delfi. Il responso fu che la siccità sarebbe cessata, solamente se avessero consacrato a Trofonio un antro che si trovava nella foresta di Lebadeia. Questo era il luogo dove il leggendario architetto era scomparso ingoiato dalla terra. Da allora esso cominciò ad emettere vaticini, divenendo così una delle caverne oracolari più celebri di tutta l’Ellade. Perchè l’autore del tempio di Delfi era diventato parte di quell’universo sotterraneo, da cui agli uomini provengono i vaticini. “Sotterraneità” vuole però anche dire invisibilità, vale a dire un “luogo senza tempo” che in quanto tale, possiede in sé sia il passato che il futuro. Si disse anche che Trofonio fosse un figlio di Apollo Delfico, quindi un’ ipostasi del Dio medesimo. Ma la grotta oracolare di Lebadeia era celebre, oltre che per i suoi responsi, anche per il modo in cui li si otteneva. Chi vi entrava si trovava subito immerso in una profonda oscurità. Dopodichè, levata al nume una preghiera, restava per un po’ in uno stato di dormiveglia. Quindi percepiva un tocco leggero che gli sfiorava il capo, a cui seguiva la sensazione che le ossa del cranio si dissolvessero, dando così modo all’anima di uscire dal corpo liberamente. Si aveva poi l’impressione che l’anima liberata dal corpo fosse divenuta simile ad una vela gonfiata dal vento. A questo, seguiva la visione della danza delle sfere, accompagnata dalla loro armonia inenarrabile. Il movimento delle sfere è descritto come il muoversi di una spirale cosmica, al disotto della quale si scorgeva un abisso tormentoso e perennemente privo di pace, dal quale giungevano urla disperate e gemiti di animali sofferenti. A parte il baratro terrificante, dal punto in cui il consultante si trovava era possibile scorgere una parte del regno della potente Persefone. Da lì si aveva la visione dello Stige, le cui acque separano il mondo delle tenebre da quello della luce. Nel racconto che ci fa Plutarco, a un dato momento interveniva una enigmatica guida che, tuttavia, restava al consultante invisibile. Da questa egli avrebbe appreso che quattro sono i principi di tutto ciò che “ è ”: quello della vita, quello del movimento, quello della generazione e quello della dissoluzione. Nel regno dell’“Invisibile” l’Unità unisce la vita al movimento, l’Intelletto unisce il Movimento alla Generazione e questa, nel regno della Natura, si unisce alla Dissoluzione. Come possiamo rilevare, nei due generi di antri oracolari l’uno induce nel sacerdote, ma più di frequente in una sacerdotessa, uno stato di possessione, l’altro, quello di tipo incubatorio, una sorta di traslazione dell’anima mediante la quale, si giunge a conoscere una dimensione ulteriore e ad acquisire una vera e propria iniziazione. Perché, in certi casi, entrare in queste grotte era come scendere agli inferi e conoscere ciò che è oltre il tempo e che appartiene all’Invisibile.

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