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mercoledì 19 febbraio 2020

I magnifici disegni nella Stanza Segreta di Michelangelo a Firenze


Nel 1530, per fuggire all’ira dei Medici di ritorno a Firenze, Michelangelo si rintanò in una minuscola stanza segreta sotto la Cappella Medicea della Basilica di San Lorenzo. 
L’artista era terrorizzato dal ritorno dei signori di Firenze perché aveva sostenuto la rivolta che li aveva fatti cacciare, nel 1527, ed era stato attivissimo nel governo repubblicano della città, giungendo ad acquisire incarichi di grande rilevanza. 

 Quando i Medici tornarono, nell’Agosto del 1530, Michelangelo sapeva di rischiare la propria vita come “ribelle”, e si nascose alla vista dei signori fiorentini e dei loro seguaci.
 All’interno di una piccola stanza sotto la Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo il geniale artista toscano trascorse un periodo di circa 2 (o 3) mesi, in attesa di riuscire a sbloccare la situazione.


Michelangelo trascorse dentro le quattro mura un periodo di circa 2 mesi, dal 12 Agosto del 1530 fino alla fine di settembre dello stesso anno, quando riuscì infine a scappare a Venezia.
 Il Buonarroti non dormì all’ombra del Campanile di San Marco ma nell’isola della Giudecca, entrando molto poco a far parte del tessuto sociale della città. 


Pochissimo tempo dopo Papa Clemente VII (alias Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici) perdonò Michelangelo, e questi tornò al lavoro per completare la Basilica di San Lorenzo, nel centro di Firenze.


 Il nascondiglio che ospitò Michelangelo Buonarroti per 2 mesi circa, fuggiasco nel cuore della Firenze Medicea, rimase segreto per oltre 4 secoli quando, nel 1975, l’allora direttore del Museo del Bargello, dal quale dipendono le Cappelle Medicee, Paolo del Poggetto, decretò l’inizio dei lavori per una nuova uscita di sicurezza dall’importante monumento. 
 Gli operai al lavoro iniziarono a rimuovere l’intonaco e di fronte a loro si palesarono i disegni di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. 
Michelangelo Buonarroti aveva lasciato una traccia del suo periodo da fuggiasco con dei graffiti in tutta la stanza.
 Aveva disegnato il volto di Laocoonte, il suo David, finito di scolpire circa 25 anni prima, riletture della Leda, alcuni disegni della Cappella Sistina e infine una figura china su se stessa che in molti vogliono un autoritratto di Michelangelo stesso, rinchiuso in un ambiente di 2 metri per 7 per circa 2 mesi.






La piccola stanza, scoperta ormai 45 anni fa, è stata visitata da pochi appassionati e studiosi, ma presto, si spera entro questo 2020, potrebbe aprire al pubblico, diventando parte integrante del percorso museale delle Cappelle Medicee.

 Fonte: vanillamagazine.it

Scoperto un sarcofago del VI secolo a.C. nel Foro Romano: è la tomba di Romolo?


Un' eccezionale camera sotterranea è stata scoperta a Roma, dove sorgevano l’antica piazza del Comizio e l’edificio della Curia. 

Al suo interno vi era un sarcofago in tufo lungo circa 1,40 metri, associato a un elemento circolare, probabilmente un altare.
 Il sarcofago era stato scavato nel tufo del Campidoglio e dovrebbe pertanto risalire al VI sec. a.C. 
L’incredibile ipotesi è che potrebbe essere il sepolcro di Romolo, fondatore della città di Roma. 


 Le indagini archeologiche erano iniziate un anno fa sulla base del lavoro dell’archeologo Giacomo Boni all’inizio del ‘900. 
I documenti di Boni avevano consentito di ipotizzare la presenza di un sepolcro (un heroon) dedicato a Romolo nel Foro Romano, a pochi metri dal sito del Lapis Niger e dalla piazza del Comizio.
 Il sito si trova sotto la Curia e, evidentemente, era stato preservato per il suo significato simbolico.  


Secondo la lettura di un testo di Varrone, coincide col luogo della sepoltura di Romolo, proprio dietro le tribune del Foro Romano (i rostri repubblicani).

 Non è un caso che la camera sotterranea scoperta sia sull’asse del Lapis Niger, la pietra nera indicata come luogo funesto perché correlato alla morte di Romolo. 

Ulteriori dettagli dello scavo saranno illustrati venerdì dalla direttrice del Parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo, e dalla squadra di archeologi e architetti coinvolti nella ricerca. 

 Fonte: ilfattostorico

lunedì 17 febbraio 2020

Maldive, due sub italiani salvano uno squalo balena impigliato nella rete dei pescatori


Reti, pezzi grandi o spezzoni piccoli con un unico denominatore comune, la plastica indissolubile che inquina e ammazza gli animali marini. 
Un tappeto di plastica che imprigiona anche le tartarughe e i delfini e sta aumentando vistosamente. 

 Due sub italiani, Simone Musumeci e Antonio Di Franca, durante un’immersione alle Maldive si sono imbattuti in uno squalo balena, considerato il pesce più grande al mondo, che era rimasto impigliato in una rete da pescatori. 

Secondo quanto hanno raccontato, lo squalo era lungo 4 metri. I due sub hanno tagliato la rete con dei taglierini e l’operazione, avvenuta alla profondità di 14 metri, è durata 10 minuti.


Una volta libero, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, lo squalo se ne è andato, ma poco dopo è tornato come se volesse ringraziare i due sub.

 

 “È stato il più bel momento delle nostre vite, non lo scorderemo mai!”, hanno raccontato i ragazzi. 

Lo squalo balena non rappresenta alcun pericolo per l’uomo, perché si nutre quasi esclusivamente di plancton, filtrando il cibo con le branchie.

domenica 16 febbraio 2020

L’antico sistema di drenaggio scoperto sotto la città di Pompei


Molto sotto le ampie strade di pietra lavica dell’antica città di Pompei, una vasta rete di sistemi di drenaggio dell’acqua un tempo forniva sollievo alla città durante i temporali, raccogliendo l’acqua piovana in eccesso e drenandola in mare. 

 Dal 2018, gli speleologi che lavorano con il Parco archeologico di Pompei hanno esplorato 457 metri di passaggi sotterranei nel tentativo di studiare il sistema di drenaggio dell’acqua piovana della città. 
Si ritiene che una rete di tunnel e canali che si snodano da una coppia di cisterne poste sotto il centro città, sia stata costruita nel corso di tre fasi: una fase ellenistica iniziale nel III secolo a.C., una seconda fase nel tardo repubblicano intorno al I secolo a.C., e una terza fase corrispondente all’età augustea e imperiale poco prima della fine della città nel 79 d.C. 

 Gli esperti hanno ripulito i tunnel dai depositi di pietre che si erano accumulate nel corso dei secoli, nel tentativo di ripristinare la funzionalità del sistema.
 Hanno anche identificato potenziali problemi e soluzioni necessarie per mantenere funzionanti i tubi di drenaggio nel rispettando il sito archeologico. 
Complessivamente, il lavoro mira ad ampliare la nostra comprensione del sito, che è essenziale per monitorare e salvaguardare le sue caratteristiche storiche.






Il ripristino dei tunnel dimostra che c’è ancora molto da scoprire sull’antica città. 
“Inoltre, molte lacune nelle conoscenze del passato relative a determinati aspetti o aree della città antica vengono colmate, grazie alla collaborazione di esperti in vari settori, che ci consentono di raccogliere dati sempre più accurati grazie a competenze specializzate che non erano mai state impiegate in altri periodi di scavo o studio “, ha dichiarato il direttore generale del parco Massimo Osanna. 

La prima fase del progetto è terminata alla fine di gennaio. 
Gli esperti affermano che ora lavoreranno per riutilizzare canali e le cisterne per continuare a drenare correttamente l’acqua. 

 Tratto da: www.iflscience.com

mercoledì 12 febbraio 2020

Karma: cos’è e come funziona la legge karmica


Il termine “Karma” al giorno d’oggi è spesso usato con leggerezza e scarsa comprensione della sua profondità. 
Molte persone affermano “è il mio karma”, riferendosi ad eventi fortunati o sfortunati nelle loro vite. 
Tuttavia quest’accezione non potrebbe essere più lontana dalla realtà: l’uso della frase “è il mio karma” suggerisce vittimismo e passività, mentre il Karma è esattamente l’opposto.
 Le buone azioni sono ciò che la società moderna ci insegna a fare, di tanto in tanto o periodicamente, quando vogliamo sentirci in pace col mondo o con il prossimo. 
A Natale si fa volontariato, si dona ciò che non si usa più, si lascia qualche spicciolo ad un senzatetto incrociato per strada, si danno indicazioni ad uno straniero anche se si fa fatica a comunicare. Tutti questi gesti, grandi e piccoli, sono ciò che viene comunemente definito una “buona azione”. 
 Ma una buona azione è davvero il semplice gesto di aiutare chi ne ha bisogno in quel momento e poi andarsene a casa?

 In India la maggior parte delle religioni e delle filosofie danno a questo concetto della “buona azione” il nome di Karma.

 Il termine è un’occidentalizzazione della parola sanscrita “Karman” ( कर्मन् ) , che si può tradurre approssimativamente in “azione”. 
 Quello che per noi rappresenta un semplice gesto (positivo o negativo che sia), per i seguaci di queste filosofie o religioni è un concetto molto più profondo: il Karma è il principio di azione e reazione, di giusta legge universale, poiché ogni nostra azione coinvolge altri esseri viventi e questo porta a delle conseguenze che, presto o tardi, si ripercuoteranno su di noi.


Per questo motivo buddisti e induisti cercano sempre di agire secondo questa legge, poiché non solo influenza la loro vita attuale, ma ha ripercussioni anche nel ciclo della reincarnazione in cui credono fermamente e che è inscindibile dal Karma stesso, in quanto è la legge universale che lo regola.

 Davanti a queste credenze il nostro concetto di “buona azione” perde il suo potere di appagamento momentaneo in favore di una filosofia di vita molto più spirituale. 

Ma dove nasce esattamente il concetto di Karma?
 Il termine Karma e la sua concezione risalgono a circa l’ottavo secolo a.C. e sono menzionati nelle Upaniṣad, un insieme di testi e riflessioni religiose e filosofiche indiane trasmesse solo per via orale.
 Oggi è un concetto molto centrale nel Buddhismo e nell’Induismo poiché al centro della credenza cardine di queste religioni: la reincarnazione.

 Il suo significato etimologico significa “fare, causare”, da qui il motivo per cui viene considerato come una legge. 

 Tratto da : meditazionezen.it

martedì 11 febbraio 2020

Le Grotte di Elephanta in India


Le Grotte di Elephanta si trovano su una piccola lingua di terra lunga meno di 2 chilometri, un’isola nel Mar Arabico, a pochi chilometri da Mumbai sulla costa occidentale dell’India. 
 Il nome dell’isola è cambiato varie volte nel corso dei secoli. Se anticamente si chiamava Puri o Purika in seguito prese quello di Gharapuri (Città delle grotte). 

Con il dominio portoghese l’isola assunse il nome attuale di Elephanta per la presenza di una enorme statua oggi conservata nel giardino del Museo Bhau Daji Lad di Mumbai (Dr. Bhau Daji Lad Mumbai City Museum).


Le grotte dell’isola Elephanta furono costruite probabilmente tra il V e l’VIII secolo d.C. 
Gli studiosi hanno tuttavia ancora molti dubbi su chi furono i costruttori di queste imponenti costruzioni. L’attribuzione propende verso i Chalukyas (o Chaluykae) o i Kalacuri.


 Due grotte sono buddiste mentre le altre cinque sono indù le cui statue e rilievi sono dedicati a Brama, Vishnu e Shiva.


 Proprio la grotta principale è universalmente famosa per le sue sculture dedicate alla gloria di Shiva, che viene esaltata in vari modi. 

La grotta è composta da un mandapa (una sala con pilastri usata per i riti pubblici pubblici) a pianta quadrata i cui lati misurano circa 27 m. Il turista, come i credenti dello Shivaismo, hanno modo di ammirare anche due grandi pannelli intagliati che rappresentano, a sinistra, Shiva Yogisvara (Maestro di Yoga) e, a destra, Shiva Nataraja (Re della Danza).

 L’architettura è una parte di grande importanza per conoscere la storia e la cultura dell’India. Ci sono più di 1.500 strutture scolpite in tutto il paese, più che in qualsiasi altra parte del mondo. Le Grotte di Elephanta (grotte dell’Elefante) sono solo una piccola parte della straordinaria architettura rupestre dell’India, come i templi scavati ad Ajanta. 


 La grotta di Elephanta è stata dichiarata patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1987.









Fonte: caffebook.it

lunedì 10 febbraio 2020

Anche i Vichinghi amavano i giochi da tavola: ritrovato in un’isola britannica un raro pezzo di 1200 anni fa


Rozzi, violenti e quanto mai barbari? I Vichinghi in realtà amavano anche i giochi da tavola.

 Nel corso di uno scavo in un monastero britannico sull’isola di Lindisfarne, al largo della costa nord orientale inglese, è stato ritrovato un raro pezzo risalente alla loro epoca.
 L’incredibile ritrovamento è avvenuto in realtà a settembre 2019 ma solo da poco se ne è scoperta l’importanza. 

Lo scavo, condotto da DigVentures e Durham University, ha dato alla luce anche parte dell’iconico monastero.

 Nel 793 d.C il famoso popolo antico fece un vero e proprio assalto al monastero ed è proprio da quella data che gli storici fissano l’inizio della dominazione vichinga in Gran Bretagna. 
Il pezzo di gioco risale ad un periodo compreso tra il 700 e il 900 d.C. e non è quindi certo che sia stato prodotto dai Vichinghi, ma probabilmente da loro usato.


Realizzato in vetro blu brillante e impreziosito da un anello di cinque bobine bianche, per gli archeologi è stato un capolavoro e proviene probabilmente da un set utilizzato per giocare a una versione unicamente britannica del romano Ludus Latrunculorum, gioco di guerra in voga in Gran Bretagna, Danimarca, Islanda, Irlanda, Norvegia e Svezia prima dell’arrivo degli scacchi nell’XI-XII secolo.


 “Molte persone avranno familiarità con le versioni del gioco e sono sicuro che molte persone si chiederanno se questo pezzo di gioco è stato lasciato cadere da un vichingo durante l’attacco a Lindisfarne – spiega Lisa Westcott Wilkins, Amministratore delegato di DigVentures – ma in realtà crediamo che appartenga a una versione del gioco utilizzato dall’élite della Gran Bretagna del Nord prima che i Vichinghi mettessero piede qui”.


 Un vero gioiello non solo per il valore in sé, quindi, ma anche perché consente oggi di ricostruire un altro tassello della vita dei monasteri e persino degli stessi barbari, che molto probabilmente non disdegnavamo queste attività ludiche. 


 “Questa è una scoperta davvero meravigliosa, che ci fornisce una visione molto speciale della vita nel monastero in quel momento – riferisce a tal proposito David Petts, della Durham University, che co-dirige lo scavo con DigVentures – È simile a una serie di altri esempi trovati in insediamenti e siti commerciali intorno al Mare del Nord, e ci mostra non solo che c’erano persone su Lindisfarne che avevano tempo libero, ma anche come fossero ben collegate. 

Giunto alla sua quarta stagione, lo scavo ha rivelato anche parte di un cimitero e di un laboratorio entrambi risalenti al 700-1000 d.C. quando l’attività sull’isola era al suo apice.

 Fonte: greenme.it

venerdì 7 febbraio 2020

L’enigma della Maschera in Pietra Verde scoperta nella Piramide del Sole a Teotihuacan


Il Messico possiede una terra ricca di reperti archeologici che consentono di comprendere la sua antichissima storia precolombiana. 
Una delle strutture più celebri, la Piramide del Sole, è colma di tesori ancora tutti da scoprire.

 La Piramide del Sole, il più grande edificio di Teotihuacan, è stata studiata approfonditamente dagli archeologi che sono sicuri che sia stata costruita intorno al 100 d.C. Sebbene siano stati rinvenuti pochi reperti sul posto, nel 2011 i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (INAH) fecero una scoperta sorprendente. 
 Usando un tunnel lungo circa 120 metri scavato dagli archeologi negli anni ’30, il gruppo fu in grado di raggiungere il livello della madre-roccia. 
Una volta lì, scoprirono un raro scrigno di tesori. Trovarono frammenti di terracotta, ossa di animali, pezzi di ossidiana, tre figurine umane e una straordinaria maschera. 

La maschera verde è particolarmente interessante perché, al momento della sua scoperta, rappresentava l’unica maschera del suo genere che si trovava in un contesto rituale a Teotihuacan.


Si ritiene che queste offerte siano state lasciate come parte di un rituale per celebrare la costruzione della piramide, e da qui la sua posizione al livello della roccia. 

La maschera è estremamente realistica, il che ha fatto pensare che si tratti, in realtà, di un ritratto. 

Nonostante a noi europei possa sembrare usuale, gli esperti spiegano che questo sarebbe un caso più unico che raro perché non esistono praticamente informazioni riguardo le persone che costruirono Teotihuacan.
 L’etnia degli abitanti di Teotihuacan è oggetto di studi, e i possibili gruppi etnici dei suoi costruttori sono i Nahua, gli Otomi o i Totonachi.

 Persino il nome della grande Piramide (ma anche di Teotihuacan stesso) non è originale, perché furono gli Aztechi, secoli dopo che il sito fu abbandonato, a darle nome “Piramide Del Sole”. 

 Fonte: vanillamagazine.it

mercoledì 5 febbraio 2020

Filippine, la sorgente letale sul fondo del mare che rimane un "mistero"


Se in fondo all'Artico si nasconde il Dito della morte, una corrente in grado di ghiacciarsi all'istante diventando una stalattite e intrappolando tutto quello che trova, al largo delle Filippine si trova uno sfiato altrettanto «letale». 

 Immergendosi nel Verde Island Passage, stretto tratto di oceano fra le isole di Luzon e Mindoro, per puro caso i ricercatori dell'University of Texas Jackson School of Geosciences di Austin hanno avvistato un insolito «punto gorgogliante»: una sorgente sotterranea di anidride carbonica pura. 

 Sotto la superficie marina del Verde Island Passage si trova uno degli ecosistemi marini più diversificati al mondo. 
Qui le barriere coralline, a differenza di molte altre della zona, sono fiorenti e non soffrono lo . E gli scienziati pensano che sia proprio merito del Soda Springs che da decenni, se non addirittura da millenni, alimenta i coralli.



 La sorgente di anidride carbonica arriva dal cono di un vulcano sottomarino, che scarica gas e acqua acida dal fondale oceanico. Un posto che dovrebbe risultare invivibile, che raggiunge concentrazioni di anidride carbonica pari a 95 mila parti per milione, oltre 200 volte la concentrazione presente nell'atmosfera, in cui le barriere coralline non soffrono i cambiamenti climatici. 


Tracciando anche i livelli di radon-222, un isotopo radioattivo presente in natura, il team ha scoperto diversi hotspot sul fondo del mare dove le acque sotterranee «scaldate» dal vulcano, riemergono ad altissima temperatura. 

 Come faccia la barriera corallina a prosperare in queste condizioni rimane un mistero: si sa davvero poco di questo ecosistema marino, e il suo studio potrà fornire importanti informazioni sulla vita marina e le meraviglie che ancora ci nasconde.

 Fonte: lastampa.it
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