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giovedì 11 aprile 2019

I Nizariti, la temibile Setta degli Assassini


La Setta degli Assassini, anche conosciuta con il nome di Nizariti, è collegata all’origine etimologica del termine stesso, ma è anche entrata nell’immaginario collettivo attraverso opere celebri come il videogioco Assassin’s Creed o il romanzo Angeli e Demoni di Dan Brown. 

L’affascinante e sanguinosa storia degli assassini è in parte avvolta nella leggenda. 
Si trattava di una setta ismaelita, una corrente dell’islam sciita che è a sua volta il più grande ramo minoritario dell’Islam.

 Nata tra la Persia e la Siria, è molto probabile che la sua fondazione risalga al 1094, quando Ḥasan-i Ṣabbāḥ, primo gran maestro dell’Ordine, si stabilì nella fortezza di Alamut con i suoi discepoli.


Ismaelita, Ḥasan-i Ṣabbāḥ era una figura carismatica e popolare all’interno della propria corrente, e non faticò a radunare seguaci. Si pensa – benché non si possa avere certezze al riguardo – che la fondazione dell’Ordine avesse lo scopo di fargli acquisire maggior potere politico, e anche di permettergli di vendicarsi dei suoi nemici. 

Ḥasan-i Ṣabbāḥ venne anche conosciuto come “il vecchio della Montagna”, benché questa espressione sia dovuta a un’errata traduzione di “capo della Montagna”. 

 Gli occidentali conobbero la setta degli Assassini grazie ai racconti di Marco Polo ne Il Milione, ma anche grazie alle testimonianza dei Crociati, che li conoscevano e li temevano.


Marco Polo descrive un castello fra le montagne, e un capo che aveva creato un vero e proprio paradiso terrestre, con tutti i piaceri promessi da Maometto.
 I giovani avrebbero potuto trovarvi vino, latte e miele, divertimento, ma potevano entrare e uscire dal castello solo addormentati.
 Quando c’era bisogno di un assassino, i giovani venivano drogati con l’hashish (da cui qualcuno sostiene derivi il termine stesso “assassino”) e fatto uscire dal castello. 
Per tornarci, doveva compiere la propria missione.

 Il condizionamento psicologico del “Vecchio della Montagna” era potente e abile. 
Quando assassinavano il bersaglio indicato, gli Assassini venivano a volte uccisi sul posto, ma lo facevano con il sorriso sulle labbra, e si pensa che ciò fosse dovuto all’hashish o all’oppio assunti. Se questa versione fosse corretta, si può pensare che il Vecchio li convinceva che la missione dava loro diritto a tornare immediatamente nel “falso paradiso” della montagna.

 La completa sottomissione al “leader”, caratteristica fondamentale di quasi ogni setta ancora oggi, era uno dei pilastri su cui si reggeva l’Ordine degli Assassini.

Non è in realtà affatto sicuro che la Setta degli Assassini usasse davvero l’hashish per motivare i suoi adepti.

 I Nizariti adoperavano tattiche di guerra molto fini, come l’attacco chirurgico o la sottomissione psicologica.

 Gli assassinii erano perpetrati quasi unicamente ai danni delle figure rivali prominenti, in maniera estremamente selettiva. 
Quando questo accadeva, però, era in luoghi pubblici, di solito nelle moschee e durante i giorni sacri, per ottenere l’effetto più sensazionalistico possibile.
 In questo modo, altri potenziali nemici venivano scoraggiati.


 In generale, gli assassinii erano ai danni di persone la cui eliminazione avrebbe maggiormente ridotto la violenza contro gli ismaeliti, soprattutto verso chi aveva perpetrato massacri ai danni della comunità.

 Quasi sicuramente gli Assassini aderivano al codice del guerriero islamico furusiyya, per cui erano esperti in combattimento e travestimento.
 I codici di condotta li volevano dotti nelle arti della guerra, in linguistica e in arti strategiche. 
L’approccio dei Nizariti era prevalentemente difensivo.
 C’era una rete di luoghi scelti per garantire nascondiglio ed evitare confronti e la perdita di vite umane.
 Questi luoghi erano disseminati per tutta la regione di Persia e Siria, insieme ad alcuni forti che accompagnavano quello di Alamut. 

Questa rete di luoghi fu molto utile agli ismaeliti, mentre il forte di Alamut rimase inespugnato fino all’arrivo dei Mongoli, nel 1256. 

 Una ricostruzione della fortezza di Alamut. 
Sotto, la vista dalle rovine oggi





La guerra psicologica e la pressione riuscivano spesso a sottomettere i nemici senza la necessità di ucciderli.
 Ad esempio, quando Ahmed Sanjar, l'ultimo sultano della dinastia Selgiuchide, rifiutò l’offerta di pace di Hassan, questi mandò un assassino al sultano, che un giorno si svegliò con un pugnale conficcato nel terreno accanto al suo letto. 
Questo garantì una politica di non belligeranza da parte di Sanjar verso la Setta, e lo spinse anche a lasciar loro le tasse raccolte dalle loro terre, a concedere licenze e a permettere di raccogliere pedaggi dai viaggiatori. 

 Etimologia di "assassino" 

 Si è pensato che il termine “assassini” derivasse da “hashashin” (fumatori di hashish), per via del supposto uso di hashish da parte della setta dei Nizariti.
 In realtà, è più probabile che l’etimologia di “assassino” derivi da Asasyun. 
Asas, in arabo, significa “principio”, e “asasin” indicherebbe gli “uomini di principio”. 

 Fonte: wonews.it

Trovato in California un misterioso mondo sottomarino con cascate di vapore viola


Gli esploratori del mare profondo hanno scovato un meraviglioso mondo sottomarino celato nel bacino di Guaymas, depressione del fondale marino del Golfo della California. 

Diversi studi hanno evidenziato come il flusso di calore nel fondale del bacino sia decisamente elevato, grazie a numerosi sorgenti idrotermali e di idrocarburi naturali.
 Ma comunque i ricercatori non hanno creduto ai loro occhi quando si sono trovati davanti a questo spettacolo. 

 Stiamo parlando di una surreale distesa di bocche idrotermali alta 23 metri, costellata di gas cristallizzati, piscine scintillanti di liquidi incandescenti e forme di vita dai mille colori, dove il fluido idrotermico ribolle verso l'alto, rimanendo «intrappolato» sotto una sporgenza minerale, creando a sua volta un vaporoso effetto a cascata.

 L'insolito spettacolo si è probabilmente formato in appena 10 anni: si trova a 1.800 metri di profondità e «definirlo sorprendente non è abbastanza», sostiene Mandy Joye, la biologa marina presso l'Università della Georgia che ha guidato la squadra che ha scoperto lo psichedelico sito subacqueo seguendo le «scie idrotermiche» oceaniche con dei sommergibili telecomandati dal ponte della nave dello Schmidt Ocean Institute.


«È stato uno shock, per usare un eufemismo», ha detto Joye a Live Science. «Credo che la mia mascella abbia letteralmente colpito il pavimento», racconta, sorpresa anche dal fatto che in quello stesso punto nel 2008 non c'era niente di tutto questo. 
«Molto probabilmente - sostiene - da allora si sono aperte nuove bocche o il flusso idrotermale è drasticamente aumentato».

 Ma i ricercatori non sanno ancora come abbia fatto: un «mistero» che ora gli scienziati cercheranno di risolvere, a partire dal suo insolito colore. 

 Fonte: ilsecoloxix.it

mercoledì 10 aprile 2019

Forse scoperto come è possibile si siano conservate per 2.000 anni le armi in bronzo dell’esercito di terracotta


Fin dalla loro scoperta negli anni ’70, la preservazione perfetta delle armi sepolte accanto ai duemila soldati dell’esercito di terracotta di Xi’an ha messo in crisi gli scienziati. 
Nonostante il loro posizionamento protetto all’interno del mausoleo dell’imperatore cinese Qin Shihuang per più di duemila anni, né i guerrieri né le componenti in bronzo delle loro armi, si sono deteriorate molto.

 Per decenni, gli scienziati hanno creduto che i produttori di armi Qin avessero sviluppato un’avanzata tecnologia antiruggine, nota oggi come rivestimento per la conversione del cromato, basata sulla rilevazione di tracce di cromo sulla superficie delle armi di bronzo sepolte con i soldati, una tecnologia brevettata solo nel inizio del XX secolo e ancora oggi in uso. 

Pubblicando i loro risultati su Scientific Reports, un team di ricercatori suggerisce ora che questa teoria dovrebbe “essere abbandonata”. 
Invece, l’incredibile conservazione del metallo potrebbe derivare probabilmente dal terreno di Xi’an. 
Il team ha analizzato 464 parti di armi e ha scoperto che meno del 10% aveva tracce di cromo; una scoperta che, dicono, conferma che la presenza della sostanza chimica non è universale e non era una tecnica di conservazione intenzionale, ma piuttosto avesse una funzione decorativa.


Quindi sarebbe stato creato un nuovo trattamento antiruggine? 
I ricercatori dicono che è stato semplicemente il risultato della contaminazione da materiale organico in decomposizione. “Abbiamo trovato un notevole contenuto di cromo nel rivestimento laccato, ma solo una traccia di cromo nei pigmenti e nel terreno vicini, forse contaminazione”, ha detto l’autore principale Marcos Martinón-Torres in un dichiarazione, aggiungendo che le più alte tracce di cromo trovate sui bronzi erano sempre su parti di armi direttamente associate a materiali organici, come quelle fatti di legno e bambù, che da allora sono decadute.

 Per queste armi, il trattamento al cromo avrebbe fornito un rivestimento decorativo laccato piuttosto che un “antico trattamento antiruggine”.


Il team ha rilevato che il terreno a pH moderatamente alcalino trovato nel sito, probabilmente ha contribuito alla conservazione così particolare. 

Per confermare, hanno simulato una replica dei bronzi in una camera modificata a livello ambientale. 

Quelli sepolti nel terreno dal sito di Xi’an sono rimasti in condizioni quasi perfette anche dopo quattro mesi di temperatura e umidità estreme, rispetto alla grave corrosione osservata nei bronzi sepolti nel suolo britannico. 

Sebbene promettente, la coautrice dello studio Xiuzhen Li, osserva che esiste ancora una possibilità che questa antica società abbia sviluppato una sorta di nuova tecnologia. 
“L’alta presenza di stagno nella tecnica del bronzo, la tempra e la particolare natura del suolo locale, vanno in qualche modo a spiegare la loro notevole conservazione, ma è ancora possibile che la Dinastia Qin abbia sviluppato un misterioso processo tecnologico e questo merita ulteriori indagini”


Più di 40.000 guerrieri di terracotta sono stati ritrovati dopo la loro scoperta avvenuta più di 40 anni fa e si stima che ce ne siano ancora diverse migliaia. 
Erano tutti forniti di armi completamente funzionali in bronzo, tra cui lance, alabarde, spade, archi, oltre a ben 40.000 punte di freccia (100 erano presenti nella faretra di un guerriero). 

 Tratto da www.iflscience.com

martedì 9 aprile 2019

Il miracolo del Natale 1914: la tregua tra tedeschi e inglesi nella Grande Guerra.


La prima guerra mondiale viene ricordata per la sua crudeltà e per le conseguenze lasciate sulle persone, fisicamente e psicologicamente, sia militari sia civili.

 Iniziò nel 1914 e terminò nel 1918, lasciando sul campo nove milioni di militari e sette milioni di civili circa, oltre quello che fu un problema sociale di dimensioni impensabili legato ai mutilati di guerra.

 Un conflitto di quelle proporzioni non si era mai visto prima nella storia (purtroppo sarà surclassato per numero di morti dalla Seconda Guerra Mondiale), e fu combattuta dalle coste dell’America sino alle pianure dell’Asia. 

Anche in un conflitto tanto cruento, un barlume di umanità trovò spazio fra le truppe inglesi e tedesche, durante il giorno di Natale del 1914. 
 Durante la notte del 24 Dicembre, le truppe inglesi su moltissimi fronti e in diversi luoghi del conflitto, udirono quelle tedesche cantare in trincea, mentre accendevano piccole candele e posizionavano alcuni abeti e decorazioni lungo le linee di difesa.
 I tedeschi iniziarono poi a cantare Stille Nacht (Astro nel Ciel), e a raggiungere la zona di conflitto a fuoco fra i due schieramenti, la “terra di nessuno”. 

Gli inglesi, inizialmente perplessi, iniziarono a loro volta a cantare e accendere lumi, raggiungendo i propri avversari nel lembo di terreno fra le due trincee.


Il giorno seguente, i tedeschi chiamarono nuovamente i britannici ad incontrarsi nella Terra di Nessuno.
 Inizialmente i soldati di Sua Maestà erano perplessi, ma poi videro i tedeschi in piedi sulle trincee, disarmati e allo scoperto. 
Gli uomini gridarono che non volevano combattere, che erano stanchi e che avrebbero bevuto un po’ di birra.


Ufficialmente, soltanto un capo di stato (il Vaticano) chiese la tregua Natalizia, Papa Benedetto XV, che propose di effettuare una pausa tra i governi in guerra, supplicando: “I cannoni possano tacere almeno nella notte in cui gli angeli cantano“.

 Senza ricevere ordini superiori in moltissime zone del fronte occidentale, che si estendeva dal mare del Nord alla Svizzera, soldati tedeschi e inglesi si strinsero la mano, si scambiarono doni, scattarono fotografie e si omaggiarono con cibo e souvenir.

 Durante il giorno di Natale entrambi gli schieramenti poterono fruire del tempo necessario a seppellire i morti della terra di nessuno, senza il pericolo di venire uccisi a propria volta dagli avversari.
 Addirittura ricordarono i caduti insieme, con funzioni religiose per i morti in battaglia.


In tante zone del fronte, inoltre, i soldati avversari iniziarono a sfidarsi non con mortali colpi di fucile o baionetta, ma con una palla da calcio, simbolo di unione e fratellanza fra schieramenti che la politica e i potenti avevano messi gli uni contro gli altri. 

 Secondo il Daily Mirror, che scrisse della tregua di Natale soltanto ai primi di Gennaio, un reggimento inglese aveva avuto la meglio contro uno Sassone battendo 3 a 2 gli avversari, in una sfida che non lasciò sul campo neanche una goccia di sangue.


I comandanti delle due fazioni, per evitare che la tregua si ripetesse anche nel 1915, interruppero forzatamente le comunicazioni con gli avversari durante il periodo natalizio, e così fu negli anni seguenti. 

 Tratto da: vanillamagazine

lunedì 8 aprile 2019

Gevelstenen: le tavolette colorate di Amsterdam che indicavano il proprietario della Casa


Passeggiare col naso rivolto all’insù non è certamente consigliabile, soprattutto in una città piena di canali come Amsterdam. 
Eppure, per vedere delle piccole curiosità, chiamate gevelstenen, occorre alzare lo sguardo all’incirca a 4 metri dal suolo. E ne vale la pena, perché sono delle tavolette di pietra, o di terracotta, dipinte a colori vivaci, che non hanno uno scopo puramente estetico. 

Prima che ad Amsterdam gli edifici cominciassero a essere contraddistinti da un numero civico, le gevelstenen avevano proprio la funzione di identificare gli indirizzi.






Ogni costruzione, privata o pubblica, aveva sulla facciata una targa di pietra, scolpita e dipinta con colori vivaci, che spesso indicava quale funzione avesse l’edificio, oppure quale mestiere esercitasse il proprietario.

 Le gevelstenen sono caratteristiche del tessuto urbano di Amsterdam, che oggi ne conta all’incirca 850, ma in tutti i Paesi Bassi ce sono più o meno 2500.




Gli olandesi iniziarono a usarle nel 16° secolo, quando poche persone erano in grado di leggere e scrivere.
 Le pietre dipinte erano un modo pratico per identificare un edificio, senza rischio di sbagliare.

 Una penna d’oca indicava che nella casa viveva uno scrittore, il disegno di una nave raccontava che l’edificio era di proprietà di un marinaio.


In alternativa, le gevelstenen esercitavano una funzione di “protezione”, con citazioni delle sacre scritture, oppure immagini religiose, a sottolineare la fede dei proprietari.


C’era poi qualche buontempone che nella tavoletta scriveva un motto scherzoso o un gioco di parole, anche senza un’immagine. 


Le gevelstenen avevano stili molto diversi fra loro: alcune hanno un’aria quasi naif, altre sono più estrose, oppure di un’assoluta semplicità. 

 Nel corso degli ultimi decenni molte di queste tavole sono state restaurate, e rappresentano una inconsueta fonte di informazioni sulla cultura, l’economia, la religione e la politica tra il 16° e il 18° secolo nei Paesi Bassi. 

 Nel 1875, quando ad Amsterdam furono introdotti i numeri civici, le gevelstenen persero la loro funzione pratica, e la tradizione andò scomparendo, per riprendere piede negli ultimi decenni.



Fonte: vanillamagazine.it

venerdì 5 aprile 2019

Lo Stendardo di Ur


Lo Stendardo di Ur è un reperto archeologico sumero ritrovato in una tomba della necropoli reale di Ur durante gli scavi eseguiti in Iraq tra il 1927-1928 dall’archeologo inglese sir Leonard Woolley. 

Risalente al 2900-2450 a.C. circa, lo Stendardo di Ur è collocato presso il British Museum, Londra. 

 Si tratta di un pannello rettangolare bifronte nel quale gli artisti mesopotamici, hanno incastonato, su di uno strato di catrame, lapislazzuli, conchiglie, pietre di calcare rosso e madreperle bianche per mezzo delle quali, con estrema raffinatezza, nonché competenza tecnica ed espressiva, sono riusciti a descrivere con ricchezza di minuzie la loro avanzatissima civiltà. 

Le scene sono raccontate per mezzo di tre strisce, che narrano su di un lato le vicende relative ad una guerra vinta dai Sumeri e sull’altro la pace riconquistata.




Sulla facciata detta “della guerra”, i soldati indossano un lungo mantello e hanno il capo cinto da una cuffia.
 Un corteo di pesanti carri da guerra avanza rotolando su grandi ruote di legno. 
È questa la prima rappresentazione che ci è giunta della ruota, una delle invenzioni più importanti dell’umanità.




Queste prime ruote erano di legno pieno, fatte con tre pezzi uniti insieme con delle traverse, sempre di legno, o con corregge di cuoio: i due pezzi laterali erano a forma di mezzaluna; quello centrale aveva i bordi arrotondati e presentava un foro nel quale passava l’asse che trasmetteva il movimento al carro.
 Erano pesanti eppure rivoluzionarono i trasporti perché permettevano di spostare materiali ingombranti con una certa facilità.
 I carri erano trascinati da cavalli, ben addestrati e dettagliatamente curati. 

Sempre in questa faccia, c’è un aspetto molto crudele che ci fa prendere coscienza dell’assurdità della guerra, evidenziando, soprattutto, che il tempo trascorso da quegli eventi sia passato invano; vediamo, infatti, i nemici, caduti in battaglia, calpestati dai carri che muovono all’assalto. 

 Parzialmente tratto da: tanogabo.it

Scoperto Menara, l'albero tropicale più alto del mondo


Si chiama Menara, è alto circa 100,8 metri ed è l'albero tropicale più alto finora sconosciuto. 
A scoprirne l'esistenza è stato un team di scienziati delle Università di Nottingham e Oxford. 


 In collaborazione con la Sud Est Asia Rainforest Research Partnership, i ricercatori hanno individuato questo splendido colosso, che cresce rigoglioso nelle foreste di Sabah.

 Negli ultimi anni sono stati scoperti vari alberi tropicali eccezionalmente alti (Shorea faguetiana) che crescono proprio a Sabah, uno stato malese sull'isola del Borneo. 
L'altezza record finora osservata andava da 88 a 94,1 metri nel 2016, quando fu trovato un intero boschetto di meranti gialli alti 90 metri.
 Tale record è stato ulteriormente eclissato di recente, quando il team guidato dalle università di Nottingham e Oxford, ha annunciato tramite il National Geograpghic la scoperta di un gigante di 100 metri. 

Anche se esistono alberi ben più alti, la maestosa creatura osservata è la pianta da fiore più alta al mondo e anche quella tropicale più alta mai individuata. 
 Per dare un'idea, se fosse posato a terra, sarebbe più lungo di un campo da calcio. 

Il team ha chiamato l'albero "Menara", termine malese che significa torre. 
Hanno stimato che pesa 81.500 kg escluse le radici.




Gli alberi da record sono tutti, finora, della stessa specie: i meranti gialli. 
Si tratta di creature in pericolo, presenti nella la lista rossa IUCN. 

Anche se la foresta pluviale primaria di Sabah è sotto protezione, l'abbattimento dei meranti continua inesorabile in altre parti del Borneo.

 Queste creature incredibili sono scrigni di biodiversità.
 Possono ospitare fino a 1.000 insetti, funghi e altre specie di piante. 

 Menara è stato trovato nella zona di conservazione della valle di Danum, al centro di uno dei tratti di foresta pluviale planiziale più protetti e meno disturbati del sud-est asiatico. 
Per individuarlo, gli scienziati hanno usato le immagini fornite nel 2018 da una scansione laser della foresta.

 Danum protegge l'orangutan, in via di estinzione, il leopardo nebuloso e gli elefanti delle foreste. E adesso, si scopre che garantisce rifugio anche agli alberi tropicali più alti della Terra.
 Ma non è tutto.
 Secondo gli scienziati Menara potrebbe non essere il più alto.
 È possibile che la foresta ospiti un esemplare capace di superarlo. Per questo saranno condotti ulteriori ricerche volti anche alla tutela di questi polmoni verdi. 


 Francesca Mancuso

giovedì 4 aprile 2019

Trovata tomba nobiliare egizia di 4.400 anni fa, nuova perla per il turismo del Paese


La tomba di un nobile «vicino» al Faraone «nel tardo periodo della V dinastia», quella che nell’Antico Regno ha regnato attorno al 2.400 a. C., è stata rinvenuta a Saqqara, la vasta necropoli egizia a sud del Cairo.

 Lo riporta il sito Sada Elbalad riprendendo un recente comunicato del ministero delle Antichità egiziano. 

 La scoperta è stata fatta da una missione archeologica egiziana che per prima è riuscita anche ad attribuire un nome, «regina St ib Hoor», alla consorte del faraone Djedkara (o Djedkhau).




In una seconda tomba, oltre ai pezzi di un sarcofago di calcare «completamente distrutto», sono stati rinvenuti resti di oli usati per l’imbalsamazione. 

La missione inoltre ha completato il «restauro architettonico» interno della piramide di re Djedkara mai compiuto prima.

 L’Egitto, col dichiarato fine di rilanciare il turismo danneggiato da due rivoluzioni e attentati terroristici, sta facendo in questi mesi numerosi annunci di scoperte archeologiche.

 Fonte: ilsecoloxix

mercoledì 3 aprile 2019

Stupendi manufatti dell’antica civiltà Tiwanaku trovati nel Lago Titicaca in Perù


Nel grande lago Titicaca sito tra Bolivia e Perù sono stati scoperti preziosissimi manufatti cerimoniali appartenenti alla cultura precolombiana dei Tiwanaku (o Tiahuanaco), una civiltà che si sviluppò nell’area centinaia di anni prima dell’insediamento degli Inca. 
 Tra i reperti recuperati vi sono vasi; bruciatori di incenso a forma di puma (un simbolo ricorrente per i Tiwanaku); ornamenti in oro di varie forme e dimensioni; pietre preziose; medaglioni; piccoli animali intagliati e molto altro ancora.


Gli splendidi reperti sono stati recuperati durante una spedizione di 19 giorni condotta nel lago Titicaca da tre ricercatori.

 Gli archeologi, Christophe Delaere dell’Università di Oxford, José M. Capriles dell’Università Statale della Pennsylvania e Charles Stanish dell’Università della Florida del Sud, hanno scandagliato il fondale nei pressi dell’Isola del Sole (Isla del Sol), famosissima per le offerte cerimoniali degli Inca, ma che evidentemente era molto apprezzata anche dai Tiwanaku. 

Dopo aver scansionato il fondale sottomarino con un sonar e tecniche di fotogrammetria, gli scienziati hanno dragato un’area nei pressi dell’isola, che si trova nel dipartimento di La Paz, nella porzione boliviana del lago.




Oltre ai preziosi reperti sopracitati, gli archeologi hanno trovato anche alcune ancore; per gli studiosi indicano che gli oggetti venivano lasciati affondare nel lago di proposito, come vere e proprie offerte cerimoniali. 

Sono state trovate anche ossa di vari animali; molte di esse si ritiene siano finite nel lago per cause naturali, come quelle degli uccelli e degli anfibi, tuttavia sono stati trovati anche i resti di quattro lama.
 Capriles e colleghi suggeriscono che questi animali furono sacrificati in seno ai riti delle offerte per le divinità. 

Si tratta di una scoperta importante anche perché sottolinea che cerimonie religiose avvenivano in questi luoghi molto prima dell’arrivo degli Inca, che diedero vita a un vero e proprio impero tra il XIII e il XVI secolo.

 I riti cerimoniali dei Tiwanaku indicano l’esistenza di una società complessa ed evoluta, che tuttavia durò soltanto alcuni secoli.

 I dettagli sulle affascinanti scoperte sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica PNAS. 

 Tratto da Sciencealert e scienze.fanpage.it

martedì 2 aprile 2019

Da oscenità a icona, la piramide del Louvre di Parigi compie 30 anni


Da «oscenità» architettonica a icona in tutto il mondo. 
Ne ha fatta di strada la piramide del Louvre che celebra i suoi primi trent'anni nel cuore di Parigi!

 Per festeggiare quest'importante traguardo JR, uno dei più famosi street artist al mondo, sta realizzando un collage gigante aiutato di 400 volontari per rivelare il «Segreto della Grande Piramide».
 Ma i festeggiamenti andranno avanti per mesi, con mostre e concerti in più sedi. 

 Una grande festa che avrà al centro il capolavoro in vetro dell'architetto statunitense di origine cinese Ieoh Ming Pei, vincitore nel 1983 del Pritzker Prize, il Nobel dell'architettura, inaugurato il primo aprile 1989. 
A commissionarglielo furono l'allora presidente socialista Francois Mitterrand e il suo ministro della Cultura Jack Lang ma fu presto definita una «scelta azzardata»: il visionario architetto volle trasformare il cortile Napoleone - in quegli anni utilizzato come parcheggio - in una zona di aggregazione, incastonando al suo centro una doppia piramide di vetro, una esterna, circondata dalle fontane, l'altra sommersa, all'incrocio delle gallerie museali, donando nuova luce.


La struttura in acciaio della piramide pesa 95 tonnellate e poggia su un telaio in alluminio di 105 tonnellate. 
È ricoperta da 603 quadrati e 70 triangoli di vetro, tenuti insieme da 6 mila barre e 200 mila nodi, per 35 metri d'altezza. 
E ci sono voluti quattro anni per costruirla. 

 Ma quel progetto, ora diventato un simbolo per il mondo intero, non è stato accolto nel migliore dei modi, tanto da essere considerato sacrilego per la sua sfacciata modernità abbinata a uno storico palazzo rinascimentale. 

Il quotidiano satirico Le Canard Enchainé, ad esempio, paragonò la piramide ad una tomba egizia, ironizzando sul fatto che Mitterrand, già ammalato, volesse diventare il primo faraone della storia francese.


Contro l'architetto si scatenò una vera campagna di ostracismo. 
L'allora direttore del Louvre, André Chabaud, rassegnò le dimissioni.
 Un sondaggio ha affermato che al 90% dei parigini non piaceva la ristrutturazione del Louvre. 
Insomma, la stessa sorte che era toccata all'altro simbolo della città, la Tour Eiffel, inizialmente descritta come un'opera «inutile», «mostruosa» e «colonna odiosa di metallo con bulloni».




Ma la storia ha dato ragione a Pei. E anche grazie all'accesso centrale, il Louvre ha registrato un boom di visitatori, fino ai 10 milioni di oggi. 
E lo stesso architetto, oggi 102enne, è tornato a lavorare sul suo capolavoro per adattarlo al nuovo flusso di visitatori.

 «Il Louvre è l'unico museo al mondo la cui entrata è un capolavoro.
 La piramide è il suo simbolo moderno. 
Un'icona alla stregua dei capolavori che custodisce, come la Gioconda e le Venere di Milo», ha dichiarato il direttore del museo, Jean-Luc Martinez.



Fonte: lastampa.it
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