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martedì 5 settembre 2017

L'incredibile giardino botanico di Pattaya


Un giardino da sogno, dove la natura sposa la fantasia.
 Non lontano da Pattaya, in Thailandia, sorge il Suan Nong Nooch, uno dei parchi più affascinanti e originali del globo.
 Un paradiso dove dimorano piante e animali di tutto il mondo, chiamato così in onore della sua fondatrice, la signora Nongnooch Tansacha.
 Insieme al marito, Nongnooch hanno acquistato nel 1954 seicento ettari di terreno. Ma al posto di creare una piantagione di frutta, hanno deciso di avviare un progetto di conservazione della flora autoctona e della fauna selvatica.
 Il giardino ha aperto al pubblico nel 1980 e ospitava al suo interno un elefante. Poi negli anni si è arricchito di ambienti dove crescono piante e fiori ornamentali tropicali fra siepi intagliate ad arte e pagode in tipico stile thailandese, mentre gli animali sono stati sostituiti da sculture a grandezza reale. 
Gli unici fuori misura sono gli insetti e i gasteropodi.


Oltre al giardino delle farfalle e dei fenicotteri rosa, qui si trova un incantevole giardino rinascimentale italiano decorato con statue di marmo fatte appositamente arrivare dal nostro paese.
 Si trovano poi le riserve di agave, adenium e bromeliacee, il parco dei bonsai, la riproduzione di Stonehenge e il Caribbean Walk, un corridoio formato da palme e piante provenienti dalle isole dei Caraibi.






Insomma, il giro del mondo racchiuso in un unico straordinario parco a venti chilometri dal centro di Pattaya, dove la mano dell'uomo ha guidato la natura creando uno spettacolo difficile da dimenticare che si può ammirare anche dall'alto, grazie a dei ponti sospesi e a delle terrazze panoramiche. 

 Fonte: lastampa.it

lunedì 4 settembre 2017

Volpi geneticamente modificate : un'orribile verità del mercato delle pellicce


Sono immagini spaventose quelle che mostrano volpi geneticamente modificate per avere più pelle del normale.

 Animali rinchiusi in minuscole gabbie, privati della loro libertà e utilizzati come merce nell’azienda della moda del lusso.

 A denunciare la vicenda è da anni il gruppo finlandese Oikeutta Eläimille che nella sua ultima indagine investigativa, diffusa sul proprio sito qualche settimana fa, mostra ancora una volta, cosa si nasconde dietro le pellicce dei brand internazionali. 
 Le immagini provengono dagli allevamenti finlandesi, perché come sappiamo, la Finlandia è attualmente il paese maggior produttore mondiale di pellicce di volpe.

Nel 2015, un dossier dal titolo “Nordic fur trade” raccontava le condizioni degli animali, non solo delle volpi, e smascherava l'etichettatura Saga Furs, che da sempre, promette di certificare la tracciabilità e la qualità della pelliccia.
 All’epoca sia le ispezioni ufficiali che le investigazioni dei gruppi animalisti rivelavano che di tutto si poteva parlare tranne che di benessere animale nei paesi produttori, molti dei quali (come la Norvegia) ricevono addirittura incentivi statali.


In tutto il mondo, quindi, dalla Danimarca alla Cina, i cosiddetti ‘animali da pelliccia’, (espressione che fa rabbrividire perfino a scriverla) ovvero volpi, visoni, procioni e altri, si trasformano in oggetti da allevamento.
 I risultati sono quelli che ci mostra Oikeutta Eläimille secondo cui la pelliccia di questi animali finisce con marchio Saga Furs nelle vie delle shopping di lusso e nelle vetrine di Louis Vuitton e Michael Kors. 

 A prima vista, nessuno sarebbe in grado di capire che quella nella gabbia metallica è una volpe.
 Secondo gli investigatori, oltre ad essere deformate, le volpi hanno problemi oculari, ferite aperte, lesioni agli arti e alle orecchie. Rinchiuse in pochi centimetri sviluppano comportamenti da automi e atti di cannibalismo nei confronti delle carcasse lasciate per giorni accanto agli animali vivi.
 Senza considerare che non sono in grado di muoversi e camminare.





 Pensate che questi animali in natura arrivano a pesare 4/5 kg, mentre le versioni “artificiali” create dall’industria possono arrivare anche a 20 kg di peso.

 Nonostante i divieti e le restrizioni, questo mercato uccide ancora 40 milioni di animali ogni anno, per trasformarli in ornamenti per borse, manicotti o pellicciotti che adornano i nostri piumini. 

 La prossima volta che andrete a fare shopping, richiamate alla mente queste immagini e chiedetevi: voglio essere complice di tutto questo?


 Fonte: greenme.it
            amoreanimale.it

Le cascate sacre dell'Australia, una delle ultime frontiere inesplorate del mondo


Una bellezza «sacra». 
Le Mitchell Fall sono una meraviglia della natura immersa nella più remota regione dell'Australia, Kimberley. 
Queste cascate sono considerate sacre dalla comunità aborigena locale e intorno a loro sono cresciute intere generazioni di Wumambal, che le chiamano Punamii-unpuu. 

 Secondo la leggenda, nei laghetti formati dalle cascate vivono i Wungurr, serpenti creatori dai poteri soprannaturali.
 Una presenza «sacra» che vieta di fare il bagno in queste cristalline piscine naturali che assumono sfumature che vanno dall'indaco al verde smeraldo. 
Una tentazione che ricorda il mito dell'Eden, del serpente e della mela, oggi tutelata dall'istituzione Mitchell River National Park.




Il fiume Mitchell ha scavato gole e cascate nel Mitchell Plateau, modellando l'intero tracciato nella foresta pluviale fino alle sue foci nella Baia di Walmsley e nel Golfo dell’Ammiraglio. 
L'intera area è considerata una delle ultime frontiere inesplorate del mondo: un vero paradiso della biodiversità che ospita 220 specie di uccelli, 50 specie di mammiferi e 86 di rettili. 

 Fonte: lastampa.it

mercoledì 5 luglio 2017

Il pappagallo batterista


È il Ringo Starr della giungla: un pappagallo australiano che utilizza strumenti autoprodotti per suonare pezzi ritmici e conquistare le femmine.

 Il cacatua delle palme (Probosciger aterrimus) percuote rametti o baccelli contro le parti cave dei tronchi seguendo ritmi costanti, regolari e molto personali. 

 Ci sono animali che utilizzano strumenti per cacciare: scimpanzé e corvi, per esempio, cacciano termiti e larve con bastoncini. 
Ci sono specie che cantano o emettono suoni esagerati per attirare l'attenzione delle partner. Ma il cacatua è il primo, se si esclude l'uomo, a unire entrambe le abilità, utilizzando uno strumento ad hoc per produrre musica, e con uno stile proprio.


I ricercatori dell'Australian National University di Camberra hanno monitorato per 7 anni questo timido pennuto nelle foreste settentrionali del Queensland, ottenendo infine i filmati di 18 maschi che si sono esibiti, complessivamente, in oltre 130 "assoli di batteria".
 Gran parte delle esibizioni si è tenuta di fronte alle femmine, con i maschi che hanno arricchito le performance con vocalizzi e arruffate di piume.
 Lo studio è stato pubblicato su Science Advances


Il repertorio varia da maschio a maschio: alcuni inseriscono rapidi battiti separati da meno di un decimo di secondo, altri hanno un ritmo più lento e regolare.

 I volatili ricavano da soli le "bacchette", staccando col becco bastoncini di circa 20 cm di lunghezza, che poi tengono nella zampa sinistra. 
Altre volte lo strumento di percussione è un duro baccello vuoto. 
 I maschi usano i rametti per costruire i nidi nelle parti cave dei rami: la loro abilità ritmica potrebbe essersi evoluta in questo contesto.
 Stupisce però notare, nei loro brani, due caratteristiche tipicamente umane, come la costanza nel tenere il tempo e lo sviluppo di uno stile individuale.

 Di fronte a tale bravura... le femmine non fanno una piega! La loro reazione non è parsa rilevante: ulteriori studi indagheranno su quali siano i ritmi preferiti, e su come la regolarità del battito influenzi l'esito del corteggiamento. 

 Fonte: .focus.it

lunedì 3 luglio 2017

Nel bosco di Omachi esiste un anello di nebbia che porta in un mondo magico


In Giappone, nella prefettura di Nagano, si trova il bosco di Omachi, un polmone verde di incredibile bellezza che ospiterà fino al 30 luglio il Japan Alps Art Festival. 

Durante questo importante evento in cui arte, natura e paesaggio si intrecciano in modo incantevole, l’artista australiano James Tapscott ha creato un anello di nebbia che porta in un mondo magico.
 Il bosco è diventato quindi un luogo onirico in cui passeggiare e perdersi tra realtà e immaginazione. 

 Negli ultimi anni si sono sempre più diffusi gli eventi di land art nel mondo, che uniscono arte e paesaggio. 
Uno dei massimi esponenti mondiali di questo tipo di arte è Christo, conosciuto soprattutto per la sua installazione The Floating Piers sul lago d’Iseo.
 In Giappone quest’estate si sta svolgendo un importante festival che richiama artisti da tutto il mondo che esprimono le loro idee attraverso installazioni che dialogano con la natura. 
Prima tra tutte quella di James Tapscott, un artista australiano che ha creato un vero anello di nebbia chiamato “Arc Zero – Nimbus”. L’opera raggiunge il suo massimo splendore quando cala il sole: l’atmosfera diventa onirica, la nebbia crea effetti ottici con la luce e le persone che l’attraversano sembrano entrare in un’altra dimensione.


L’artista ha realizzato l’opera vicino al ponte che porta al tempio di Kanonji, un importante luogo di culto della zona: la sua realizzazione è stata particolarmente economica grazie all’utilizzo di materiali semplici.
 Il suo obiettivo infatti è quello di mettere in risalto la natura circostante. 
Quando si attraversa l’anello, i visitatori entrano in un luogo di meditazione, in cui gli unici rumori che si sentono sono quelli della natura e dell’acqua che scorre.


Proprio l’acqua è una grande protagonista di quest’opera: è dal fiume che proviene la nebbia. 
L’artista ha spiegato che l’anello vuole rappresentare il percorso dell’acqua attraverso tutti i suoi stadi. 

Oltre all’anello e alla nebbia, Tapscott ha inserito anche due led luminosi che si accendono durante le ore notturne e creano un cerchio infuocato.


L’atmosfera è decisamente suggestiva e i visitatori che hanno attraversato l’anello ne sono rimasti estasiati. 

 Fonte: http://siviaggia.it

domenica 2 luglio 2017

Lo splendido mondo dei lupi marini


Lupi di mare, li conoscete?
 Si spostano a nuoto tra le isole, nutrendosi di ciò che offre l’oceano, e sono geneticamente diversi dai loro familiari continentali. 
 Lungo la costa selvaggia del Pacifico della Columbia Britannica, la più occidentale delle coste canadesi, è possibile vedere un’intera popolazione di lupi di mare. E le foto scattate dall’americano Ian McAllister sono stare nominate le immagini più significative del National Geographic del 2015.

 McAllister, cofondatore del Pacific Wild, ha infatti catturato la magia di questi lupi in immagini mozzafiato, studiando questi lupi per quasi due decenni.

 I lupi marini potrebbero anche definirsi pescatori, dal momento il 90% del loro cibo viene direttamente dall'oceano, e un quarto di esso è salmone.
 Oltre a disporre di modelli distintivi di cibo, i lupi marini sono anche nuotatori eccellenti, con dimensioni più piccole e corporatura diversa rispetto ai continentali.






Di fatto, molte sono le ricerche che confermano differenze genetiche, ecologiche e comportamentali tra i lupi costieri o insulari e quelli continentali e sulla costa centrale della Columbia Britannica, in Canada, per il lupo i dati indicano una grande differenza ecologica tra quelli che popolano le isole e i lupi che si trovano sulla terraferma costiera.






I lupi marini, insomma, si comportano del tutto diversamente, e dalle foto di McAllister si vede chiaramente. 
Attraversano fiumi, si tuffano, nuotano tra un’isola e l’altra, pescano salmoni, si nutrono di foche e masticano anche le cozze che emergono con la bassa marea. 

 Germana Carillo

venerdì 30 giugno 2017

Trovata in Egitto una eccezionale protesi per il piede di 3000 anni fa!


Un team di ricerca dell’Università di Basilea (Svizzera) ha rinvenuto in Egitto la protesi di un alluce di ben 3mila anni, una delle più antiche in assoluto a disposizione degli scienziati.

 Gli archeologi elvetici, che hanno collaborato con gli esperti del Museo Egizio del Cairo e con l’Istituto di Medicina Evolutiva dell’Università di Zurigo, l’hanno trovata in una tomba saccheggiata della necropoli di Sheikh Abd el-Qurna, nei pressi della celebre Luxor.


La protesi apparteneva a una donna, la figlia di un sacerdote, e grazie alle scrupolose tecniche adottate per analizzarla in dettaglio, dalla tomografia computerizzata ai raggi X, è emerso che essa fu riparata e perfezionata diverse volte, al fine di renderla più confortevole per la proprietaria. 

Pur avendo ben 3mila anni, l’oggetto dimostra una cura maniacale anche sotto il semplice profilo estetico, con intagli estremamente precisi sia nel legno che nella cinghia in pelle, che serviva a tenerla ben salda al piede. 

La donna, molto probabilmente, perse l’alluce a causa di un brutto incidente, ma grazie al suo stato sociale elevato poté contare su una squadra di abilissimi artigiani, fini conoscitori della fisionomia umana. 

 Un reperto analogo a quello rinvenuto a Sheikh Abd el-Qurna, una sorta di cimitero per l’elite dell’epoca, venne recuperato circa venti anni fa da studiosi egiziani del Cairo: aveva 2600 anni ed era attaccato alla mummia di una nobildonna identificata col nome di Tabaketenmut. 

Benché possa sembrare curioso il recupero di siffatte protesi in tempi così antichi, in realtà si trattava di oggetti piuttosto comuni per chi poteva permetterseli e ne aveva bisogno.
 La maggior parte di essi è stata trovata correttamente posizionata sui morti, poiché l’integrità fisica dei cadaveri, in base alle credenze, avrebbe aiutato anche nell’aldilà. 

 Tratto da: scienze.fanpage.i
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