lunedì 30 settembre 2013
Le lontre marine, custodi delle foreste sottomarine
L'interno di un ecosistema, l'equilibrio delicato e dinamico che si crea è mantenuto da una fitta rete di interazioni, sia dirette che indirette, tra le diverse specie e tra queste e l'ambiente.
Per questo motivo, quando avvengono oscillazioni delle popolazioni di una specie, le conseguenze si rispecchiano su tutta la biocenosi.
Un esempio di questo viene da un bellissimo studio che ha dimostrato come l'abbondanza di lontre di mare (Enhydra lutris) possa influenzare fortemente le dinamiche dell'intero ecosistema nonché la dieta e le abitudini alimentari di un predatore terrestre ai vertici della rete trofica: l'aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus).
Lo studio, pubblicato sull'ultimo numero della rivista Ecology, è stato condotto presso le isole Aleutine, arcipelago che si estende tra l'Alaska e la Siberia e che ospita nelle sue acque l'ecosistema marino del tutto particolare delle foreste di kelp.
Il kelp è un'alga bruna dalle foglie molto larghe che cresce appena al di sotto della superficie e può formare delle vere e proprie foreste sottomarine, che forniscono cibo e protezione a moltissime specie di pesci e invertebrati.
Il principale nemico del kelp, che vive e si nutre dei suoi tessuti vegetali, è un piccolo riccio di mare, le cui popolazioni in caso di crescita esponenziale possono distruggere le intere foreste e compromettere l'esistenza di tutte le forme di vita legate a questo ambiente.
E' stato da tempo osservato come l'equilibrio dell'intero ecosistema venga mantenuto dalla presenza delle lontre marine, che si nutrono in prevalenza di questi invertebrati, e dei loro predatori, le orche (Orcinus orca).
E' stato documentato infatti che all'aumentare del numero di orche si osserva un sostanziale decremento delle lontre e una conseguente riduzione dell'estensione delle foreste di kelp.
Lo slittamento da un ecosistema marino ricco di alghe verso uno che ne è privo, comporta però non solo problemi per le specie che vi abitano, ma anche per quelle che utilizzano le foreste di kelp come luogo di caccia.
Infatti, la riduzione della presenza di pesci e invertebrati legati a questo ecosistema può influenzare i comportamenti e le strategie di caccia di predatori sia acquatici che terrestri, come le aquile di mare testabianca che nidificano sulle coste vicine.
In risposta alla differente disponibilità di prede, infatti, le aquile sembrano aver modificato le proprie abitudini di caccia e la propria dieta.
Un gruppo di ricercatori della Oregon State University ha infatti monitorato la presenza delle diverse tipologie di prede all'interno dei nidi di questa specie dalla metà degli anni '90 a oggi.
Nei periodi in cui le lontre erano abbondanti la dieta predominante di questi rapaci era a base di pesci legati alle foreste di kelp e cuccioli di lontra.
Al contrario, negli ultimi anni, in cui si è verificato un netto calo demografico delle lontre di mare come conseguenza dell'aumento delle popolazioni di orche che vivono in quelle acque, le prede cacciate con maggior frequenza sono gli uccelli marini.
Sembra perfino che nei periodi di dieta a base di uccelli, le aquile abbiano deposto più uova e portato all'involo in media un numero maggiore di pulcini.
Forse questo incremento del successo riproduttivo è legato a condizioni climatiche e meteorologiche favorevoli presentatesi in quegli anni, ma i ricercatori pensano che possa essere il frutto del maggior contenuto calorico ottenuto dal consumo di uccelli marini anziché di pesci e lontre.
Come si è visto, l'abbondanza di una specie all'interno di un ecosistema può condizionare mediante un effetto domino le dinamiche di popolazione di molte altre, anche di quelle con cui apparentemente non entrano in contatto.
http://www.pikaia.eu/
Una cantina in fondo al mare
Capitan Nemo offrì ai suoi ospiti sul Nautilus pesci rari e un «liquore fermentato estratto dall’alga nota col nome di “rodomenia palmata”».
Lo credevano matto, racconta Jules Verne in ”Ventimila leghe sotto i mari”, quando invitò tutti a una battuta di caccia nella sua foresta di Crespo, nel Pacifico, rivelando che si trattava di boschi sottomarini. Ma la foresta esisteva davvero e tutti la videro usando speciali scafandri.
Quei viaggi tra perle giganti, mostri e tunnel segreti che portano al Mediterraneo, vengono in mente ascoltando il racconto di un’impresa meno epica ma carica dello stesso fascino che porta alla scoperta di nuovi mondi nascosti.
L’avventura sottomarina è quella di Pierluigi Lugano, 65 anni, ex professore di storia dell’arte e ora vignaiolo.
Ha aperto la prima cantina d’Italia in fondo al mare. Ha stivato ogni anno 15 mila bottiglie a 60 metri di profondità. E ora ha portato a galla un nuovo vino: un migliaio di bottiglie con un primato di immersione, 30 mesi tra pesci e alghe.
Il nuovo vino si chiamerà Abissi Riserva, uno spumante, o per meglio dire un Metodo classico, ovvero un vino prodotto con la stessa procedura di uno champagne.
Solo che le bottiglie, invece di riposare in cantine buie, spesso storiche, con il giusto grado di temperatura e servizio, vengono adagiate sul fondale davanti alla Cala degli Inglesi, nel Parco marino di Portofino.
Sembrava una idea al limite della follia, una trovata per attirare l’attenzione. Invece ha funzionato. Non solo, ne ha scritto un esperto di vino come Alan Tardi sul New York Times e ne hanno parlato le televisioni di mezzo mondo (l’ultimo servizio è stato mandato in onda in Russia).
Anche dalle degustazioni sono arrivati giudizi positivi:
«Molto coerente, deciso e ficcante» è ad esempio il giudizio di Ernesto Gentili e Fabio Rizzardi sulla guida dei vini d’Italia dell’Espresso.
Lugano ha iniziato la sua seconda vita («dopo aver girovagato come insegnante tra scuole medie e licei dal Veneto alla Sardegna») nel 1978. Fonda l’azienda Bisson. L’idea è semplice: recuperare vitigni locali della Riviera del Levante, acquistando uve da piccoli contadini e vinificando poi con tecniche moderne. Arrivano in cantina, a Chiavari, le uve di Bianchetta genovese e Vermentino ligure. Poi di Ciliegiolo e Cimixià.
«Dopo qualche anno ho iniziato la seconda fase — racconta Lugano — ho impiantato vigneti miei e ho pensato a uno spumante. Ma non avevo una cantina sotterranea, non sapevo dove poter affinare il vino che ha bisogno di penombra e temperatura costante. E ho pensato a tutti quei galeoni naufragati con carichi a volte sopravvissuti dopo centinaia di anni sott’acqua».
Nel maggio del 2009 è partito il primo esperimento, 6.500 bottiglie che sono state messe in vendita due anni dopo, poco prima di Natale. «Non sono operazioni semplici — spiega Lugano — le bottiglie vengono stivate in cassoni d’acciaio e portate sul fondale da sub esperti che si danno il turno, perché più di 15 minuti non possono stare in profondità. Serve un rimorchiatore attrezzato per assisterli».
Quando tornano sulla terra le bottiglie sono piccole opere d’arte, impreziosite dal tempo, come quelle di Kounellis che sono state esposte alla Fondazione Cini di Venezia nella mostra «Fragile come il vetro» nell’aprile scorso.
Crostacei, alghe, stelle marine, conchiglie, residui di vita marina restano saldati alle bottiglie, che vengono avvolte da un pellicola trasparente prima di essere portate nelle enoteche e vendute a circa 40 euro per quanto riguarda la versione «normale» di Abissi, quella con 18 mesi affinamento.
Abissi viene prodotto con i vitigni autoctoni, Bianchetta, Cimixià e Vermentino, con le uve dei 15 ettari di Bisson. C’è anche una versione rosè (con l’aggiunta di Ciliegiolo), che debutterà a novembre assieme alla Riserva.
Ora Lugano potrebbe ripetere quello che pensava Capitan Nemo alla cena prima della battuta di caccia nella foresta sottomarina:
«Mi avete creduto matto. Non bisognerebbe mai giudicare gli uomini alla leggera».
Placebo : una cura fatta di niente
Medicine che funzionano sempre, anche se dentro c'è solo acqua fresca: si chiama "effetto placebo" ed è noto da sempre.
Per secoli la sua efficacia è stata fonte di imbarazzo per medici e ricercatori, in quanto mette in dubbio il valore di rimedi anche molto costosi. Recentemente, però, la scienza lo ha rivalutato e si è chiesta come funziona e perché. Scoprendo che il successo del placebo sembra collegato alla produzione di dopamina, una sostanza prodotta dal nostro organismo che funziona da neurotrasmettitore e che attiva dei recettori, alcuni dei quali agiscono in un'area del cervello correlata alla percezione del piacere e del dolore.
Un risultato che, se confermato, potrebbe avere grande importanza addirittura nell'individuazione di nuove terapie.
Non vale per tutti, ma per tanti sì: ad alcune persone, la sola idea di ingerire una pillola, a prescindere da cosa contenga, fa passare tutti i mali. E quando i mali non sono immaginari, c'è proprio da chiedersi... com'è possibile? La risposta la propone una ricerca recente: l'effetto placebo sarebbe collegato alla produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che agisce, tra l'altro, in un'area del cervello nota come "nucleo accumbens", che riveste un ruolo basilare rispetto alla percezione del piacere e del dolore.
Psichiatri dell'Università del Michigan hanno somministrato a un gruppo di volontari un'iniezione dolorosa, rassicurandoli sul fatto che in seguito sarebbe stato dato loro un analgesico.
A tutti è stato invece dato un placebo. Poi, gli stessi volontari sono stati sottoposti a una tomografia a emissione di positroni (PET) per osservare l'effetto del finto antidolorifico, che era una comune soluzione salina. Effetto che si è presentato, ma solo in coloro in cui lo scanner ha evidenziato un'elevata attività cerebrale legata alla dopamina. Mentre alcuni dei volontari, per i quali il placebo non ha funzionato, hanno accusato addirittura più dolore (in questo caso si parla di "effetto nocebo").
Non soddisfatti, gli scienziati qualche giorno dopo hanno sottoposto i volontari a una risonanza magnetica funzionale (fMRI), per vedere quali aree del cervello si attivavano durante un gioco che avrebbe potuto fare loro vincere del denaro (meccanismo di gratificazione).
Ebbene, anche in quel caso è stato il nucleo accumbens a mostrare un'elevata attività, e negli stessi soggetti che già erano risultati "positivi" al test del placebo. «L'attività dopaminica in risposta a un placebo è direttamente proporzionale ai benefici che un paziente si aspetta di ricevere», sono state le conclusioni di Jon Kar Zubieta, professore di Psichiatria all'University of Michigan e leader del team di ricercatori. «Più crediamo che una pillola abbia effetto, più ne avrà. Avere acquisito oggi questa evidenza scientifica potrebbe essere di grande aiuto per individuare nuove terapie per soggetti particolarmente sensibili ai principi attivi dei farmaci che devono prendere»
Fonte : focus.it
domenica 29 settembre 2013
L'Italia come un groviera ......i danni e le beffe
La mappa aggiornata del rischio piattaforme offshore nei mari italiani
Il cambiamento climatico, come ormai acclarato, è da attribuire alle attività umane, e tra queste il peso maggiore lo ha il ricorso ancora imponente ai combustibili fossili che alimentano le emissioni di gas ad effetto serra.
In Italia vanno scomparendo ad un ritmo vertiginoso gli 800 ghiacciai alpini che ricoprono oggi un territorio pari a 500 Km quadrati e che costituiscono una riserva strategica per l’acqua, alimentando sorgenti e falde di acque idropotabili, i torrenti e tutti i fiumi più importanti situati nel Nord del Paese, tra i quali il Po.
La carenza d’acqua provocata dalla progressiva contrazione dei ghiacciai e da fenomeni estremi di siccità, ma anche le piene alluvionali provocate dalle bombe d’acqua, il cui aumento in numero e intensità è attribuibile al al cambiamento climatico, provocano un danno economico di vaste proporzioni, un rischio costante per la sicurezza delle popolazioni e un incalcolabile impatto ambientale.
Ma, nonostante i passi da gigante fatti in questi ultimi 10 anni, nell’ambito delle energie rinnovabili, risparmio ed efficienza energetica, anche con la SEN- Strategia Energetica Nazionale, mai sottoposta a Valutazione Ambientale Strategica, l’Italia continua ad investire principalmente sulle risorse fossili costituita dagli idrocarburi puntando al raddoppio della quantità di gas e petrolio estratto, seppur in un quadro velleitario e paradossale di sviluppo sostenibile della produzione nazionale degli idrocarburi (come viene detto nella SEN).
Nella passata legislatura, proprio nei mesi precedenti il lancio della Strategia l’allora Ministro allo Sviluppo Economico Corrado Passera aveva presentato una stima di 15 miliardi di euro di investimento (un punto di PIL!) e di 25 mila nuovi posti di lavoro legati al rilancio delle estrazioni degli idrocarburi in Italia Ma a parte queste stime fantasiose, quello che di certo si sa è che secondo le valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe , che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane.
Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.
Dopo aver colonizzato tutto l’Adriatico, il rischio perforazioni per l’estrazione degli idrocarburi, e dunque il rischio inquinamento, non cessa per il Golfo di Taranto, il Mar Ionio e il Canale di Sicilia e si estende ad un’area di mare grande quanto la Corsica tra la Sardegna e le Baleari. Sono ben 67 i progetti di coltivazione nei nostri mari (di cui 50 attvi e ben 29 in Emilia Romagna), 60 dei quali vedono l’Eni titolare o contitolare.
Meno della metà di questi pagano royalty. Questo è quanto emerge dall’ operazione verità del WWF sulla mappa delle trivellazioni nei nostri mari dopo, che il 4 settembre scorso il ministro per lo Sviluppo Economico Flavio Zanonato ha annunciato di avere tolto, con il DM del 9/8/2013, 116.000 kmq di aree marine aperte ai petrolieri.
Ma in realtà, accusa Stefano Lenzi, Responsabile Ufficio Legislativo WWF, si tratta dell’ennesima beffa:
”Il Governo in estate ha introdotto delle limitazioni, ma non è intervenuto sugli effetti della sanatoria del Decreto Sviluppo del 2012″. Ed ecco allora che, come denuncia il dossier“Trivelle in vista”, zone di pregio marine e costiere continuano a subire la minaccia del rischio di inquinamento marino derivante dalle attività di routine (come l’uso dell’air gun e di fanghi e fluidi perforanti durante le attività di ricerca e perforazione e rilascio delle acque di produzione) e al rischio di incidente per le piattaforme offhsore (come ha dimostrato il caso della piattaforma Deepwater Horizon del 2010 nel Golfo del Messico).
Pur ricadendo nelle aree interdette dal DM 9/2013 sono del tutto valide l’istanza di coltivazione Ombrina Mare (a 6 km dall’istituendo Parco della Costa Teatina in Abruzzo) della Medoil Gas, e il permesso di ricerca del AUDAX di ben 657 kmq a Pantelleria nel Canale di Sicilia (area di grande pregio naturalistico dove si registra anche un’intensa attività vulcanica sottomarina). Sono fatte salve anche le 8 istanze di permesso di ricerca della già martoriata baia storica di Taranto.
Il WWF chiede al Governo di abbandonare la Strategia Energetica Nazionale – SEN, approvata nel marzo 2013 da un Governo dimissionario, che prevedeva l’irrealistico raddoppio della produzione di nazionale di idrocarburi, e di avviare un percorso verso la decarbonizzazione per il futuro economico ed ecologico del Paese. Il gioco non vale la candela.
Da stime ufficiali, sulla base dei dati forniti dallo stesso Ministero per lo Sviluppo economico, nei nostri fondali marini ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Ad oggi, secondo quanto documentato nel dossier “Trivelle in vista” del WWF sono attive nei mari italiani: 3 istanze di permesso di prospezione (in un’area di 30.810 kmq), 31 istanze di permesso di ricerca (in un’area di circa 14.546 kmq), 22 permessi di ricerca (in un’area di circa 7.826 kmq), 10 Istanze di coltivazione (in un’area di circa 1.037 kmq), 67 concessioni di coltivazione (che occupano un area pari a 9.025 kmq) con 396 pozzi produttivi in mare di cui 335 a gas e 61 a petrolio. 104 sono le piattaforme di produzione, 8 quelle di supporto alla produzione, 3 unità galleggianti di stoccaggio temporaneo.
La petizione WWF “No alle trivelle nel Canale di Sicilia, Sì al parco di Pantelleria” ha già raccolto in pochi mesi oltre 35 mila firme. Fonte Ambiente Bio
Senza contare che:
Il cambiamento climatico, come ormai acclarato, è da attribuire alle attività umane, e tra queste il peso maggiore lo ha il ricorso ancora imponente ai combustibili fossili che alimentano le emissioni di gas ad effetto serra.
In Italia vanno scomparendo ad un ritmo vertiginoso gli 800 ghiacciai alpini che ricoprono oggi un territorio pari a 500 Km quadrati e che costituiscono una riserva strategica per l’acqua, alimentando sorgenti e falde di acque idropotabili, i torrenti e tutti i fiumi più importanti situati nel Nord del Paese, tra i quali il Po.
La carenza d’acqua provocata dalla progressiva contrazione dei ghiacciai e da fenomeni estremi di siccità, ma anche le piene alluvionali provocate dalle bombe d’acqua, il cui aumento in numero e intensità è attribuibile al al cambiamento climatico, provocano un danno economico di vaste proporzioni, un rischio costante per la sicurezza delle popolazioni e un incalcolabile impatto ambientale.
Ma, nonostante i passi da gigante fatti in questi ultimi 10 anni, nell’ambito delle energie rinnovabili, risparmio ed efficienza energetica, anche con la SEN- Strategia Energetica Nazionale, mai sottoposta a Valutazione Ambientale Strategica, l’Italia continua ad investire principalmente sulle risorse fossili costituita dagli idrocarburi puntando al raddoppio della quantità di gas e petrolio estratto, seppur in un quadro velleitario e paradossale di sviluppo sostenibile della produzione nazionale degli idrocarburi (come viene detto nella SEN).
Nella passata legislatura, proprio nei mesi precedenti il lancio della Strategia l’allora Ministro allo Sviluppo Economico Corrado Passera aveva presentato una stima di 15 miliardi di euro di investimento (un punto di PIL!) e di 25 mila nuovi posti di lavoro legati al rilancio delle estrazioni degli idrocarburi in Italia Ma a parte queste stime fantasiose, quello che di certo si sa è che secondo le valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe , che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane.
Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.
Dopo aver colonizzato tutto l’Adriatico, il rischio perforazioni per l’estrazione degli idrocarburi, e dunque il rischio inquinamento, non cessa per il Golfo di Taranto, il Mar Ionio e il Canale di Sicilia e si estende ad un’area di mare grande quanto la Corsica tra la Sardegna e le Baleari. Sono ben 67 i progetti di coltivazione nei nostri mari (di cui 50 attvi e ben 29 in Emilia Romagna), 60 dei quali vedono l’Eni titolare o contitolare.
Meno della metà di questi pagano royalty. Questo è quanto emerge dall’ operazione verità del WWF sulla mappa delle trivellazioni nei nostri mari dopo, che il 4 settembre scorso il ministro per lo Sviluppo Economico Flavio Zanonato ha annunciato di avere tolto, con il DM del 9/8/2013, 116.000 kmq di aree marine aperte ai petrolieri.
Ma in realtà, accusa Stefano Lenzi, Responsabile Ufficio Legislativo WWF, si tratta dell’ennesima beffa:
”Il Governo in estate ha introdotto delle limitazioni, ma non è intervenuto sugli effetti della sanatoria del Decreto Sviluppo del 2012″. Ed ecco allora che, come denuncia il dossier“Trivelle in vista”, zone di pregio marine e costiere continuano a subire la minaccia del rischio di inquinamento marino derivante dalle attività di routine (come l’uso dell’air gun e di fanghi e fluidi perforanti durante le attività di ricerca e perforazione e rilascio delle acque di produzione) e al rischio di incidente per le piattaforme offhsore (come ha dimostrato il caso della piattaforma Deepwater Horizon del 2010 nel Golfo del Messico).
Pur ricadendo nelle aree interdette dal DM 9/2013 sono del tutto valide l’istanza di coltivazione Ombrina Mare (a 6 km dall’istituendo Parco della Costa Teatina in Abruzzo) della Medoil Gas, e il permesso di ricerca del AUDAX di ben 657 kmq a Pantelleria nel Canale di Sicilia (area di grande pregio naturalistico dove si registra anche un’intensa attività vulcanica sottomarina). Sono fatte salve anche le 8 istanze di permesso di ricerca della già martoriata baia storica di Taranto.
Il WWF chiede al Governo di abbandonare la Strategia Energetica Nazionale – SEN, approvata nel marzo 2013 da un Governo dimissionario, che prevedeva l’irrealistico raddoppio della produzione di nazionale di idrocarburi, e di avviare un percorso verso la decarbonizzazione per il futuro economico ed ecologico del Paese. Il gioco non vale la candela.
Da stime ufficiali, sulla base dei dati forniti dallo stesso Ministero per lo Sviluppo economico, nei nostri fondali marini ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Ad oggi, secondo quanto documentato nel dossier “Trivelle in vista” del WWF sono attive nei mari italiani: 3 istanze di permesso di prospezione (in un’area di 30.810 kmq), 31 istanze di permesso di ricerca (in un’area di circa 14.546 kmq), 22 permessi di ricerca (in un’area di circa 7.826 kmq), 10 Istanze di coltivazione (in un’area di circa 1.037 kmq), 67 concessioni di coltivazione (che occupano un area pari a 9.025 kmq) con 396 pozzi produttivi in mare di cui 335 a gas e 61 a petrolio. 104 sono le piattaforme di produzione, 8 quelle di supporto alla produzione, 3 unità galleggianti di stoccaggio temporaneo.
La petizione WWF “No alle trivelle nel Canale di Sicilia, Sì al parco di Pantelleria” ha già raccolto in pochi mesi oltre 35 mila firme. Fonte Ambiente Bio
Senza contare che:
Trivellazioni, l'allarme degli ambientalisti "in Italia su 59 società solo 5 pagano royalty"
La leggenda della stella alpina
Una volta, tanto tempo fa, una montagna malata di solitudine piangeva in silenzio.
Tutti la guardavano stupiti: i faggi, gli abeti, le querce, i rododendri e le pervinche. Nessuna pianta però non poteva farci niente, poiché era legata alla terra dalle radici. Così neppure un fiore sarebbe potuto sbocciare tra le sue rocce.
Su dal cielo, se ne accorsero anche le stelle, quando una notte le nuvole erano volate via per giocare a rimpiattino tra i rami dei pini più alti, una di loro ebbe pietà di quel pianto e, senza speranza scese guizzando dal cielo.
Scivolò tra le rocce e i crepacci della montagna, finché si posò stanca sull’orlo di un precipizio. Brrr!!! … Faceva freddo … Era stata proprio pazza per aver lasciato la serena tranquillità del cielo! Il gelo l’avrebbe certamente uccisa… Ma, la montagna corse ai ripari, grata per quella prova d’amicizia data col cuore.
Avvolse la stella con le sue mani di roccia in una morbida peluria bianca. Quindi, la strinse legandola a sé con radici tenaci… E quando l’alba spuntò, era nata la prima Stella Alpina…
In cerca del cuore di Solimano il Magnifico
Si cerca, in Ungheria, la sepoltura di Solimano detto il Magnifico dagli occidentali e Kanuni (cioè il Legislatore) dai turchi e, mentre si cerca, si scopre una città di epoca ottomana.
E' quel che è accaduto ad un gruppo di archeologi ungheresi che stavano scavando nel sud dell'Ungheria, dove si crede sia stato seppellito il cuore di Solimano, nel XVI secolo.
Il sultano morì a Szigetvar nel 1566, mentre le sue truppe erano impegnate nell'assedio della rocca della cittadina, difesa dalla gente del posto guidata dal nobile croato-ungherese Miklos Zrinyi. La morte di Solimano venne tenuta nascosta per 48 giorni alle sue truppe.
Gli storici ritengono che il cuore del sultano, unitamente ai suoi organi interni, siano stati sepolti vicino Szigetvar, mentre il suo corpo è stato, invece, sepolto a Costantinopoli (attuale Istanbul), accanto all'amata moglie Roxelana.
Norbert Pap, membro del team di ricerca e di scavo, ha affermato che la scoperta della città ottomana potrebbe offrire ulteriori indizi per restringere la ricerca del luogo di sepoltura del cuore di Solimano.
La città ottomana si chiamava Turbek e fu fondata dopo la morte del sultano. Fu, poi, distrutta nel 1680, quando i turchi vennero cacciati dall'Ungheria.
Fino alla sua morte, all'età di 71 anni, Solimano fu il sovrano che aveva regnato più lungamente. Durante il suo regno la dominazione turca conobbe la sua massima espansione nei Balcani, in Medio Oriente e nel Nord Africa. Il regno di Solimano il Magnifico durò 46 anni.
Gli archeologi hanno finora ritrovato oggetti di lusso quali porcellana cinese, ceramiche persiane, vetro che stanno ad indicare la ricchezza della popolazione della città.
La scoperta riveste, inoltre, una particolare importanza anche perché i turchi usavano raramente costruire le loro città nelle zone d'occupazione, preferendo insediarsi in agglomerati urbani già esistenti.
La città ottomana, costruita in malta e mattoni, aveva sicuramente un intento celebrativo, spirituale e politico, dal momento che doveva sorgere nei pressi della tomba in cui era stato seppellito il cuore di Solimano.
Le fonti storiche affermano che la città era dotata di una moschea, di un chiostro derviscio e di caserme militari. Successivamente fu edificata anche una taverna, una madrasa ed una locanda per i pellegrini che intendevano recarsi in visita alla sepoltura di Solimano.
sabato 28 settembre 2013
Edward Murrow , l'uomo che ha previsto gli effetti negativi della TV
Edward R. "Ed" Murrow (Greensboro, 25 aprile 1908 – Pawling, 27 aprile 1965) è stato un giornalista statunitense. È diventato noto per la sua serie di notiziari durante la Seconda guerra mondiale, che venne seguita da milioni di ascoltatori negli Stati Uniti ed in Canada.
È considerato una della maggiori figure del giornalismo mondiale. Murrow arruolò una serie di corrispondenti di guerra, e fu noto per la sua onestà ed integrità nel diffondere le notizie.
Fu anche un pioniere dei notiziari diffusi attraverso la televisione. La sua serie di servizi televisivi porterà alla censura del senatore Joseph McCarthy.
Da una sua celebre frase (good night and good luck!), pronunciata durante il corso della seconda guerra mondiale, è nato il titolo della canzone London Calling, dei Clash.
Londra sta chiamando le città sperdute
Ora che la guerra è stata dichiarata
E la battaglia è finita
Londra sta chiamando l'oltretomba
Venite fuori dall'armadio,
Tutti voi ragazzi e ragazze
Londra sta chiamando, ora non guardateci
Tutta questa falsa Beatlemania
Ha fatto mangiare tanta polvere
Londra sta chiamando, guardate,
Non abbiamo oscillazione
Eccetto per l'anello di quel manganello
Sta arrivando l'età del ghiaccio, il sole sta salendo
Le macchine si fermano e il frumento cresce fino
Un errore nucleare, ma non ho nessuna paura
Londra sta annegando e io vivo vicino al fiume
Londra sta chiamando la zona di imitazione
Dimenticalo, fratello, e vattene da solo
Londra sta chiamando gli zombie
Molla la presa e tira un altro respiro
Londra sta chiamando, non voglio gridare
Ma mentre noi stavamo parlando,
Ti ho visto fare un cenno
Londra sta chiamando, capisce che
Non abbiamo raggiunto nessuna altezza
Eccetto quella con gli occhi gialli
Sta arrivando l'età del ghiaccio, il sole sta salendo
Le macchine si fermano e il frumento cresce fino Un errore nucleare, ma non ho nessuna paura
Londra sta annegando e io vivo vicino al fiume
Ora senti questo:
Londra sta chiamando, si, c'ero anche io
E sai cosa dissero?
Beh, che in parte era vero!
Chiamare Londra è la cima della questione
Dopo tutto questo, non vuoi farmi un sorriso?
Non mi sono mai sentito così
Il relitto della Eden V nel Parco del Gargano
Concluso con squilli di trombe, rulli di tamburi e plauso di popolo il recupero della nave da crociera Concordia Costa incagliatasi due anni fa all’isola del Giglio, vorrei portarvi in gita nel Parco Nazionale del Gargano, in Puglia, sulla cui spiaggia giace il relitto della Eden V, una delle tante navi dei misteri che – come il Cunsky o anzi il Catania – hanno fatto naufragio nei mari italiani. La Eden V si vede benissimo su Google Maps, da cui è tratta l’immagine: un clic per andare sull’originale navigabile. E’ sulla spiaggia di Marina di Lesina dal lontano 1988. Costituisce uno dei tanti strani casi di cui l’Italia non è mai venuta a capo.
E’ un peccato che negli ultimi anni non si parli più delle navi a perdere, i roclò galleggianti che si sospetta siano stati deliberatamente affondati insieme al loro carico di veleni, rifiuti, scorie. Non si è mai saputo cosa esattamente trasportasse la Eden V: una volta incagliatasi risultò vuota (tutti salvi e rimpatriati gli uomini dell’equipaggio, in massima parte mediorientali)
Sta di fatto che lungo la spiaggia su cui giace la Eden V è facile incontrare bidoni arrugginiti, e, come dice l’inchiesta di Rai News, migliaia di – diciamo – corpi estranei ascrivibili alla categoria dicontainer e affini giacciono nelle vicinanze sui fondali.
Infondoalmar è un database dedicato ai mercantili affondati o naufragati misteriosamente durante gli ultimi trent’anni nel Mediterraneo che, si sospetta, sarebbero stati usati per sbarazzarsi di tonnellate di rifiuti tossici, chimici e radioattivi. Si sospetta, perchè anche quando gli indizi sono numerosi le eventuali prove si trovano sotto centinaia di metri di acqua.
Le informazioni di Infondoalmar sono tratte dagli archivi dei Lloyd’s di Londra e da vari dossier che Legambiente e altre associazioni ambientaliste dedicarono alle navi a perdere. A proposito della Eden V, si legge che si trattava di un cargo della stazza di 2.918 tonnellate:
Nave battente bandiera maltese, varata nel 1968 e di fabbricazione giapponese. Proveniente dal porto di Tripoli in Libano, e diretta ufficialmente al porto di Porto Tolero (Ploče) in Croazia. Affondò al largo del Gargano in Puglia il 16 dicembre 1988. Il relitto fu spinto verso la costa dalla corrente fino ad andare a incagliarsi sulla duna del lago costiero di Lesina. Il dossier del 2009 di Legambiente sugli affondamenti sospetti afferma che “attorno allo scafo, per un raggio di tre chilometri sul litorale, giacciono 23 barili arrugginiti e maleodoranti”. Il nome fu cambiato poco prima dell’incidente. Ignoti i proprietari
Anche se il relitto è ben visibile, la Eden V risulta ufficialmente smantellata. La presenza della nave è segnalata come “cattiva pratica” sul sito dell’Osservatorio del paesaggio che fa capo alla Regione Puglia.
Queste le parole: “Inizio dello smantellamento mai completato con relativo abbandono di rifiuti di scarto e idrocarburi sulla duna e nel mare”.
Gli olmechi
Tra le antiche civiltà conosciute, la più enigmatica è senz’altro quella degli Olmechi.
Essi compaiono improvvisamente intorno al 1500 a.c. in Mesoamerica. non vi sono tracce di un processo graduale degli Olmechi, che comparirono nel territorio già come una civiltà molto sviluppata, con grandi conoscenze in ingegneria ed in arte.
Si pensi che gli Olmechi realizzavano città monumentali in luoghi paludosi molto distanti dalle cave di pietra, come nel caso di La Venta, dove la cava di pietra più vicina dista 150 km in un terreno paludoso che imponeva un esperto trasporto per via d’acqua di blocchi che potevano pesare fino a quaranta tonnellate.
Gli Olmechi avevano ideato perfino un complesso calendario e conoscevano bene la ruota, come dimostrano i giocattoli Olmechi trovati a Tres Zapotes, nello stato di Veracruz, realizzati tra il 500 a.C. ed il 100 d.C.
Quindi grazie agli Olmechi è possibile sfatare la convinzione diffusa che i popoli americani non conoscessero l’uso della ruota
Gli Olmechi si svilupparono in alcune zone nel Centro America, principalmente sulla costa del Golfo del Messico, ma si trovano insediamenti Olmechi anche in Perù e nel Nord America.
Ma la cosa più sconcertate è che gli Olmechi erano formati da individui di razza completamente diversa da quella americana.
La ricchezza di misteriosi reperti archeologici trovati a La Venta è ineguagliabile.
Infatti qui troviamo strutture enigmatiche come un cono appuntito di argilla, con diametro di base di circa 128 m, un’altezza di 33 ed una massa calcolata in circa centomila metri cubi.
Davanti a questo cono imponente si apre una grande piazza delimitata da piattaforme allungate e chiusa a nord da una piramide a gradoni, la prima del genere in Mesoamerica.
Seguono poi tutta una serie di elementi monumentali, piramidi, piattaforme, tombe, pavimenti di mosaico, altari, steli e soprattutto le innumerevoli sculture a tutto tondo e le famose colossali teste di basalto. Sono proprio le sculture a tutto tondo e le colossali teste di basalto che risultano essere i reperti più enigmatici, poiché esse rappresentano persone di razza non Amerinda, ma di razza europea, asiatica ed africana.
Infatti molte figure su altari e steli hanno una barba fluente, una caratteristica non comune per i popoli amerindi, mentre molte sculture hanno inequivocabili fattezze europee, asiatiche ed
In particolare, le enormi teste di basalto pesanti fino a 37 tonnellate rappresentano chiaramente individui dalle fattezze negroidi, tipiche dei popoli africani dunque, ma anche alcune statue hanno tali lineamenti e addirittura li hanno in modo ancora più marcato.
Le teste colossali non sono presenti solo a La Venta, ma anche negli insediamenti Olmechi di San Lorenzo e Tres Zapotes, che è cosa che fa riflettere, specialmente se si tiene conto che questi ultimi due insediamenti distano 1600 km l’uno dall’altro.
Altre statue e teste di basalto ritraggono uomini di razza bianca che richiamano i caucasici e gli indo-europei, alcuni addirittura con una folta barba, piuttosto strano visto che gli amerindi sono privi di peli e quindi anche di barba.
Cosa dire poi delle statuette di giada scolpite dagli Olmechi? Rappresentano piccoli uomini spesso nella posizione del loto, glabri e con gli occhi a mandorla, tipici tratti somatici orientali, altra razza sconosciuta in quei luoghi fino a qualche secolo fa.
In una composizione di queste statuette, chiamata 'presepe', le figure umane sono affiancate a delle colonne tradotte come 'le lance che spezzano il cielo', i più temerari le collegano ai razzi che volavano nel cielo, le astronavi più volte citate nei testi sacri.
Per la cronaca, anche in Egitto il termine usato per indicare gli obelischi era tradotto come 'le lance che spaccano il cielo', strano trovare lo stesso significato in due civiltà cosi lontane senza pensare ad un tipo di contatto culturale.
Tra l’altro esistono un infinità di statuine rappresentanti individui minuti dalle fattezze mongole, apparentemente dei bambini, ma ciò non è possibile dato che molti di loro hanno una folta barba.
Sono anche state rinvenute numerose steli che rappresentano individui dai tratti europei ed asiatici, spesso con barba lunga, e a volte persino vestiti, che è anche una cosa strana dato che gli Olmechi rappresentano sempre individui nudi o seminudi.
Quindi è assodato che l’etnia che componeva gli Olmechi era di tipo multirazziale, cioè tale antico popolo americano era formato da persone per lo più di razza africana, asiatica ed europea.
Ciò è teoricamente impossibile, visto che ufficialmente razze non amerindi hanno iniziato a popolare quelle zone solo dopo la scoperta dell’America, mentre gli Olmechi sono esistiti dal 1500 al 400 a.C.
La spiegazione più ovvia è che antiche popolazioni siano emigrate in America da altri continenti, portando quindi con loro tutte le conoscenze scientifiche acquisite con secoli di sviluppo in madre patria, compresa la ruota.
Questo spiegherebbe sia perché gli individui raffigurati dagli Olmechi non sono di razza americana, sia perché la civiltà degli Olmechi compare improvvisamente già con un elevato grado di sviluppo.
D’altronde non è poi così irragionevole ritenere che popoli antichi abbiano potuto viaggiare dall’Africa, dall’Asia o dall’Europa all’America, come fecero ad esempio i vichinghi secoli prima di Colombo.
E' dunque lecito pensare che gli Olmechi, forse la prima civiltà evoluta insediatasi in meso america, fossero a conoscenza delle altre tre razze di base che tutt'oggi popolano la terra, forse proprio perché provenivano da quel territorio in mezzo all'Atlantico (Atlantide) che aveva contatti con civiltà diverse e lontane fra loro. Un ponte naturale che agevolava gli scambi culturali e la tecnologia, di cui gli Olmechi conservavano l'ultimo ricordo.
Immagine sul lato sinistro di La Mojarra Stele 1, raffigurante una persona identificata come "Signore mietitore di montagna"
Nel 400 a.C. la civiltà olmeca scompare improvvisamente e senza nessun motivo apparente.
Sembra inoltre che le città, prima di essere abbandonate, subirono una specie di rituale, dato che molte rappresentazioni e statue furono sfregiate intenzionalmente. Su questa fine improvvisa non è possibile fare ipotesi, ma è certo che l’intera popolazione degli Olmechi scomparve nel nulla, datosi che da allora non vi furono più tracce nel continente americano di persone di razza diversa. Tuttavia gli Olmechi ci hanno lasciato anche altri misteriosi enigmi senza risposta.
È il caso delle rappresentazioni di alcuni bassorilievi, che mostrano chiaramente delle cose impossibili.
Il caso più importante è un bassorilievo olmeco trovato su una parete di roccia basaltica a Cerro de la Cantera, Chalcatzingo Morelos, in Messico.
Questo bassorilievo raffigura nelle parte superiore tre nuvole che emettono pioggia, mentre al centro vi è un oggetto aerodinamico, simile ad una capsula spaziale, spinto da un sistema propulsivo che emette delle fiamme che escono visibilmente dalla parte posteriore. All’interno di tale oggetto si scorge nella parte superiore una specie di meccanismo sconosciuto, mentre al centro vi è un individuo seduto vestito con una specie di tuta.
Sulla sua testa vi è qualcosa di strano, forse un casco, mentre chiaramente sul suo viso vi è una strana maschera, ma potrebbe essere anche una parte di un casco.
Nelle sue mani l’individuo stringe una specie di tavola che assomiglia ad un pannello comandi. In pratica siamo di fronte ad una chiara rappresentazione olmeca di un uomo che pilota un veicolo aereo.
Tale veicolo non può essere un UFO poiché essi non emanano fiamme quando sono in funzione, a differenza del bassorilievo olmeco che rivela una propulsione a combustibile liquido, simile a quello dei razzi moderni.
Dato che gli Olmechi non avevano le conoscenze per costruire veicoli tecnologici di ogni genere, allora l'uomo che pilota il veicolo o è stato visto o è stato descritto a chi lo ha scolpito.
E' dunque lecito pensare che gli Olmechi, forse la prima civiltà evoluta insediatasi in meso america, fossero a conoscenza delle altre tre razze di base che tutt'oggi popolano la terra, forse proprio perché provenivano da quel territorio in mezzo all'Atlantico (Atlantide) che aveva contatti con civiltà diverse e lontane fra loro. Un ponte naturale che agevolava gli scambi culturali e la tecnologia, di cui gli Olmechi conservavano l'ultimo ricordo.
Se gli Olmechi avessero visto persone pilotare veicoli volanti, allora non ci sarebbe altra spiegazione che essi abbiano avuto contatti con alieni. Se invece gli Olmechi avessero avuto racconti dettagliati che parlavano di uomini che pilotavano veicoli volanti, allora la spiegazione sarebbe che gli Olmechi discendano da un popolo evoluto antichissimo tipo Atlantide, di cui conservarono ricordi tipo di quando l’uomo poteva viaggiare su mezzi volanti come oggi.
Maschera in giada
In realtà la soluzione a tutti questi misteri è scomparsa per sempre insieme agli Olmechi.
Quindi gli Olmechi si confermano il popolo antico più enigmatico, cioè un popolo che comparve e sparì all’improvviso, formato da razze appartenenti al continente sbagliato, che scolpiva cose incredibili e soprattutto impossibili.
venerdì 27 settembre 2013
Il Mar Morto si sta prosciugando
Il Mar Morto si sta ritirando ad una velocità incredibile lasciando dietro di sé immense crepe e “sinkhole” (letteralmente “buchi sprofondati”).
Il Mar Morto si estende per oltre 96 km nel territorio tra Israele e la Giordania. Le sue acque sono 10 volte più salate dell’Oceano Atlantico perché non ha sbocchi.
L’aumento di crepe è direttamente connesso con il prosciugarsi del Mar Morto, che si ritira di un metro ogni anno.
Le fenditure che appaiono sotto forma di sinkhole (sinonimo di dolina, si tratta di una depressione di forma sub-circolare dovuta al crollo di piccole cavità carsiche sotterranee) non fanno altro che moltiplicarsi su tutta la zona, e secondo gli esperti, se ne forma circa una al giorno ma non c’è modo di sapere quando o come faranno la loro comparsa.
Le stime del magazine Moment suggeriscono che, sulla sponda israeliana, si contano circa 3.000sinkhole: un numero incredibile se si considera che nel 1990 se ne contavano solo 40, ed il primo si è formato negli anni ’80.
Secondo gli esperti urge una soluzione immediata per arginare il fenomeno: per Alon Tal, professore al Department of Desert Ecology alla Ben-Gurion University, “l’intervento umano ha quasi distrutto il Mar Morto. Ci vorranno misure straordinarie, accurate e prudenti, e cooperazione regionale, per salvarlo.”
Da : http://www.meteoweb.eu
Antonio Meucci : l'inventore del telefono
Antonio Meucci è l'inventore del telefono e la sua storia merita di essere raccontata. Nasce a San Frediano (Firenze), il 13 aprile del 1808 da una famiglia piuttosto povera.
Inizia come tutti i ragazzi dell'epoca a lavorare molto giovane e svolge le professioni più disparate: meccanico, impiegato, operaio teatrale ecc...
Meucci ha due grandi passioni che gli cambieranno il corso della vita : la passione per la scienza (l'elettricità in particolare) e per la politica.
Proprio a causa della sua vita politica, viene coinvolto nei moti rivoluzionari del 1831 ed è costretto in breve tempo a lasciare prima la Toscana e poi addirittura l'Italia.
Si rifugia per qualche anno a Cuba ed infine si stabilisce definitivamente a New York nel 1850.
Negli Stati Uniti Meucci apre una fabbrica di candele che gli garantisce il sostentamento per lui e per la famiglia, nel tempo libero però continua gli studi sull'elettricità ed in particolare su un nuovo congegno che ha in mente e che potrebbe permettere a persone distanti anche chilometri di parlare tra loro: il telefono.
Gli studi e le ricerche vanno avanti diversi anni e nel 1856 ottiene un primo apprezzabile risultato. La moglie è costretta a letto da una grave malattia e Meucci per far comunicare il suo studio con la camera da letto realizza il primo telefono funzionante.
Meucci descrive il suo primo telefono in questo modo: «consiste in un diaframma vibrante e in un magnete elettrizzato da un filo a spirale che lo avvolge. Vibrando, il diaframma altera la corrente del magnete. Queste alterazioni di corrente, trasmesse all'altro capo del filo, imprimono analoghe vibrazioni al diaframma ricevente e riproducono la parola».
L'invenzione è di quelle da rivoluzionare il mondo e Meucci lo sa. Le risorse finanziarie però non ci sono, la fabbrica di candele fallisce e nessuno sembra disposto a finanziarlo, né in Italia né in America.
Oltre a questo, resta vittima di un grave incidente che lo tiene bloccato per mesi a letto. La moglie disperata, per sopravvivere e per curarlo vende a sua insaputa tutte le sue invenzioni e le sue attrezzature ad un rigattiere per 6 dollari !
Meucci comunque non demorde e nel 1871 cerca in tutti i modi di brevettare ufficialmente la propria invenzione (da lui denominata teletrofono) anche se in assenza di soldi si deve accontentare di un brevetto temporaneo (rinnovabile annualmente al costo di circa 10 dollari) detto Caveat.
Dieci dollari all'anno sono tanti e Meucci riesce a rinnovare il brevetto solo per 3 anni.
Nel 1876 Alexander Graham Bell brevetta il suo apparecchio telefonico ed ottiene i successi che per anni Meucci ha solo sperato. Inizia a questo punto una lunga battaglia per la paternità del telefono che durerà per anni e che coinvolgerà anche due compagnie in lotta per la gestione della nuova invenzione, la Globe Company e la Bell Company.
La battaglia legale termina nel 1887 e la sentenza, pur riconoscendo alcuni meriti a Meucci, è a favore di Bell.
Due anni dopo Meucci muore. Da quel giorno in poi la storia di Meucci rimane viva solo in Italia, in cui tutti considerano Meucci come il vero inventore del telefono.
Nel resto del mondo è Bell l'autore dell'invenzione che ha cambiato il modo di comunicare nel mondo.
Giustizia viene fatta però nel Giugno del 2002 quando il Congresso degli Stati Uniti finalmente riconosce Antonio Meucci come primo inventore del telefono e tutto il mondo può finalmente riscoprire la storia e la genialità di uno dei più grandi inventori della storia dell'umanità.
Inizia come tutti i ragazzi dell'epoca a lavorare molto giovane e svolge le professioni più disparate: meccanico, impiegato, operaio teatrale ecc...
Meucci ha due grandi passioni che gli cambieranno il corso della vita : la passione per la scienza (l'elettricità in particolare) e per la politica.
Proprio a causa della sua vita politica, viene coinvolto nei moti rivoluzionari del 1831 ed è costretto in breve tempo a lasciare prima la Toscana e poi addirittura l'Italia.
Si rifugia per qualche anno a Cuba ed infine si stabilisce definitivamente a New York nel 1850.
Negli Stati Uniti Meucci apre una fabbrica di candele che gli garantisce il sostentamento per lui e per la famiglia, nel tempo libero però continua gli studi sull'elettricità ed in particolare su un nuovo congegno che ha in mente e che potrebbe permettere a persone distanti anche chilometri di parlare tra loro: il telefono.
Gli studi e le ricerche vanno avanti diversi anni e nel 1856 ottiene un primo apprezzabile risultato. La moglie è costretta a letto da una grave malattia e Meucci per far comunicare il suo studio con la camera da letto realizza il primo telefono funzionante.
Meucci descrive il suo primo telefono in questo modo: «consiste in un diaframma vibrante e in un magnete elettrizzato da un filo a spirale che lo avvolge. Vibrando, il diaframma altera la corrente del magnete. Queste alterazioni di corrente, trasmesse all'altro capo del filo, imprimono analoghe vibrazioni al diaframma ricevente e riproducono la parola».
L'invenzione è di quelle da rivoluzionare il mondo e Meucci lo sa. Le risorse finanziarie però non ci sono, la fabbrica di candele fallisce e nessuno sembra disposto a finanziarlo, né in Italia né in America.
Oltre a questo, resta vittima di un grave incidente che lo tiene bloccato per mesi a letto. La moglie disperata, per sopravvivere e per curarlo vende a sua insaputa tutte le sue invenzioni e le sue attrezzature ad un rigattiere per 6 dollari !
Meucci comunque non demorde e nel 1871 cerca in tutti i modi di brevettare ufficialmente la propria invenzione (da lui denominata teletrofono) anche se in assenza di soldi si deve accontentare di un brevetto temporaneo (rinnovabile annualmente al costo di circa 10 dollari) detto Caveat.
Dieci dollari all'anno sono tanti e Meucci riesce a rinnovare il brevetto solo per 3 anni.
Nel 1876 Alexander Graham Bell brevetta il suo apparecchio telefonico ed ottiene i successi che per anni Meucci ha solo sperato. Inizia a questo punto una lunga battaglia per la paternità del telefono che durerà per anni e che coinvolgerà anche due compagnie in lotta per la gestione della nuova invenzione, la Globe Company e la Bell Company.
La battaglia legale termina nel 1887 e la sentenza, pur riconoscendo alcuni meriti a Meucci, è a favore di Bell.
Due anni dopo Meucci muore. Da quel giorno in poi la storia di Meucci rimane viva solo in Italia, in cui tutti considerano Meucci come il vero inventore del telefono.
Nel resto del mondo è Bell l'autore dell'invenzione che ha cambiato il modo di comunicare nel mondo.
Giustizia viene fatta però nel Giugno del 2002 quando il Congresso degli Stati Uniti finalmente riconosce Antonio Meucci come primo inventore del telefono e tutto il mondo può finalmente riscoprire la storia e la genialità di uno dei più grandi inventori della storia dell'umanità.
Donna
Una donna è la storia delle sue azioni e dei suoi pensieri, di cellule e neuroni, di ferite ed entusiasmi, di amori e disamori.
Una donna è inevitabilmente la storia del suo ventre, dei semi che vi si fecondarono o che non furono fecondati o che smisero di esserlo, e del momento, irripetibile, in cui si trasforma in una dèa.
Una donna è la storia di piccolezze, banalità, incombenze quotidiane, è la somma del non detto.
Una donna è sempre la storia di un uomo.
Una donna è la storia del suo paese, della sua gente.
Ed è la storia delle sue radici e della sua origine, di tutte le donne che furono nutrite da altre che la precedettero affinché lei potesse nascere: una donna è la storia del suo sangue.
Ma è anche la storia di una coscienza e delle sue lotte interiori, del senso della perdita, dell’esclusione e di un certo disprezzo per le situazioni indefinite.
Una donna è la storia di passione.
È storia di nostalgia.
Una donna è la storia di un’utopia.
(MARCELA SERRANO)
Una donna è inevitabilmente la storia del suo ventre, dei semi che vi si fecondarono o che non furono fecondati o che smisero di esserlo, e del momento, irripetibile, in cui si trasforma in una dèa.
Una donna è la storia di piccolezze, banalità, incombenze quotidiane, è la somma del non detto.
Una donna è sempre la storia di un uomo.
Una donna è la storia del suo paese, della sua gente.
Ed è la storia delle sue radici e della sua origine, di tutte le donne che furono nutrite da altre che la precedettero affinché lei potesse nascere: una donna è la storia del suo sangue.
Ma è anche la storia di una coscienza e delle sue lotte interiori, del senso della perdita, dell’esclusione e di un certo disprezzo per le situazioni indefinite.
Una donna è la storia di passione.
È storia di nostalgia.
Una donna è la storia di un’utopia.
(MARCELA SERRANO)
Oroscopo un po' pazzo della cagnolina Prosdy - Gemelli
L’OROSCOPO DI PROSDOCIMI – Gemelli
Oggi ci occuperemo del segno zodiacale dei Gemelli col vaticinio delle stelle commentato dalla sottoscritta.
AMORE: Una splendida storia d’amore ti aspetta.
Questa volta non ci sono solo Marte e Venere, ma anche Urano a seguirti nelle tue conquiste passionali.
Se ancora non l’hai capito, c’è uno stuolo di guardoni alle tue spalle!
Rimanda le tue conquiste passionali a quando Marte, Venere e Urano non troveranno un altro segno da tampinare.
LAVORO: Mercurio, che da sempre ti assiste nella professione, ti saluta! Per farla breve: sei prossimo alla disoccupazione, mi spiace!
SALUTE: Lievi capogiri provocati da instabilità interiori. Marte consiglia vita all’aria aperta per riacquistare la pace.
Il dio della Guerra che parla di pace?
Ma andiamo…!!!
SESSO: Slancio passionale alimentato dal tuo ascendente, ma attenzione: Giove prima accende e poi spegne! Praticamente farai sesso a intermittenza. In caso contrario… beh, poco è sempre meglio di niente no?
Bene, caro Prosdo amico, per oggi ho finito e ti do appuntamento a presto qui sul mio Blog:
http://tormenti.altervista.org/
per altri, divertenti momenti insieme.
Oggi ci occuperemo del segno zodiacale dei Gemelli col vaticinio delle stelle commentato dalla sottoscritta.
AMORE: Una splendida storia d’amore ti aspetta.
Questa volta non ci sono solo Marte e Venere, ma anche Urano a seguirti nelle tue conquiste passionali.
Se ancora non l’hai capito, c’è uno stuolo di guardoni alle tue spalle!
Rimanda le tue conquiste passionali a quando Marte, Venere e Urano non troveranno un altro segno da tampinare.
LAVORO: Mercurio, che da sempre ti assiste nella professione, ti saluta! Per farla breve: sei prossimo alla disoccupazione, mi spiace!
SALUTE: Lievi capogiri provocati da instabilità interiori. Marte consiglia vita all’aria aperta per riacquistare la pace.
Il dio della Guerra che parla di pace?
Ma andiamo…!!!
SESSO: Slancio passionale alimentato dal tuo ascendente, ma attenzione: Giove prima accende e poi spegne! Praticamente farai sesso a intermittenza. In caso contrario… beh, poco è sempre meglio di niente no?
Bene, caro Prosdo amico, per oggi ho finito e ti do appuntamento a presto qui sul mio Blog:
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per altri, divertenti momenti insieme.
giovedì 26 settembre 2013
Buonanotte
La lucertola africana che sembra Spider Man
Avete mai visto una lucertola africana?
Forse però non vi sarà capitato spesso di vedere una lucertola africana che sembra Spider Man. Non è un’esagerazione, se osserviamo con attenzione l’immagine in alto.
La lucertola in questione esiste davvero e non è frutto di programmi di fotoritocco, è veramente blu e rossa e si trova in Kenya, all’interno della riserva faunistica di Masai Mara.
Si tratta di un rettile veramente particolare, una vera e propria spider-lucertola, dalla somiglianza straordinaria con l’Uomo Ragno.
Il rivale di Peter Parker non sarà certo capace di lanciare ragnatele, ma è ugualmente agile, proprio come Spider Man. La foto in atteggiamento da Uomo Ragno è stata scattata da Cassio Lopes, un turista brasiliano che si trovava in un safari proprio all’interno della riserva faunistica in Kenya.
Sicuramente sarà rimasto piacevolmente colpito da questa simpatica lucertola che, oltre ad avere gli stessi colori di Spider Man, si è addirittura messa in posa proprio nella tipica posizione dell’Uomo Ragno.
La somiglianza è straordinaria.
La lucertola, che non ama farsi vedere così tanto, al contrario di Spider Man, stava prendendo il sole su una roccia. Quando ha visto i turisti si è immediatamente nascosta, ma Cassio Lopes è riuscito a fotografarla prima che si nascondesse al riparo dagli occhi indiscreti dei turisti.
Il nome scientifico di questa particolare lucertola è “Agama mwanzae“, si tratta di un rettile appartenente alla famiglia degli agàmidi.
La lucertola è originaria della Tanzania, del Ruanda e del Kenya e può raggiungere anche i 32 centimetri di grandezza.
Si tratta di una specie molto particolare dal punto di vista dei colori. Le femmine della specie sono infatti marroni con delle striature più scure e i maschi sono invece blu nel corpo e hanno la testa rossa lucida.
Una particolare colorazione che ha portato a far somigliare questa spider-lucertola all’Uomo Ragno, anche per la sua originale posa che ha assunto nel momento in cui si è vista osservata dai turisti.
Joaquín Sorolla Bastida - impressionista spagnolo
Joaquín Sorolla (Valencia, 27 febbraio 1863 – Cercedilla, 10 agosto 1923) è stato un pittore spagnolo, è annoverato fra i rinnovatori della pittura spagnola in chiave impressionista e anche uno dei più prolifici avendo un catalogo di più di 2.200 opere.
Partecipò a diverse esposizioni dove passò inosservato nel clima accademico che dominava allora finché nel 1884 ottenne il primo riconoscimento alla Esposizione Nazionale con il quadro Defensa del Parque de Artillería de Monteleón, un quadro melodrammatico e tetro che dipinse espressamente per l'esposizione confidando a un amico: «qui per farsi conoscere e vincere una medaglia occorre dipingere morti»
Nel 1888 sposò Clotilde García del Castillo, sorella di Juan Antonio García del Castillo, che aveva conosciuto quando frequentava l'Accademia di San Carlo. La coppia visse per un anno in Italia, ad Assisi.
Sole di sera , olio su tela, 1903. Tornato in Spagna nel 1889 si stabilì a Madrid dove nell'arco di cinque anni riuscì ad affermarsi. Strinse una forte amicizia con Aureliano de Beruete con cui condivideva le esperienze artistiche degli impressionisti spagnoli,
Estate 1904 olio su tela
Nel 1894 fece un altro soggiorno a Parigi dove approfondì lo studio del "luminismo" tanto da diventare da allora in poi una costante della sua pittura dove il colore si identifica con la luce.
Fu letteralmente abbagliato dalla luce del Mediterraneo che trasferì sulle sue tele con colori vibranti applicati con pennellate sciolte e sicure.
Da allora Valencia, sua città natale, lo consacrò suo cittadino illustre dedicandogli una strada.
Viaggiò molto in Inghilterra, Francia e in altri paesi europei facendo conoscere le sue opere.
Tre vele 1903 olio su tela
In un'esposizione a Parigi presentò più di cinquecento quadri che gli fruttarono un riconoscimento senza eguali non solo in Europa ma anche in America dove nel 1909 ottenne un altro strepitoso successo
Nel 1911 espose al City Art Museum di St. Louis e nell'Art Institute di Chicago.
Nel 1914 fu nominato accademico e dopo aver terminato la monumentale opera insegnò tecnica del colore e della composizione nella Scuola di Belle Arti di Madrid, diffondendo il suo stile luminista nella società dell'epoca.
Paseo a Orillas del Mar, 1909 olio su tela
La sua attività fu interrotta inaspettatamente nel 1920 a seguito di un infarto mentre stava dipingendo un ritratto.
La morte lo colse in un luminoso giorno d'agosto, il 10, del 1923 nella sua casa di Cercedilla.
A Madrid gli è stato dedicato il Museo Sorolla
Partecipò a diverse esposizioni dove passò inosservato nel clima accademico che dominava allora finché nel 1884 ottenne il primo riconoscimento alla Esposizione Nazionale con il quadro Defensa del Parque de Artillería de Monteleón, un quadro melodrammatico e tetro che dipinse espressamente per l'esposizione confidando a un amico: «qui per farsi conoscere e vincere una medaglia occorre dipingere morti»
Nel 1888 sposò Clotilde García del Castillo, sorella di Juan Antonio García del Castillo, che aveva conosciuto quando frequentava l'Accademia di San Carlo. La coppia visse per un anno in Italia, ad Assisi.
Sole di sera , olio su tela, 1903. Tornato in Spagna nel 1889 si stabilì a Madrid dove nell'arco di cinque anni riuscì ad affermarsi. Strinse una forte amicizia con Aureliano de Beruete con cui condivideva le esperienze artistiche degli impressionisti spagnoli,
Estate 1904 olio su tela
Nel 1894 fece un altro soggiorno a Parigi dove approfondì lo studio del "luminismo" tanto da diventare da allora in poi una costante della sua pittura dove il colore si identifica con la luce.
Fu letteralmente abbagliato dalla luce del Mediterraneo che trasferì sulle sue tele con colori vibranti applicati con pennellate sciolte e sicure.
Da allora Valencia, sua città natale, lo consacrò suo cittadino illustre dedicandogli una strada.
Viaggiò molto in Inghilterra, Francia e in altri paesi europei facendo conoscere le sue opere.
Tre vele 1903 olio su tela
In un'esposizione a Parigi presentò più di cinquecento quadri che gli fruttarono un riconoscimento senza eguali non solo in Europa ma anche in America dove nel 1909 ottenne un altro strepitoso successo
Nel 1911 espose al City Art Museum di St. Louis e nell'Art Institute di Chicago.
Nel 1914 fu nominato accademico e dopo aver terminato la monumentale opera insegnò tecnica del colore e della composizione nella Scuola di Belle Arti di Madrid, diffondendo il suo stile luminista nella società dell'epoca.
Paseo a Orillas del Mar, 1909 olio su tela
La sua attività fu interrotta inaspettatamente nel 1920 a seguito di un infarto mentre stava dipingendo un ritratto.
La morte lo colse in un luminoso giorno d'agosto, il 10, del 1923 nella sua casa di Cercedilla.
A Madrid gli è stato dedicato il Museo Sorolla
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