Il sonno dei Bronzi di Riace
REGGIO CALABRIA - in attesa dell'inaugurazione, i due gioielli ellenistici sono esposti "distesi" su due lettini ortopedici,in una saletta del Consiglio regionale. In perenne attesa del museo della Magna Grecia Coricati ed esibiti, dietro una vetrata, i Bronzi di Riace sono due caduti in battaglia, le magnifiche vittime dell'inadeguatezza italiana. Vederli sdraiati è il primo scandalo di incredulità. Un simpatico signore in camice bianco li accudisce come fossero i suoi figli. Cosimo Schepis, uno dei restauratori di esperienza internazionale, calabrese gramsciano - perché pessimista della ragione - ama questi due ostaggi del "paisi i 'm'incrisciu e mi 'ndi futtu'/ e tutti i cosi sunnu fissaria" , "il paese dei 'mi annoio e me ne fottò e ogni cosa è fesseria", e parla con dolcezza ai suoi pazienti. Ma trattandoli come fossero vivi, li fa sembrare morti.
E difatti io stento a riconoscere il sovrappiù di umanità, di forza, di spirito, e i nervi in fuga, e le dita prensili, insomma quell'eccesso di vita che nei Bronzi guerrieri è verticalità. E allora vorrei attraversare il vetro, romperlo e passare dall'altra parte per rimettere in piedi questi Bronzi che, a quarant'anni dal ritrovamento nel fondo del mare, vengono esibiti così, coricati in una saletta del bruttissimo, marmoso Consiglio regionale della Calabria, palazzo Campanella, un altro fantasma d'uomo dell'antichità che si è perduto nella città del sole dove i Bronzi di Riace, quelli dritti, sono riprodotti dappertutto.
E sono fantasmi anche i tre bibliotecari del Museo della Magna Grecia che dal 2009 sono "congelati". Anche loro sono coricati come i Bronzi, in attesa di erigersi in piedi al completamento degli interminabili lavori di rifacimento del Museo. I libri, 25.000, sono chiusi negli scatoloni, nel sottosuolo. In altri contenitori continuano il loro sonno antico le collezioni archeologiche, dalla preistoria alla Magna Grecia. Accanto ci sono due tombe elleniche, piccole casette in mattoni con le tegole disposte a libro. I tre bibliotecari non sono i soli dipendenti pagati dal Museo chiuso. E si capisce che i Bronzi, in una terra tanto depressa, sono un'iniezione vitaminica, il solo denaro che gira.
I Bronzi non sono solo arte e storia ma economia, come una Madonna che piange, un padre Pio taumaturgo, un mago che l'azzecca, la rondine che fa primavera. E non solo per i grandi investimenti come i 30 milioni stanziati per il Museo, ma anche per il piccolo mercato, sino all'imbroglio di quell'ex avvocato di Scilla che per sbarcare il lunario si offriva come guida agli stranieri per un tour nei luoghi dei Bronzi, nella città-santuario: qui sorgeva la palestra dove si allenavano, qui c'era la casa di Chrestos e qui invece abitava Erastos, e alla fine il cicerone esibiva pure l'ultimo discendente: un vecchio sordomuto: "Achaikos estin", greco è.
In realtà i veri eredi dei due guerrieri, in senso testamentario, sono i restauratori che dopo 2400 anni di vita dei Bronzi in salamoia sono giustamente intervenuti la prima volta: otto anni di cure. Poi si è scoperto che bisognava dotarli di un piedistallo antisismico: tre anni. Infine qualcuno ha notato che i microclimi del vecchio museo corrodevano inesorabilmente i guerrieri che pure impavidamente avevano resistito a Nettuno e ai suoi umori di acida salinità, protetti da una crosta di calcare. E li hanno coricati tre anni fa, ma forse solo perché il Museo era stato intanto chiuso.
Come si vede, dopo quarant'anni di investimenti (sono state realizzate due copie per un milione di euro), questi non sono più i guerrieri sulla cui misteriosa identità inutilmente litiga la storia antica dell'intero Pianeta
L'architetto Prosperetti, il gran potereministerialedell'Antichità in Calabria, vuole lanciare un concorsone internazionale di idee per portare il mondo ai piedi dei Bronzi, che forse non si sono solo coricati, ma anche accartocciati in se stessi per desiderio di sparire, voglia di cupio dissolvi. Non regge il loro cuore alla vista - nel centro elegante di Reggio - dello sgretolamento delle facciate delle ville costruite dopo il terremoto del 1908! E non ci sono altre grandi città del sud così dissipate, dissipantisi. Solo la santa ruspa potrebbe fare giustizia dei palazzi senza intonaco, dei piloni di calce e mattoni, dei mozziconi di case senza più colore, edifici abbandonati in pieno centro, finestre murate e finestre divelte, "guardi, sembra Beirut" mi dice la sovrintendente Bonomi indicando le finestre della sua stanza panoramica.
Ma poi giro lo sguardo e vedo l'Etna a sinistra, Messina di fronte, ovunque il mare. A Reggio le costruzioni sembrano fatte apposta per irraggiare senso di smarrimento: dai posti più brutti vedi gli scenari più belli. Qui c'è una speciale architettura che la sovrintendente chiama "il non finito calabrese": il cinema Centralino ridotto a scheletro di cemento e mattoni; il Roof Garden, che fu un locale alla moda e ora sembra bombardato, persino il lungomare sognato da D'Annunzio ("il più bel chilometro d'Italia") a poco a poco sta perdendo il suo incanto, degradato dal tempo che passa, dal contesto che avanza, dal "non finito calabrese" che a Reggio minaccia di lasciare indefinito qualsiasi futuro. E il futuro già per suo statuto non è mai finito.
di FRANCESCO MERLO
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