Dimenticata in mezzo al Mar Rosso.
Eppure la si conosceva ben prima di Plinio il Vecchio, che ne tramandò la storia nei suoi scritti.
Stiamo parlando della disabitata, selvaggia e incontaminata isola di Zabargad, un angolo di paradiso originariamente chiamato Topazos dal popolo dei Trogloditi che la «scoprirono» durante un naufragio.
Sin dal 1500 avanti Cristo, qui venivano estratte stupende pietre preziose verdi, molto simili agli smeraldi.
Non a caso il suo nome moderno deriva dall’arabo, Zebirjed, termine che indica proprio questa pietra.
Ma il suo passato si è completamente perso nell'oblio: dopo la Seconda Guerra Mondiale, il presidente Gamal Abd el-Nasser nazionalizzò l’isola e mise fine all’estrazione mineraria.
L’isola tornò quindi ad essere un luogo avvolto nel mistero. Almeno fino al 1990, quando venne «riscoperta» da un gruppo di subacquei italiani alla ricerca di una barriera corallina ancora incontaminata e non rovinata dal turismo di massa.
Nella sua «Naturalis Historia», Plinio il Vecchio racconta di «un’isola che si trova nel mar Rosso a 300 stadi dal continente».
Un’isola dimenticata, dove gli archeologi hanno recentemente portato alla luce alcune anfore risalenti al primo secolo avanti Cristo, pronta a vivere la sua seconda vita e diventare una tra le mete subacquee più ambite del mar Rosso.
Fonte: lastampa.it
Ci riescono le lucciole, diversi tipi di alghe, certi vermi e persino alcuni anfibi.
La bioluminescenza è un fenomeno noto in natura, ma tra i funghi è piuttosto raro: è una caratteristica solamente di 80 delle 10 mila specie note di funghi.
I funghi che si illuminano al buio - convertendo energia chimica in energia luminosa - segnalano in questo modo la loro presenza a coleotteri, vespe e altre piccole creature che possano trasportare le spore in altre parti del bosco.
Tuttavia, il meccanismo grazie al quale ci riescono è rimasto finora incompreso.
Ora un gruppo di ricercatori russi, brasiliani e giapponesi sembra averlo capito, e lo spiega in un articolo pubblicato su Science Advances.
I biologi hanno studiato due specie in particolare: il Neonothopanus gardneri e il Neonothopanus nambi, funghi bioluminescenti che crescono in Brasile e Vietnam rispettivamente.
Se riescono a brillare, è grazie a un sostrato variegato di molecole, dette luciferine (in sostanza, pigmenti), che in presenza di ossigeno emettono una sostanza luminosa chiamata ossiluciferina.
La reazione è resa possibile dall'enzima luciferasi.
Fin qui il processo ricorda quello "base" della bioluminescenza, se non fosse che nei funghi, la luciferasi è "promiscua", ossia può interagire con diversi pigmenti, modificando intensità e colore della luce risultante.
Questa capacità della luciferasi dei funghi potrebbe offrire interessanti applicazioni nelle analisi di laboratorio al microscopio, e segnalare la presenza di cellule o geni in un modo facilmente riconoscibile.
Fonte : focus.it