mercoledì 26 novembre 2014
Samantha Cristoforetti: la prima spettacolare foto della Terra dallo spazio
È volata a bordo della Stazione Spaziale tra domenica e lunedì. E poco più di due giorni dopo il suo arrivo nello spazio, Samantha Cristoforetti ha già regalato una bellissima immagine della Terra vista da lontano.
Bella e fragile, come può apparire solo agli occhi di chi la osserva da una distanza di 400 km.
A quell'altezza orbita la ISS.
Ruotando attorno alla Terra ogni 90 minuti, la Stazione permette agli astronauti a bordo di ammirare qualcosa come 16 albe e altrettanti tramonti. Ma anche scorci come questo fotografato da Samantha Cristoforetti.
“Ieri sera dopo cena: era completamente buio fuori dalla Cupola solo qualche minuto prima e dopo questo è apparso!” si legge sulla pagina Facebook di Samantha Cristoforetti.
Nell'immagine sono visibili anche i pannelli fotovoltaici da cui la Stazione trae gran parte della propria energia.
L'astronauta, la prima italiana ad andare nello spazio, rimarrà in volo quasi 6 mesi e siamo certi che ci regalerà altri scorci meravigliosi della magica sfera blu che ospita la vita.
Francesca Mancuso
Bella e fragile, come può apparire solo agli occhi di chi la osserva da una distanza di 400 km.
A quell'altezza orbita la ISS.
Ruotando attorno alla Terra ogni 90 minuti, la Stazione permette agli astronauti a bordo di ammirare qualcosa come 16 albe e altrettanti tramonti. Ma anche scorci come questo fotografato da Samantha Cristoforetti.
“Ieri sera dopo cena: era completamente buio fuori dalla Cupola solo qualche minuto prima e dopo questo è apparso!” si legge sulla pagina Facebook di Samantha Cristoforetti.
Nell'immagine sono visibili anche i pannelli fotovoltaici da cui la Stazione trae gran parte della propria energia.
L'astronauta, la prima italiana ad andare nello spazio, rimarrà in volo quasi 6 mesi e siamo certi che ci regalerà altri scorci meravigliosi della magica sfera blu che ospita la vita.
Francesca Mancuso
Le torri segrete dell' Himalaya
Nel 1982, l’esploratore francese Michel Peissel era impegnato in una spedizione in Tibet, quando notò per la prima volta una serie di alte e misteriose torri di pietra a forma di stella che puntellavano le valli himalayane lungo il confine cinese.
Purtroppo, Peissel fu costretto ad interrompere la sua spedizione a causa di un incidente che gli provocò la frattura di entrambe le gambe, impedendogli di approfondire la sua scoperta.
Molti anni più tardi, nel 1998, un’amica di Peissel, Frederique Darragon era in procinto di recarsi in Tibet per una ricerca sul leopardo delle nevi.
Peissel le disse di essere sicuro di aver visto le torri, chiedendole di confermare la sua scoperta.
Frederique seguì le indicazioni di Peissel, riuscendo a trovare le torri e rimanendo così affascinata da queste che decise di abbandonare il progetto sul leopardo delle nevi per concentrarsi esclusivamente sulle torri.
Il suo obiettivo era chiaro: tracciare tutte le torri della regione e scoprire la loro storia.
Come racconta The Wall Street Journal, la Darragon trascorse diversi mesi all’anno viaggiando in solitaria attraverso la Cina, spesso a piedi e in zone che ancora oggi sono raramente visitate dagli occidentali.
Dopo tre anni di ricerche, finalmente la Darragon individuò le prime torri, mentre si trovava nei pressi di Danba.
“Quando ho capito che né gli occidentali né i cinesi avevano studiato le torri e che praticamente non si sapeva nulla di esse, non ho potuto resistere e ho cominciato a cercare di risolvere il loro mistero”, scrive l’esploratrice in un resoconto pubblicato sul Journal of Cambridge Studies nel 2009.
Le torri, straordinarie per la loro architettura e il loro impatto sul paesaggio himalayano, sono alte in alcuni casi più di 60 metri e sono state costruite tra i 600 e i 1000 anni fa.
Alcune di esse sono state inglobate in villaggi contadini; altre, invece si trovano in luoghi isolati anche a 3 mila metri di altitudine. Alcune torri sono state attualmente convertite in ricoveri per yak e pony, ma la maggior parte di esse è rimasta vuota.
Le torri punteggiano quattro regioni (Qiangtang, Gyalrong, Miniak e Kongpo), coprendo un’area complessiva simile al Texas.
Le domande che assillano i ricercatori sono almeno due: chi le ha costruite e qual era il loro scopo originario?
Peissel e Darragon hanno cercato di dare risposta a queste domande sfuggenti, ma il problema principale è che mancano fonti scritte. Infatti, le tribù che hanno vissuto nella regione per secoli parlano dialetti diversi e non hanno lingue scritte.
“La gente di una valle non è in grado di comunicare con le persone della valle vicina!”, spiega la Darragon.
Tuttavia, nel corso dello studio, la Darragon ha fatto diverse scoperte sorprendenti.
Alcune delle torri sono alte come i moderni edifici di 15 piani e sono in grado di resistere a violenti terremoti grazie alla loro particolare pianta a forma di stella, un dispositivo antisismico emulato anche dagli abitanti del posto per costruire le loro case. Inoltre, l’esploratrice ha scoperto che molti dei villaggi in cui si trovano le torri portano gli stessi nomi dei 18 regni descritti in alcune leggende ancestrali del luogo.
Comunque, il materiale storico e tradizionale è davvero esiguo per avanzare ipotesi sul loro scopo originario.
Darragon, con l’aiuto di altri ricercatori, ha istituito una fondazione in Cina con lo scopo di raccogliere fondi per lo studio delle torri. Inoltre, sta lavorando perché questi monumenti possano essere inseriti nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
“Le torri sono l’unica prova dell’esistenza di culture raffinate in queste terre molto lontane, e sono destinate a diventare un’attrazione turistica”, dice la Darragon. “Ma abbiamo bisogno di proteggerle in modo che la gente del posto ne possa beneficiare”. D’altronde, le torri potrebbero essere ancora in piedi tra 1000 anni…
http://www.ilnavigatorecurioso.it/
Dentro il tunnel del San Gottardo : test di prova
Il tunnel è il cuore del collegamento tra il sud e il nord Europa ed è nell’ultima fase di costruzione.
I test dei treni però sono già iniziati su una prima tratta di binari.
I passeggeri indossano giubbotti catarifrangenti e caschi di sicurezza.
I loro sguardi fissano i monitor che pendono dal soffitto, con l'immagine del cruscotto di bordo: quando il tachimetro tocca i 220 km orari, scroscia l'applauso. E gradualmente il treno rallenta.
Il viaggio è durato sì e no un quarto d'ora. Del resto, non si può chiedere di più su un tragitto di soli 15,7 km: tanto sono lunghi i binari del tratto Bodio-Faido, nella Svizzera italiana, dove la società Alptransit sta facendo i primi test per la "Galleria di base del San Gottardo", il tunnel ferroviario più lungo del mondo.
I 57 km di galleria, una volta aperti al traffico (il “giorno X” è previsto l'11 dicembre 2016), faranno accorciare di mezz'ora il tragitto Milano-Zurigo; dal 2019, quando sarà aperta la galleria di base del Monte Ceneri, il viaggio si ridurrà di un'altra mezz'ora. Basteranno 3 ore per collegare le due città, con una velocità massima di 250 km/h per i treni viaggiatori e di 160 km/h per i treni merci.
I test sulla linea, che proseguiranno fino a giugno, sono un assaggio di come funzionerà questo tunnel la cui costruzione ha impegnato centinaia di operai negli ultimi 18 anni.
Tratto da focus.it
Jellyfish Barge: la serra galleggiante off-grid che produce cibo
In un pianeta dove le risorse sono sempre più scarse, come verrà prodotto il cibo di cui le comunità hanno bisogno, dove reperiremo l’acqua necessaria e dove troveremo nuove aree destinate alle coltivazioni?
Un team multidisciplinare di architetti e botanici propone una rivoluzionaria risposta a queste domande.
Jellyfish Barge è una serra agricola galleggiante che produce cibo senza consumare suolo, acqua dolce e energia.
Pensata per comunità vulnerabili alla scarsità di acqua e di cibo, la struttura è costruita con tecnologie semplici e con materiali riciclati e a basso costo.
Il prototipo funzionante è installato dall’ottobre 2014, nel canale Navicelli, tra Pisa e Livorno.
Jellyfish Barge è un’iniziativa della start-up Pnat, progettato da Antonio Girardi e Cristiana Favretto (Studiomobile), e sviluppato da un team multidisciplinare coordinato dal professor Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (Linv).
La struttura, costruita con materiali a basso costo, assemblati con tecnologie semplici e facilmente realizzabili, è composta da un basamento in legno di circa 70 mq che galleggia su dei fusti in plastica riciclati, e da una serra in vetro sorretta da una struttura reticolare.
L’acqua dolce viene fornita da dei dissalatori solari disposti lungo il perimetro, ideati dallo scienziato ambientale Paolo Franceschetti. Questi sono in grado di produrre fino a 150 litri al giorno di acqua dolce e pulita da acqua salata, salmastra o inquinata.
La distillazione solare è un fenomeno naturale: nei mari, l’energia del sole fa evaporare l’acqua, che poi ricade come acqua piovana. In Jellyfish Barge il sistema di dissalazione replica questo fenomeno naturale in piccola scala, risucchiando l’aria umida e facendola condensare in dei fusti a contatto con la superficie fredda del mare.
La poca energia necessaria a far funzionare le ventole e le pompe viene fornita da sistemi che sfruttano le energie rinnovabili, integrati nella struttura.
La serra incorpora un innovativo sistema di coltivazione idroponica. L’idroponia è una tecnica di coltivazione fuori terra che garantisce un risparmio di acqua fino al 70% rispetto alle culture tradizionali, grazie al riuso continuo dell’acqua.
Jellyfish Barge in più utilizza circa il 15% di acqua di mare che viene mescolata con l’acqua distillata, garantendo un’efficienza idrica ancora maggiore.
Il complesso funzionamento del sistema colturale è garantito da un impianto di automazione con monitoraggio e controllo remoto.
Jellyfish Barge è stata pensata per sostenere circa due nuclei familiari, quindi è appositamente di dimensioni contenute per rendere semplice e fattibile la sua costruzione anche in condizioni di ristrettezze economiche.
È modulare, per cui un singolo elemento è completamente autonomo, mentre più serre affiancate possono garantire la sicurezza alimentare per un’intera comunità.
La forma ottagonale della piattaforma consente di affiancare diversi moduli collegandoli con semplici basamenti galleggianti a base quadrata, che possono diventare mercati e luoghi di incontro di una piccola comunità sull’acqua.
http://magazine.greenplanner.it
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