martedì 22 aprile 2014
La mappa di Fra' Mauro, ecco il mondo prima di Colombo
Nel 1457 il monaco camaldolese Fra’ Mauro, avvalendosi della collaborazione del marinaio e cartografo Andrea Bianco e del confratello Francesco di Cherso, iniziò la realizzazione di una grande mappa del mondo su pergamena commissionatagli dal re Alfonso V di Portogallo, a cui venne inviata nell’aprile del 1459 inserita in una cornice in legno.
La mappa, di circa due metri di diametro, presentava commenti scritti che riflettevano le conoscenze geografiche del tempo e venne creata nel monastero di San Michele all’isola, a Murano, dove Fra’ Mauro visse almeno a partire dal 1433.
Questa prima carta non è sopravvissuta al tempo e l’ultima notizia che la riguarda risale alla seconda metà del Settecento, quando risulta nel monastero portoghese di Alcobazz.
Ma della mappa esiste una copia – riscoperta nel monastero di Murano, dal 1811 conservata nella Biblioteca Marciana e visibile nel percorso del Museo Correr di Venezia – che Fra’ Mauro iniziò per la Signoria di Venezia e che dopo la sua morte (1459) venne completata dai suoi collaboratori entro il 26 agosto 1460, come precisa un’iscrizione sul retro.
La data della morte del celebre cartografo si desume dalla notizia che il 20 ottobre del 1459, nel monastero camaldolese di Murano, tutti i suoi scritti e le sue carte vennero chiusi in un baule.
Per comprendere la considerazione di cui godette Fra’ Mauro basta ricordare che nella Venezia del XV secolo venne coniata in suo onore una medaglia commemorativa che lo definiva «geographus incomparabilis»; ma la sua fama è tutt’oggi imperitura anche perché da lui prende nome la cosiddetta formazione di Fra’ Mauro, sulla Luna, di cui il cratere è la parte principale, e che venne raggiunta dall’Apollo 14 il 5 febbraio del 1971.
Tra le poche notizie giunte fino a noi sul monaco camaldolese sappiamo che lavorò anche come ingegnere idraulico nel 1444 deviando le acque del Brenta, ma che già dal 1448 si dedicò a «formar mappamondi» nel suo laboratorio cartografico di San Michele.
Una delle cose più sorprendenti dell’attività cartografica di Fra’ Mauro è come egli abbia potuto realizzare le sue opere senza aver mai viaggiato, pur se in qualche modo è lui stesso a spiegarlo nelle didascalie del suo mappamondo, in cui cita i numerosi viaggiatori che facevano tappa a Venezia, da cui carpiva molte notizie e preziosi dettagli.
Tra le sue fonti, inoltre, non può essere trascurato quanto scritto da Marco Polo ne Il Milione, un testo basilare per disegnare il continente asiatico e sul quale aveva già modellato le sue mappe il cartografo trecentesco Marin Sanuto.
Fra’ Mauro, quindi, non si mosse ai dal convento di San Michele, ma viaggiò per il mondo attraverso i racconti degli altri, riuscendo in un certo senso a fare in cartografia quello che un paio di secoli dopo fece nel campo della museografia il gesuita Athanasius Kircher, il quale, pur rimanendo nel Collegio Romano, collezionò oggetti provenienti da tutto il mondo speditigli dai suoi confratelli in missione nei diversi continenti.
Il monaco camaldolese acquisì carte da navigatori portoghesi, soprattutto riguardanti l’Africa nord-occidentale, ascoltò descrizioni sul corso del Nilo fatte da monaci etiopi ospiti a Venezia e da tanti altri viaggiatori, molti dei quali di passaggio proprio a San Michele a Murano, dove giungevano per venerare la reliquia della Santa Croce.
Il planisfero della Biblioteca Marciana è leggermente ellittico e iscritto in un quadrato con i lati di 2,23 metri; è privo di scala, così come di meridiani e paralleli; il suo orientamento vede il sud riprodotto nella parte superiore, secondo l’uso islamico e al contrario del tipo tolemaico.
La mappa, inoltre, è attenta alla riproduzione oggettiva del mondo conosciuto: il monaco camaldolese abbandonò la geografia simbolica tanto in voga all’epoca e che prevedeva l’inserimento di Gerusalemme come centro geometrico di una carta.
La città divina resta un centro ideale per densità di popolazione, ma è il Mar Mediterraneo a divenire il fulcro della rappresentazione terracquea, con un netto spostamento verso occidente.
Va, infine, sottolineato come lo schema che ha fatto da modello per la mappa sia almeno anteriore al 1453, dato che la didascalia in corrispondenza di Costantinopoli definisce la città ancora sede dell’Impero Romano d’Occidente senza fare riferimento alla sua conquista da parte dei Turchi avvenuta proprio in quell’anno.
La mappa del mondo di Fra’ Mauro, quindi, può essere considerata come il momento di passaggio dalla cartografia simbolica, come visto per il caso di Gerusalemme, a un nuovo atteggiamento “scientifico”, peraltro lontano anche da istanze politiche, come dimostra un episodio narrato da Pompeo Molmenti che rivela il frate poco incline alle richieste encomiastiche della committenza veneziana:
«Un giorno, mentre Fra' Mauro era intento a delineare su una grande pergamena uno dei suoi planisferi, venne a fargli visita un senatore della Serenissima [un’altra edizione dice lo stesso Doge]. Il cartografo gli illustrò il lavoro che stava eseguendo, ma il senatore era soprattutto ansioso di controllare se Venezia vi era indicata con il dovuto risalto.
Non riuscendo a individuarla con immediatezza chiese con impazienza: “dove zela Venessia?”. “La xe qua” rispose Fra’ Mauro, indicandone il nome sulla pergamena.
Orgoglioso della grandezza della regina dell’Adriatico, il senatore non ne fu soddisfatto; Venezia doveva risaltare maggiormente, per cui riprese: “e perché cussì picola?”.
E Fra’ Mauro: “la xe in proporzion del mondo”. Allora il patrizio replicò seccato: “fè el mondo pì piccolo e Venessia più granda!”. Ma Fra Mauro la lasciò “in proporzion del mondo”.
Gianni Pittiglio , storico dell’arte.
Quando le cifre parlano ....e dicono la verità
Una domandina semplice semplice
Ma se la Spagna dista 14 Km dall'Africa perchè percorrerne 113 per arrivare in Italia?
Forse perchè si sta meglio da noi che in Spagna??
O perchè gli Italiani sono più simpatici e buoni?
O perchè I governanti spagnoli non vogliono guadagnare sugli immigrati a discapito del loro territorio e dei loro cittadini?
Diciamocelo papale papale gli immigrati rendono fior di quattrini a qualcuno che certo non vuol perdere soldini preziosi.
L'incasso a loro, i disagi e le spese a noi!
Giornata della Terra e green cities: la sfida del risparmio energetico
Il progetto dell'Earth Day o Giornata della Terra dopo 44 edizioni punta alle Green Cities, ossia alle città che risparmiano energia.
La sfida è complessa ma non imbattibile.
Nella Giornata della Terra oltre un miliardo di persone in 192 paesi in tutto il mondo sta esprimendo in azioni concrete il proprio impegno nel voler proteggere il Pianeta, ad esempio ripulendo aree inquinate o invase dai rifiuti, andando al lavoro in bicicletta, diffondendo le buone pratiche per il riciclo, o acquistando cibi prodotti localmente.
Ma c’è un impegno più complesso e globale che riguarda le Green Cities, ossia l’obiettivo che vuole coinvolgere le comunità urbane al fine di diffondere informazioni e buone pratiche, sostanzialmente educazione ambientale, su come non sprecare sopratutto energia.
Il movimento verso le Green Cities è particolarmente attivo in Europa e infatti nel nostro continente le città stanno prendendo provvedimenti per rendere gli edifici più efficienti e per riconvertire verso il risparmio i sistemi energetici e le infrastrutture dei trasporti.
Le città che maggiormente incarnano questi sforzi sono Reykjavik e Londra.
La città di Reykjavik ottiene appena il 19% della sua energia primaria, per trasporti e riscaldamento, da combustibili fossili. Il resto dell’energia è di fonte geotermica e dall’idrogeno - entrambe fonti rinnovabili. Cosa ancora più impressionante, tuttavia, è che Reykjavik ottiene il 100% della sua elettricità da energia geotermica e dall’idrogeno.
Certo l’energia geotermica in Islanda è un dono della natura ma altrove come a Londra le soluzioni individuate usano il fotovoltaico. Il tetto del ponte che attraversa il Tamigi alla stazione Blackfriars a Londra è stato coperto con 4.400 pannelli solari fotovoltaici che si prevede possano generare 900.000 kilowatt di energia ogni anno pari a circa la metà del fabbisogno energetico della stazione ferroviaria.
Altrove, sopratutto in Asia e Australia si progettano città che consumano pochissima energia come Songdo nella Repubblica della Corea e Bhubaneswar in India. A Songdo quello che prima era un vasto deserto di zone fangose è diventato una città completamente verde, con il 100 % dei suoi edifici che rispondono alla certificazione LEED e il 40% della superficie destinato al verde urbano.
E’ una città per i pedoni e le auto saranno praticamente inutili, i rifiuti saranno raccolti e riciclati e sarà recuperato il 40% delle acque reflue.
La città di Bhubaneswar in India, invece punta sulla ciclabilità anche per il trasporto merci e in più in tutti gli edifici saranno installati sistemi di riscaldamento solare per acqua sanitaria.
Fonte : ecoblog.it
La sfida è complessa ma non imbattibile.
Nella Giornata della Terra oltre un miliardo di persone in 192 paesi in tutto il mondo sta esprimendo in azioni concrete il proprio impegno nel voler proteggere il Pianeta, ad esempio ripulendo aree inquinate o invase dai rifiuti, andando al lavoro in bicicletta, diffondendo le buone pratiche per il riciclo, o acquistando cibi prodotti localmente.
Ma c’è un impegno più complesso e globale che riguarda le Green Cities, ossia l’obiettivo che vuole coinvolgere le comunità urbane al fine di diffondere informazioni e buone pratiche, sostanzialmente educazione ambientale, su come non sprecare sopratutto energia.
Il movimento verso le Green Cities è particolarmente attivo in Europa e infatti nel nostro continente le città stanno prendendo provvedimenti per rendere gli edifici più efficienti e per riconvertire verso il risparmio i sistemi energetici e le infrastrutture dei trasporti.
Le città che maggiormente incarnano questi sforzi sono Reykjavik e Londra.
La città di Reykjavik ottiene appena il 19% della sua energia primaria, per trasporti e riscaldamento, da combustibili fossili. Il resto dell’energia è di fonte geotermica e dall’idrogeno - entrambe fonti rinnovabili. Cosa ancora più impressionante, tuttavia, è che Reykjavik ottiene il 100% della sua elettricità da energia geotermica e dall’idrogeno.
Certo l’energia geotermica in Islanda è un dono della natura ma altrove come a Londra le soluzioni individuate usano il fotovoltaico. Il tetto del ponte che attraversa il Tamigi alla stazione Blackfriars a Londra è stato coperto con 4.400 pannelli solari fotovoltaici che si prevede possano generare 900.000 kilowatt di energia ogni anno pari a circa la metà del fabbisogno energetico della stazione ferroviaria.
Altrove, sopratutto in Asia e Australia si progettano città che consumano pochissima energia come Songdo nella Repubblica della Corea e Bhubaneswar in India. A Songdo quello che prima era un vasto deserto di zone fangose è diventato una città completamente verde, con il 100 % dei suoi edifici che rispondono alla certificazione LEED e il 40% della superficie destinato al verde urbano.
E’ una città per i pedoni e le auto saranno praticamente inutili, i rifiuti saranno raccolti e riciclati e sarà recuperato il 40% delle acque reflue.
La città di Bhubaneswar in India, invece punta sulla ciclabilità anche per il trasporto merci e in più in tutti gli edifici saranno installati sistemi di riscaldamento solare per acqua sanitaria.
Fonte : ecoblog.it
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