I gatti sono animali meravigliosi e hanno anche una dea che abita in un’antica città, Bubastis, a sud-est della moderna Zagazig.
Almeno questo era quello che pensavamo gli antichi egizi e che ora gli archeologi stanno riscoprendo: basta andare in Egitto per adorare Bastet, la dea gatta.
Incredibile ma vero, non solo i gatti erano venerati come divinità, ma avevano anche una dea di riferimento con tanto di città apposta per lei.
Il suo culto, però, non è iniziato per via delle fusa feline: sembianze di gatto furono infatti attribuite nei secoli a Bast, originariamente la dea della guerra nel Basso Egitto che solo dopo, quindi, assunse caratteristiche miti e protettive.
Negli anni successivi, gli antichi egizi iniziarono a fabbricare mummie di gatto in onore di Bastet, e Bubastis, la città del Delta che era il cuore del culto di questa dea, ne divenne il centro di eccellenza.
Diverse mummie, tra l’altro, sono state trovate in oggetti collocati in bare rettangolari a forma di gatto, o avvolti in lino e dipinti per assomigliare a un gatto.
Gli archeologi oggi sostengono che questi “contenitori” fossero fatti per ingraziarsi la dea.
Come spiega il National Geographic “A sud-est della moderna città egiziana di Zagazig si trovano le rovine di granito rosso di una città sacra ai seguaci della dea felina Bastet, che venne adorata per migliaia di anni nell’antico Egitto e la sua popolarità raggiunse il culmine durante la 22-esima dinastia, quando i faraoni costruirono per lei un magnifico tempio in città, poi chiamato Per-Bast”.
Città antica ma non leggendaria.
Citata anche nella Bibbia, a volte con il suo nome ebraico di Pi-beseth, e nelle opere di Erodoto, storico greco del V secolo a.C.,
Bubastis anche grazie a Bastet divenne nell’antichità un centro commerciale oltre che di culto. Ed è tutto ormai dimostrato dai ritrovamenti che si susseguono nel corso delle ricerche.
I gatti erano venerati per motivi molto “pratici”. Si cibavano infatti di animali come i topi, li cacciavano con dedizione e tenacia.
E per gli antichi questo era un segno divino.
Tanto da costruire per loro statue e mummie, riempendo di tesori i luoghi di culto: coppe e bracciali in oro sono state rivenute nei decenni passati e costituiscono un valore enorme.
Oggi non costruiamo templi e non accumuliamo ori per adorarli, ma possiamo (e dobbiamo) comunque amarli (e magari visitare i loro antichi templi in Egitto, perché no).
Roberta De Carolis